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Articolo 21 - ESTERI
Ungheria in noir, allarme europeo
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di Francesco Peloso

Ungheria in noir, allarme europeo L’Ungheria torna al passato e sceglie il nero. E’ questo il colore che sembra pervadere la nuova Costituzione approvata nei giorni scorsi da un Parlamento ampiamente controllato dalle destre nazionaliste e xenofobe. Un brutto segno con dei brutti precedenti, un virus antico si aggira per l’Europa. In questo articolo che ho pubblicato sul Riformista, il punto su quanto sta accadendo.

Segnali inquietanti arrivano dall’Ungheria: la nuova Costituzione ratificata domenica scorsa, è infatti quanto di più vicino a un regime ‘autoritario morbido’ sia fino ad ora comparso nell’Europa del dopo Muro. Il Paese, governato ora dal partito ultranazionalista e clericale Fidesz, ha varato una nuova Carta che va a modificare profondamente quella approvata nel 1989, dopo il crollo del sistema sovietico. In pratica tutto o quasi il potere viene consegnato nelle mani del Primo ministro Viktor Orban e del Presidente Pal Shmitt, entrambi espressione della nuova destra. Shmitt, presiedendo la cerimonia dell’approvazione, ha sottolineato che la firma del testo avvenuta nel giorno di Pasqua, costituisce “un segno del destino”; e del resto il richiamo ideologico all’Ungheria cristiana del passato, alla sacra corona di re Stefano simbolo da oltre un millennio dell’unità della nazione, sono elementi essenziali della Carta approvata con i soli voti del  Fidesz. Le opposizioni, quella socialista e quella verde-liberale, hanno abbandonato i lavori del Parlamento per distinguersi dalla destra ancora più estrema, quella del partito Jobbik, che invece ha espresso il proprio voto contrario.

La nuova Carte fondamentale dell’Ungheria in vigore a partire dal gennaio del 2012, prevede forti limitazioni ai poteri della Corte costituzionale che non potrà intervenire in materia fiscale finché il deficit pubblico rimane oltre il 50% del pil; il Consiglio di bilancio della Banca centrale, composto da uomini vicini al premier Orban, potrà inoltre porre un veto sulle prossime leggi finanziarie mentre il Presidente, qualora entro il 31 marzo di ogni anno non venisse approvata la legge di bilancio, avrà la facoltà di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni. In tal modo, pure se nella prossima legislatura gli ultraconservatori dovessero diventare minoranza, il nuovo governo rimarrà comunque sotto scacco. Anche perché si stabilisce che, per approvare nuove leggi in materia fiscale e sociale, sarà necessaria una maggioranza dei due terzi. Ancora vengono poi enormemente rafforzati i poteri dell’esecutivo. Fra gli elementi più controversi c’è l’affermazione del diritto di voto delle minoranze ungheresi di Romania, Slovacchia e Austria, con riferimento a rivendicazioni territoriali precedenti alla prima guerra mondiale. Questo è uno dei punti più delicati: s’insinua infatti, lungo questo tortuoso percorso, il principio di  una sorta di spazio vitale magiaro.

Il quadro generale, sotto il profilo ideologico, viene completato dal carattere fortemente clericale del testo: in sostanza la nuova Costituzione riconosce il cristianesimo  come matrice originaria della nazione. Da qui discende la tutela del feto – il che impedirebbe una legislazione sull’aborto – il riconoscimento del solo matrimonio fra uomo e donna, mentre si dichiara che l’orientamento sessuale non costituisce un elemento per riscontrare forme di discriminazione. Dunque gli omosessuali diventano figlia di un dio minore. Senza contare che per le famiglie monoparentali si annunciano tempi non facili. Di fronte a una svolta di queste proporzioni, inevitabilmente le istituzioni europee hanno messo Budapest sotto osservazione, così come le Nazioni Unite attraverso lo stesso Segretario generale Ban Ki Moon, anche perché è assai recente il grande allarme per le limitazioni imposte alla libertà di stampa.

La questione del resto è particolarmente delicata se si considerano alcuni precedenti. A cominciare dal drammatico conflitto nell’ex Jugoslavia nei primi anni ‘90, anche in quel caso frantumarsi di un regime comunista, dove esplosero i furori nazionalistici e trovarono linfa  nuova e velenosa concetti come quello di “grande Serbia” e in generale ogni tipo di rivendicazione etnica e territoriale, fino a cancellare l’esperienza cosmopolita e plurireligiosa di Sarajevo. Insomma il “laboratorio Ungheria” può far sorgere nubi oscure nell’Europa di domani. Anche perché si tratta di un Paese nel cui passato si può leggere la storia sanguinosa di un regime filonazista, quello di Horthy, delle famigerate croci frecciate, che appoggiò il reich millenario fino ai suoi ultimi giorni, dando prova di efferatezze tragiche.




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