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La vita troppo breve di Giuseppe D'Avanzo
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di Nicola Tranfaglia*

La vita troppo breve di Giuseppe D'Avanzo
Breve e, senza dubbio, ricca di tensioni e contrasti pubblici, l’esperienza di giornalista e di scrittore del napoletano Giuseppe D’Avanzo scomparso improvvisamente a poco più di cinquant’anni.  In un giornalismo timido e conformista, come gran parte di quello che siamo abituati a leggere nella lunga stagione berlusconiana ormai incominciata a metà degli anni novanta, la sua firma - attenta e pungente - ha significato per i lettori, come per gli studiosi dell’Italia contemporanea, un invito pressante a scavare dietro le notizie, a non fermarsi alla superficie delle vicende politiche italiane e internazionali ma ad andar oltre: a cogliere connessioni e retroscena, alleanze e lati nascosti, lotte di potere lecite e illecite.
Così lo abbiamo trovato a metà degli anni duemila di fronte al caso Litvinenko e all’affare Mitrokin e ricordo gli articoli che scriveva quando mi trovavo a seguire quella intricata vicenda come consulente parlamentare per il centro-sinistra di quella scombinata e improbabile commissione di inchiesta. 
E, nello stesso tempo, abbiamo seguito, come spettatori e in alcuni anni come attori della politica italiana, le vicende che hanno caratterizzato la manovra occulta dei servizi segreti americani, strettamente collegata a quelli italiani militari, il Sismi, che ha condotto al rapimento in Italia di Abu Umar.
E ancora abbiamo seguito negli ultimi anni le vicende a dir poco incredibili della vita pubblica e privata del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al quale il giornalista del maggior quotidiano di opposizione ha fornito le dieci domande politiche e personali, a cui l’attuale capo del governo non ha mai creduto fino ad oggi di dover rispondere. Di qui i suoi contrasti non soltanto con i sostenitori di Berlusconi ma anche con quei giornalisti dei più grandi quotidiani del paese che hanno assunto nel ventennio berlusconiano posizioni oscillanti ma mai così decise nell’opposizione al leader milanese. In questo senso dobbiamo dire che c’è solo l’imbarazzo della scelta nel fare citazioni: da Pier Luigi Battista de La Stampa ad Ernesto Galli de La Loggia ad Angelo Panebianco entrambi editorialisti principi del Corriere della Sera. A D’Avanzo questi articolisti o editorialisti non potevano rimproverare molto, vista la precisione e l’attenzione investigativa del giornalista napoletano, ma non accettavano che il giudizio su Berlusconi e sul suo governo fosse sempre negativo. Preferivano oscillare almeno fino a quando conviene ai loro editori e a loro stessi. D’Avanzo, maturato il suo giudizio, ha seguito con chiarezza una linea aperta di critica del potere.    
 
* Pubblicato su l'Unità 

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