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La Libia e l’amico di B.
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di Francesco Peloso

La Libia e l’amico di B.

“I violenti attacchi da parte delle forze di sicurezza contro i manifestanti pacifici mostrano tutta la brutalità di Muammar Gheddafi  di fronte a ogni forma di dissenso nel suo Paese. I libici non devono essere obbligati a rischiare la vita solo per esercitare i loro diritti fondamentali”. Si è espressa in questi termini, nelle ultime ore, Sarah Leah Whitson, direttore della divisione Medio Oriente e Nord Africa di Human Rights Watch. La stessa organizzazione aveva diffuso nella giornata del 17 febbraio, la notizia che i morti nelle dimostrazioni anti-Gheddafi sarebbero stati almeno 24 e decine i feriti. Secondo altre fonti riportate dalle agenzie di stampa, il 18 febbraio, il numero delle vittime sarebbe arrivato a 50, mentre secondo ulteriori informazioni che devono trovare conferma, la città di Beida, in Cirenaica sarebbe nelle mani degli insorti.

Nei giorni scorsi, ancora una volta, il Presidente del Consiglio italiano aveva auspicato che nei Paesi arabi prevalessero i principi liberali e non il fondamentalismo islamico, solo così sarebbe potuta nascere la vera democrazia. Affermazione grottesca per varie evidenti ragioni. In primo luogo per il pulpito dal quale viene pronunciata – i principi di una democrazia liberale vengono infatti massacrati di ora in ora dal governo italiano  in carica per le tutele personali del Premier – poi per l’imbarazzante assurdità dell’argomentazione: il Medio Oriente ridotto a una caricature dell’Occidente diviso fra estremismo religioso e una ipotetica strada liberale araba. La complessità straordinaria e delciata di un mondo in rivolta viene del tutto cancellata.

C’è però dell’altro, come è noto. Solo pochi mesi fa, per due volte, il colonnello Muammar Ghedddafi, piantava le tende – e non in senso metaforico – nel cuore di Roma, con grande spolvero di hostess e amazzoni, lezioni sull’Islam, baci e abbracci con lo stesso Berlusconi che organizzava ricevimenti  fino a tarda notte per il suo prestigioso ospite. C’è poi il mirabile ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, il quale il 17 gennaio – come abbiamo già avuto modo di ricordare – spiegava l’abile manovra per costruire il consenso messa in atto dal colonnello: “Faccio l’esempio di Gheddafi. Ha realizzato una riforma che chiama ‘dei congressi provinciali del popolo’: distretto per distretto si riuniscono assemblee di tribù e potentati locali, discutono e avanzano richieste al governo e al leader. Cercando una via tra un sistema parlamentare, che non è quello che abbiamo in testa noi, e uno in cui lo sfogatoio della base popolare non esisteva, come in Tunisia. Ogni settimana Gheddafi va lì e ascolta. Per me sono segnali positivi”. Quando si dice la politica estera.

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