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Chi e perché ha voluto sbattere il "mostro" tunisino in prima pagina?
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di Valter Vecellio

Chi e perché ha voluto sbattere il "mostro" tunisino in prima pagina?

Hanno retto poche ore, le accuse contro Mohammed Firki, il giovane marocchino accusato del sequestro e dell’omicidio di Yara Gambirasio, la ragazza d Brembate di Sopra scomparsa il 26 novembre scorso. Gli indizi che avevano portato al suo fermo, mentre era a bordo di una nave diretta in Marocco, a meno di 48 ore di distanza non bastano e ora le indagini ripartono da zero. La frase "Allah mi perdoni, non l'ho uccisa io", finita nel faldone dell'accusa è stata mal tradotta, ha spiegato il marocchino davanti al giudice per le indagini preliminari. Si tratta, sottolinea l'accusato, di un imprecazione. Inoltre, non ha tentato la fuga: quel biglietto per il Marocco era stato acquistato da tempo. Così l'impianto accusatorio è crollato, ed è stato lo stesso Pubblico Ministero Letizia Ruggeri, durante l'interrogatorio di garanzia, a chiedere la convalida del fermo, ma allo stesso tempo a chiedere che il 22enne lasci il carcere.

Capita di prendere abbagli; il problema è quando a questi abbagli non si pone rimedio e ci si accanisce; e capita, purtroppo, che a sbagliare siano anche gli investigatori. Quello che non dovrebbe capitare è che qualche compiacente “gola profonda” si incarichi di raccontare ai giornalisti la frase che, estrapolata dal suo contesto, e per di più tradotta male, costituiva un inequivocabile atto d’accusa nei confronti di Mohammed Firki. Ma il ministero della Giustizia non credono che sarebbe il caso di attivarsi per capire di chi sia la responsabilità per quanto accaduto?

In questi giorni si è detto e scritto di tutto, e non è da credere che tutto sia solo frutto di giornalisti privi di scrupoli che in qualche modo dovevano riempire la pagina bianca e corrispondere alle sollecitazioni di direttori e capiredattori “affamati” di notizie su questa vicenda.
 
L’agenzia “AdN-Kronos” si è divertita a riassumere le “farfalle” cui si è dato corpo in questi giorni: è stato il marocchino, insieme a un complice italiano; no gli italiani sono due, no anzi c'è un intero branco di molestatori su un furgone bianco; anzi no su un'auto rossa ammaccata…Non è la prima volta che accade, e non sarà neppure l’ultima, purtroppo. L’esperienza non insegna nulla, ogni volta è lo stesso copione. Nulla ha insegnato il caso della strage di Erba: ricordate, anche allora venne indicato in un nordafricano il responsabile del “fattaccio”. Abbiamo poi visto che la strage era stata commessa da una coppia italianissima…Non cito, perché sarebbe perfino banale e scontato, la vicenda Tortora. Ma quella vicenda è da manuale, per capire come si fanno (e non si fanno) le indagini; come si fabbricano le notizie.
 
Per fortuna – anche se molti in cuor loro lo desideravano – ci è stata risparmiata la campagna razzista e xenofoba, e proprio da coloro che ci si aspettava che non avrebbero perso l’occasione per cavalcare la vicenda – i leghisti – sono giunte parole caute e inviti alla prudenza: dal sindaco di Brembate al presidente della provincia di Bergamo. La parola d’ordine che circolava l’altro giorno tra gli uomini della Lega era compostezza, moderazione; vuoi perché – magari da precedenti e recenti scottature, vuoi perché qualcuno deve aver capito chei conti non tornavano – fatto è che questa volta dal Carroccio sono arrivate parole di responsabilità e cautela.

Altre parole di responsabilità e di cautela sono arrivate dall’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi: facendo ricorso al Vangelo secondo Luca e alla parabola del seminatore ("Milano è una città dal terreno buono, ma è anche soffocata dai rovi che non consentono di germogliare") Tettamanzi per il suo nono appuntamento con il discorso ha ricordato che "ogni persona di origine italiana o straniera, deve essere sempre giudicata singolarmente, per quella che è". Un discorso alto e che richiama tutti e ciascuno alle proprie responsabilità, quello di Tettamanzi; che ha puntualmente provocato la reazione del vice-sindaco-sceriffo di Milano, Riccardo De Corato. All’arcivescovo che ha chiesto di non considerare tutti gli stranieri delinquenti, ha replicato che "sono i numeri a dire da che parte degli immigrati o dei Rom che occupano abusivamente stabili pubblici e privati ci sia un problema di rispetto delle regole". Una reazione, quella di De Corato, che costituisce la certificazione migliore delle buone ragioni di monsignor Tettamanzi.


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