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Articolo 21 - Editoriali
I caschi azzurri
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di Angelo Panebianco*

Non ci si può meravigliare troppo per la foto pubblicata ieri dal Corriere . Vi si vedono alcuni giovani che, del tutto indisturbati, innalzano immagini di Hassan Nasrallah, il capo degli Hezbollah, un uomo di guerra, durante la marcia per la pace Perugia-Assisi. Così come non ci si può meravigliare per la partecipazione alla marcia dei rappresentanti dellâ??Ucoii, l'organizzazione islamica, ispirata ai Fratelli musulmani, che paragona Israele al nazismo. Né per la folta presenza, documentata dai cronisti, di simboli e bandiere palestinesi. Chi si meraviglia mostra di non avere mai compreso di quante e quali ambiguità politiche sia impregnato il pacifismo italiano. Piuttosto, sarebbe interessante sentire cosa pensino di tutto ciò i molti politici della maggioranza che erano presenti alla marcia e che si sono affrettati a dichiarare la piena sintonia fra la manifestazione dâ??Assisi e lâ??azione del nostro governo. La missione militare nel Libano meridionale cui lâ??Italia si appresta a partecipare con un ruolo di rilievo è necessaria, fondamentale. Ed è giusto essere orgogliosi del fatto che lâ??Italia si sia impegnata a fare la sua parte. Però non ci si può nemmeno nascondere la circostanza che lâ??Italia, nella sua classe politica e nella sua opinione pubblica, mentre è unita nel sostenere la missione, non lo sia altrettanto nelle motivazioni per cui la sostiene. Câ??è «unità» sulla missione, non sui suoi scopi. Se ne è accorto benissimo Furio Colombo che, sullâ??Unità di ieri, ha osservato che molti, a sinistra, intendono la missione come una «camicia di forza» da porre intorno a Israele, il cattivo Israele contro cui hanno combattuto i nobili resistenti di Hezbollah: in una visione delle cose che è sostanzialmente complice di coloro che hanno scatenato la guerra (Hezbollah, finanziato e sostenuto dallâ??Iran) e il cui progetto era e resta quello di realizzare, prima o poi, la distruzione dello Stato di Israele.
Come conciliare tali motivazioni con quelle di chi pensa invece che la missione abbia il compito immediato di proteggere i confini di Israele dalla minaccia rappresentata da Hezbollah e quello, di più lunga lena, di creare le condizioni per il disarmo del «partito di Dio»?
Forse i fatti daranno ragione alle speranze di chi ritiene che la missione possa stabilizzare la tregua e dare lâ??avvio a un periodo di pace (così, ad esempio, ieri, su questo giornale, un grande esperto di questioni militari, e di conflitto mediorientale, come Martin van Creveld). Ma è anche possibile che Hezbollah, una volta ricostituite le sue forze grazie agli iraniani, ricominci a colpire Israele. Obbligando di nuovo gli israeliani a reagire. La missione si troverebbe allora tra due fuochi. Che effetti avrebbero sulla nostra partecipazione, a quel punto, gli orientamenti, così palesemente divisi e contraddittori, dellâ??opinione pubblica italiana?
Per ora registriamo il fatto che ci sono settori non irrilevanti del nostro Paese che hanno in orrore le missioni militari solo se il loro segno è, senza ambiguità, pro occidentale (come quella svolta in Iraq o quella tuttora in corso in Afghanistan). Questi stessi settori possono invece appoggiare una missione militare se, anche a dispetto delle motivazioni ufficiali del governo, sono in grado di attribuirvi in qualche modo, come nel caso della missione in Libano, un significato antioccidentale e, nello specifico, antiisraeliano. Anche a prescindere dal livello di rischio. Forse ancor più elevato in Libano che in Iraq o in Afghanistan.

*Corriere della Sera - 28 agosto 2006)

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