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Ruanda: oppositori politici in cella, la denuncia delle ONG
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di Bruna Iacopino

Ruanda: oppositori politici in cella, la denuncia delle ONG

Dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione Onu per i diritti umani, il 1° ottobre scorso, contenente pesanti accuse nei confronti del presidente ruandese Paul Kagame, durante quella che è stata ribattezzata la prima guerra mondiale africana, il Ruanda balza nuovamente agli onori della cronaca internazionale. In questi giorni, diverse agenzie di stampa estera, e molti quotidiani battono la notizia dell’arresto di Victoire Ingabire, una delle principali oppositrici dell’attuale presidente alle ultime elezioni ( benché non ammessa a parteciparvi), unitamente al peggioramento delle condizioni di salute di un altro oppositore di Kagame, già agli arresti dal giugno scorso e in sciopero della fame. A divulgare la notizia in Italia, tra gli altri, il sito di Nigrizia, che sul numero di novembre pubblicherà l’intervista integrale fatta con la Ingabire qualche giorno prima dell’arresto ufficiale.
Victoire Ingabire, leader della FDU, di etnia hutu, dopo un lungo periodo d’esilio vissuto in Olanda aveva fatto ritorno nel paese d’origine con lo scopo di presentarsi alle elezioni presidenziali svoltesi nell’agosto di quest’anno, tuttavia viene arrestata una prima volta a marzo con l’accusa di “negazionismo” in riferimento al genocidio ruandese, “divisionismo” e concorso in organizzazione terroristica, accuse tutte negate dalla diretta interessata. Rilasciata ad aprile dietro cauzione, era stata trattenuta comunque a Kigali in attesa che la magistratura facesse gli accertamenti del caso.
La svolta mercoledì scorso in seguito all’arresto e alla confessione di un ex ufficiale delle Forze armate rwandesi (Far, l'esercito del regime di Habyarimana fino al 1994) alla frontiera tra Rwanda e repubblica democratica del Congo. “Costui – racconta Nigrizia- avrebbe rivelato che beneficiava del «concorso della Ingabire per costituire il braccio armato delle Fdu»”. In seguito a questa confessione per la Ingabire sono scattate di nuovo le manette, ora si troverebbe dentro un commissariato di Kigali in attesa di essere ascoltata da un giudice. Sorte analoga è toccata anche ad un altro oppositore politico di Kagame, Bernard Ntaganda, a capo del PS-Imberakuri, altro partito d’opposizione, al pari della FDU estromesso dalle elezioni di agosto. Ntaganda, arrestato il 24 giugno scorso, con gli stessi capi d’accusa della Ingabire, sarebbe stato ricoverato d’urgenza il 14 di ottobre a causa delle sue cattive condizioni di salute, dopo un lungo sciopero della fame. A rivelarlo è l’organizzazione internazionale Human Rights Watch che denuncia anche le restrizioni a cui i due prigionieri sarebbero sottoposti: a nessuno dei due è stato consentito di ricevere visite né da parte dei familiari né da parte degli amici. HRW fa appello dunque alle autorità ruandesi affinchè vengano rispettati i diritti dei due oppositori politici e le loro responsabilità vengano accertate in base a prove certe.
A questo si aggiunge oggi l’appello rivolto  dai partiti dell’opposizione uniti nel Consiglio consultivo permanente, che raggruppa FDU ( il partito della Ingabire), il PS Imberakuri  ( di Ntaganda, l’unico ad avere ottenuto un riconoscimento ufficiale)  e il Partito democratico verde del Ruanda, una formazione creata da transfughi del fronte patriottico ruandese al potere,  al Consiglio di sicurezza dell’ONU perché intervenga per la liberazione dei “prigionieri politici”, oltre ai due già citati anche Déo Mushayidi e l’ex ministro Charles Ntakirutinka.
Le ombre pesanti che avevano segnato le ultime elezioni ruandesi, con la riconferma di Kagame continuano ad essere piuttosto fitte. Già allora molti commentatori, ma anche organizzazioni internazionali come Amnesty International, avevano parlato di elezioni non libere visto l’arresto di alcuni oppositori politici, e a lanciare l’allarme era stata anche Reporters Sans frontieres che nello stesso periodo aveva registrato la chiusura di ben 30 organi di informazione, tanto da parlare di “elezioni imbavagliate” e fare appello alla comunità internazionale affinchè non continui ad appoggiare "un regime repressivo" come quello di Kagame.


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