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Articolo 21 - Editoriali
Fine di Cult Network Italia, la Fox "spegne" la tv culturale
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di Silvana Silvestri*

Una storia di ordinaria amministrazione? Un episodio di neoliberismo selvaggio? Certo è che da un mese circa Cult Network Italia, spazio televisivo satellitare libero, unica nicchia eccentrica in un panorama omologato, resistenza culturale di alto livello, è stato cancellato. Qui si sono potute vedere le grandi mostre, hanno parlato gli scrittori senza interruzioni pubblicitarie, abbiamo potuto scoprire quello che fa la differenza con gli altri canali, una finestra aperta sulla Cina, Cuba, l'Africa, l'Argentina, l'India. Apparentemente la programmazione continua come prima, è quella ideata dal direttore di Cult, Massimiliano Fasoli che da un giorno all'altro è stato gentilmente invitato a lasciare il suo posto ed ha consegnato il palinsesto nelle mani dei nuovi proprietari. Ci facciamo raccontare l'istruttiva vicenda. «La proprietà di Cult Network era americana, avevamo pochi soldi ma molta libertà editoriale. Il miliardario Michael Kennedy, industriale di bicchieri di plastica ed altri derivati dal petrolio aveva quest'unica attività televisiva, senza nessuna specifica competenza. Era curioso il fatto che un canale culturale venisse lanciato sulla piattaforma Stream Telecom, ma ancora più curioso che Stream si indirizzasse a un americano per un canale culturale dedicato agli italiani. Kennedy mette i soldi puntando sul minimo garantito, un affare che gli frutta il 40% dei profitti, poichè l'investimento sul canale non arriva al 60%. Quando lui e i suoi due soci minoritari arrivano all'accordo, Stream si riserva il diritto di indicare il direttore. Viene fatto il mio nome e mi viene dato l'incarico». Con che limitazioni? Il primo e più importante è il budget, considerando che il contratto prevedeva un 50% di prodotto cinematografico e il resto in quote ripartite tra i vari settori culturali. Inoltre non era previsto l'obbligo di produzione originale, nè l'obbligo di investire in promozione e marketing, nè di fare ricerche di mercato, situazione difficile perchè non sappiamo nulla del profilo degli utenti nè possiamo fare promozione. Addirittura nei primi tre anni la promozione è fatta a New York da italoamericani e solo dopo riusciamo a convincerli che se prodotta in Italia i costi si riducono del 50%. Dopo i primi tre anni si apre un conflitto tra il canale e la proprietà. Noi cerchiamo di dare un'identità, con una programmazione in linea con Arté, Channel Four o la tv spagnola, mentre il malcontento di Stream nasce dal fatto che costava troppo rispetto alla messa in onda, ai 100 pagati da Stream rispetto ai 60 del budget impiegato dal proprietario. Quando Minoli passa a Stream ho avuto incontri con lui per potenziare il canale, si inizia un magazine di cui si fanno 8 puntate, poi Minoli va via e subentra Sky. Per la prima volta l'amministratore delegato cerca di intentare causa contro Cult per eliminarlo. In un arbitrato internazionale, io difesi il canale sulla base degli accordi, Kennedy vinse e firmò un accordo dino al 2010».

E poi siete arrivati alla produzione originale: «Nel frattempo avevo vinto 2 premi come miglior canale satellitare europeo e ottenuto altre 2 nomination e avevo cominciato a produrre, ad esempio il lavoro di Brunatto sul cinema italiano underground gestito da lui, oppure il magazine Millepiani di Nanni Balestrini e Maria Teresa Carbone, parliamo del format e se non c'è la produzione facciamo una sorta di supervisione. Il tipo di filosofia era non fare un tv educational nè scimmiottare la tv in chiaro, ma fare un discorso sulle trasformazioni culturali in atto. La maggiore differenza con Arté è che loro dispongono di 300 milioni di euro all'anno, noi di 3 milioni e 600 mila euro. Avendo le repliche, cercavamo di fare prodotti che non invecchiassero velocemente, che raccontassero qualcosa oltre il semplice avvenimento.

Nel luglio 2004 Kennedy decide di vendere, nel febbraio 2005 tratta con Fox quando già si lavora al palinsesto 2006. Il 30 giugno Kennedy saluta e dal 1° luglio siamo senza proprietà. Chiamo e vengono a trovarmi i capi della Fox. Ma non è una riunione con lo staff nè per la programmazione. «La politica della Fox, dicono, è sostituire con gente Fox, niente di personale, grazie per l'ottimo lavoro» e inizia con molto garbo la trattativa di uscita. Dopo vengo a sapere che mettono a capo un dirigente colombiano allevato nel marketing a Los Angeles che sicuramente avrà problemi a muoversi con Pasolini visto da Giuseppe Bertolucci o Bonito Oliva o i Millepiani. A lui è stato detto che la Cni Italy struttura di servizi, la mettono in liquidazione entro il 30 settembre e questo è più grave di un avvicendamento di dirigenti, poichè Fox ha licenziato tutto il personale senza porsi neanche il problema di riciclare le competenze in Sky. L'obiettivo evidentemente è azzerare la nostra operazione non standardizzata che dava prodotti non omologati e non interrompeva i programmi con la pubblicità (ora ci sono ogni quarto d'ora). In ogni caso ci siamo presentati agli HotBirds Tv Award anche quest'anno.

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