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Articolo 21 - Editoriali
Il grande festival dei sogni infranti
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di Giovanni Valentini

da "la Repubblica"

Tra le vicissitudini giudiziarie del calcio nazionale e le diatribe sul Festival di Sanremo, è passata pressoché inosservata la notizia ? riportata recentemente da Repubblica nelle pagine economiche ? che Silvio Berlusconi, secondo la rivista americana Forbes, è salito al trentesimo posto nella classifica 2004 dei "Paperoni" mondiali, con un patrimonio personale di 10 miliardi di dollari. Il nostro presidente del Consiglio risulta così il più ricco fra tutti gli uomini politici del G7: basti dire che il presidente degli Stati Uniti, Gorge W. Bush, vanta una miseria di appena 15 milioni di dollari.

Ma il dato ancor più interessante è che nel corso dell´ultimo anno il patrimonio del premier italiano è quasi raddoppiato rispetto ai 5,9 miliardi della classifica 2003. Evidentemente, da quando è tornato alla guida del governo, non solo il presidente Berlusconi non ci ha rimesso un centesimo, ma anzi ha potuto accrescere in misura considerevole le sue sostanze. E mentre ciascuno di noi era (e lo è tuttora) alle prese con i problemi quotidiani della spesa, del carovita e delle tasse, lui ha accumulato in dodici mesi altri quattro miliardi di dollari.Se si trattasse di un qualsiasi industriale o finanziere, si potrebbe anche accogliere la notizia con quel tanto di ammirazione e - diciamolo pure - di invidia che essa inevitabilmente infonde. Ma Berlusconi è ormai un uomo politico, un leader di partito e, al momento, un capo di governo: perciò le sue fortune o sfortune economiche riguardano tutti noi, cittadini e sudditi di questo Paese. Tanto più che la sua attività imprenditoriale, com´è universalmente noto, concerne in prevalenza settori nevralgici per la vita collettiva, come la televisione (in regime di concessione pubblica) e l´editoria.

Può essere utile, a questo proposito, rileggere la storia finanziaria di Mediaset nel libro del giornalista Ennio Remondino intitolato Senza regole (Editori Riuniti) e dedicato agli imperi televisivi in Europa. Dall´ottobre del 1993, quando il Biscione era sull´orlo del fallimento con debiti per 4.000 miliardi di lire, alla quotazione in Borsa nel ?94, durante il primo governo Berlusconi; fino all´escalation degli ultimi anni.
Scrive Remondino: «Da quando Silvio Berlusconi, nel 2001, è diventato presidente del Consiglio ha visto schizzare verso l´alto gli utili della sua principale azienda, Mediaset», di cui oggi controlla di nuovo il 51%. L´utile è stato di 418,1 milioni di euro nel 2001 ed è salito a 497,1 l´anno successivo. Nel 2003, poi, gli affari sono andati ancora meglio: nel primo trimestre, l´utile ha superato i 190 milioni di euro, un 5,8 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell´anno precedente.

Nel frattempo, noi ? cittadini e sudditi ? abbiamo visto crescere l´inflazione, diminuire il potere d´acquisto dei salari, erodere i risparmi, aumentare le tariffe e le tasse (nazionali o locali). E siamo diventati più poveri. Altro che promesse elettorali, altro che sogni mirabolanti di sviluppo e di benessere? Erano illusioni, un grande festival di illusioni, dispensate dalla propaganda televisiva. Sogni infranti dalla realtà delle cose.
Ora il ministro Tremonti, dopo aver sfidato il sindacato sul famoso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, le opposizioni sulla riforma delle pensioni e la Banca d´Italia sulla politica monetaria e del risparmio, arriva a proporre un "metodo repubblicano" di confronto e di dialogo, per superare lo "spirito di parte". Ben venga, nella logica di un bipolarismo maturo. A patto, però, di applicarlo a tutto il programma di governo, dalla giustizia al federalismo, senza dimenticare il conflitto d´interessi, la questione televisiva e, da ultimo, la par condicio. Altrimenti, alla vigilia delle prossime elezioni europee e con i sondaggi sfavorevoli al centrodestra, più che un metodo rischierebbe di diventare un "soccorso repubblicano".
* * *
Chi s´è imbattuto - intorno alla mezzanotte tra mercoledì e giovedì scorsi - nel Porta a porta sul dopo Festival, ha avuto modo di assistere a una trasmissione di regime che merita di essere archiviata come un prototipo negli archivi della Rai. Nei panni del gran cerimoniere, in versione più ilare e salottiera, Bruno Vespa ha dato sfogo al suo patriottismo aziendale, cantando vittoria per l´audience di (quasi) 13 milioni di spettatori registrata dalla prima serata di Sanremo 2004. Ma il suo è stato un trionfalismo tanto prematuro da meritargli giustamente il giorno dopo, di fronte al repentino calo degli ascolti, un altro "Tapiro" di Striscia la notizia.
Il clou della serata è arrivato con l´esibizione in diretta di Mario Apicella, "posteggiatore" personale del presidente del Consiglio e coautore con lui di alcune canzonette di quart´ordine. Senza mai nominare Berlusconi, definito con finta nonchalance «un imprenditore brianzolo», Vespa è riuscito così a trasmettere un filmato in cui si vedono all´opera (e purtroppo si ascoltano anche) lo stesso premier, in tenuta bianca estiva, accompagnato alla chitarra dal medesimo Apicella. Un "soffietto", per usare un´espressione elegante, degno di una televisione bulgara.
C´era da temere che, dopo l´exploit alla Domenica sportiva sul calcio e sul Milan, il capo del governo avrebbe fatto in qualche modo il bis a Sanremo. E il presidente della Rai, Lucia Annunziata, l´aveva anche predetto.

Ma, a parte la discutibile contaminazione tra la politica e lo spettacolo, quello che più colpisce in programmi del genere è la partecipazione di esponenti del centrosinistra che finiscono, senza volerlo e forse senza saperlo, per fornire un alibi o una copertura a operazioni propagandistiche.
Nel caso specifico bisogna dire che il coordinatore della Margherita, Dario Franceschini, se l´è cavata più che egregiamente nel confronto diretto con il ministro Stefania Prestigiacomo. Ha fatto senz´altro meglio, però, la diessina Livia Turco a rinunciare al dopo Festival, non si sa se per scelta personale o per imposizione del suo partito.
Almeno fino alle elezioni di giugno, sarebbe più opportuno che gli esponenti dell´Ulivo si limitassero a comparire in trasmissioni rigorosamente politiche, assicurandosi in partenza una parità di condizioni e di trattamento, senza spot calcistici, musicali o di altro tipo a favore del presidente del Consiglio. E, da parte sua, il premier darebbe un buon esempio di "spirito repubblicano", affrontando finalmente un contraddittorio con Piero Fassino o Francesco Rutelli e magari una conferenza-stampa con un parterre di giornalisti scelti e indicati dai rispettivi direttori.  (sabatorepubblica.it)

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