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Cina: l’anno dei diritti disumani
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di Chen Xinxin

Cina: l’anno dei diritti disumani

da Il mondo di Annibale
Sparizioni forzate e arresti domiciliari illegali per chiudere la bocca ai dissidenti. Attivisti rinchiusi in carcere, altri condannati a detenzioni prive di basi legali. Torture e minacce per chi si batte per il rispetto dei diritti umani. Il 2011, prima ancora di giungere al termine, è stato un altro anno nero per i diritti umani in Cina e per chi tenta di difenderli. I mesi peggiori, secondo un rapporto diffuso da Chinese Human Rights Defender (Chrd, rete non governativa di attivisti cinesi e non), sono stati quelli tra febbraio e giugno, durante la «Repressione dei Gelsomini».
Anche nella Giornata mondiale dei diritti umani, secondo l’agenzia di stampa Dpa, diverse persone sono state fermate a Pechino mentre tentavano di raggiungere la sede delle Nazioni Unite. Renee Xia, direttore di Chrd, denuncia un anno di «dura repressione», l’«ipocrisia» di Pechino sulla questione dei diritti umani con gli «impegni presi davanti al mondo e di fatto non rispettati» e le «risposte arroganti, intimorite e terrorizzate del governo cinese all’assegnazione del premio Nobel a Liu Xiaobo e, poi, alla Primavera Araba».
Il 2011 del gigante d’Asia, secondo Chinese Human Rights Defenders, è stato segnato da un «diffuso ricorso alla pratica delle sparizioni forzate». «Durante la Repressione dei Gelsomini – si legge nel rapporto – almeno una ventina di attivisti, alcuni dei quali molto noti, sono stati vittime di sparizioni forzate. Molti sono stati trattenuti per settimane, altri per mesi», come nel caso dell’artista Ai Weiwei e dell’avvocato Teng Biao.
All’assegnazione del Nobel per la pace a Liu Xiaobo nell’ottobre del 2010, denuncia l’organizzazione, Pechino ha risposto con un’ondata di repressione che ha colpito gli attivisti. Una trentina sono finiti agli arresti domiciliari. Alcuni sono ancora costretti a rimanere in casa, sotto stretta sorveglianza. Lo stesso Liu resta in carcere per scontare una condanna, comminatagli nel 2009, a 11 anni di prigione. Si è macchiato della colpa di aver promosso la Carta 08, il documento per riforme politiche e legislative in Cina. E sua moglie rimane in «isolamento», denuncia Amnesty International, nella sua casa di Pechino dall’ottobre dello scorso anno. Non è stata accusata di alcun reato. Il pugno di ferro di Pechino non si ferma ad attivisti e avvocati impegnati per il rispetto dei diritti umani.


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