Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - INFORMAZIONE
Mettersi al loro fianco, diffondere i loro articoli
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Alberto Spampinato*

Mettersi al loro fianco, diffondere i loro articoli

Accadono brutte cose nel cuore dell’Italia, e non se ne parla abbastanza. Le infiltrazioni mafiose stanno lasciando il posto a un vero e proprio radicamento criminale. Il riciclaggio sta diventando un canale di finanziamento alternativo per le imprese. Centinaia di negozi vanno a fuoco,  uno dietro l’altro, e solo qualcuno riconosce la puzza di bruciato tipica delle estorsioni. Appalti, commesse, concessioni, incarichi spesso non vanno al miglior offerente, vanno al più forte. Gli scambi di favori fra ambienti criminali, politici, imprenditori, professionisti sono sempre meno occasionali…

Accadono queste e altre brutte cose nel cuore dell’Italia e non se ne parla abbastanza. In pochi anni, i peccati più gravi del Sud povero e arretrato si sono diffusi come metastasi nel corpo del paese. Si sono diffusi, hanno trovato terreno fertile ed hanno attecchito. I cittadini delle regioni più ricche e sviluppate del Centro e del Nord ancora non riescono ad ammetterlo, ma l’economia criminale ha già conquistato molto terreno sul loro territorio e le sue turpi necessità – oltre a limitare la libera concorrenza – limitano le regole di giustizia e di uguaglianza nelle loro orgogliose regioni fino a poco tempo fa invidiate per essere immuni dalle forme più gravi di criminalità.

Che tutto ciò stia accadendo è attestato da indagini, fascicoli giudiziari, articoli, inchieste giornalistiche e libri come quelli scritti da Giovanni Tizian, David Oddone e Antonio Roccuzzo, per quanto riguarda l’Emilia Romagna. Dunque bisogna prendere atto che le mafie da tempo sono di casa e cercano di espandersi sempre più  anche in questa parte d’Italia. Prendere atto ed, eventualmente, chiedersi come una infezione tanto grave si sia potuta diffondere così silenziosamente, senza suscitare allarme e ancora sia largamente sottovalutata.

Ma non è questo lo scopo dell’incontro di oggi. Qui vogliamo discutere di possibili rimedi, di iniziative possibili e realizzabili per arginare il diffondersi dell’infezione. Vogliamo discutere in particolare di come fare valere la libertà di cronaca e il diritto dei cittadini di essere informati, due cose essenziali per contribuire ad arginare la contaminazione dell’illegalità.

Di fronte a qualsiasi infezione, la prima cosa da fare è fornire ai cittadini gli elementi per conoscere il morbo, i metodi con cui si diffonde, la profilassi per limitare il contagio. E’ necessario affinché i cittadini possano fare attivamente la loro parte. Anche di fronte al contagio della peste mafiosa, bisogna dare ai cittadini le informazioni di base e inoltre bisogna informarli tempestivamente e senza reticenza di ogni novità rilevante su ciò che accade intorno a loro. Ecco il compito delle istituzioni e il ruolo dei giornali e dei giornalisti. Il loro compito non è facile quando le notizie che devono trattare sono sgradite a personaggi potenti, a criminali in grado di intimidire e di fare ritorsioni. Di fronte a questi personaggi, i giornalisti provano la stessa paura che chiude la bocca ai testimoni e alle vittime. Perciò se si vuole che i giornalisti informino in modo completo i cittadini bisogna aiutare i giornalisti a superare la paura, riducendo al massimo i  rischi. Occorre riconoscere e valorizzare la funzione sociale dell’informazione giornalistica. A questo fine si possono fare molte cose. Ad esempio, con il giornalismo di squadra i giornali possono ridurre il rischio personale spersonalizzando la notizia, possono evitare che un giornalista giochi da solo la partita contro le notizie più difficili, come se fosse una lotta personale. E’ ciò che si è fatto durante gli “anni di piombo” per trattare le notizie più scottanti sul terrorismo. Ad esempio, le istituzioni possono riunire le forze della società e dell’informazione impegnate nell’opera di alfabetizzazione antimafia. E moltissimo ancora si può fare rendendo concreta la solidarietà nei confronti dei minacciati, di tutti i minacciati, giornalisti, imprenditori, funzionari pubblici, professionisti, amministratori. E’ necessario perché la solidarietà è la vera arma di difesa che rende forti i deboli e li fa vincere.

Premesso che la solidarietà deve valere nei confronti di tutte le vittime di violenze, soprusi, intimidazioni della criminalità organizzata, voglio sottolineare quanto sia necessaria la solidarietà nei confronti dei giornali e dei giornalisti minacciati. Bisogna pensare ai giornali come ai mezzi di trasporto delle informazioni e ai giornalisti come ai controllori che scelgono quali notizie far salire a bordo per farle conoscere ai cittadini. I giornali sono dunque nodi strategici del sistema dell’informazione. I mafiosi lo hanno sempre saputo. Proprio per questo hanno sempre intimidito i giornalisti. E’ una funzione fisiologica della criminalità organizzata. I giornalisti vengono intimiditi, minacciati, colpiti da violenze, abusi e ritorsioni proprio per condizionare e piegare a interessi privati il potere di scelta che sono chiamati ad esercitare nell’interesse generale. I giornalisti hanno dunque un’alta responsabilità sociale che dovrebbe essere tutelata più attivamente se vogliamo che non siano mediatori passivi, ma testimoni e certificatori della realtà, sentinelle in grado di dare l’allarme quando è necessario. I giornalisti hanno il dovere di raccontare ai lettori, tempestivamente, senza omissioni e senza parzialità, tutti i fatti di rilevanza generale di cui vengono a conoscenza. Non possono limitarsi a guardare le informazioni convogliate attivamente dalle  varie fonti (con conferenze stampa, comunicati, segnalazioni verbali) per scegliere cosa pubblicare e cosa non pubblicare notizie. La deontologia professionale impone ai giornalisti di cercare con il lanternino le notizie più nascoste, le informazioni importanti per i cittadini. Ad esempio, se un personaggio pubblico appare coinvolto in certe vicende, un giornalista deve approfondire la questione e riferire come appaiono le cose, non può dire che non pubblica nessuna notizia perché la vicenda è in evoluzione e magari si concluderà con l’assoluzione dell’interessato. Un giornalista sportivo non sta alla finestra ad aspettare che una partita di calcio sia finita per dire chi ha vinto e chi ha perso, racconta le azioni mentre si svolgono in campo. Un giornalista che si occupa di cronaca politica, di giudiziaria, di cronaca nera deve fare lo stesso: raccontare gli sviluppi. Se un giorno ci sono ragionevoli elementi per pensare che probabilmente un personaggio pubblico si è comportato male, oppure risulta che certe istituzioni probabilmente stanno favorendo affari loschi o discutibili, o che certi professionisti, colletti bianchi, imprenditori sono compiacenti con chi aggira le regole, vorremmo leggere queste cose su tutti i giornali, ascoltarle in tutti i notiziari. Sappiamo che in realtà le cose non vanno così: di solito un solo giornale e un solo giornalista pubblica la notizia più delicata. A volte è uno “scoop”, ovvero una informazione ottenuta da una fonte esclusiva. Altre volte, il più delle volte, invece, quella informazione era stata accessibile a più di un giornalista, ma solo uno l’ha resa pubblica, mentre gli altri cronisti l’anno lasciata nella penna. Ciò accade perché non è pacifico pubblicare notizie sgradite ai personaggi a cui si riferiscono. Pubblicarle crea sempre fastidi. A volte è anche pericoloso: di solito diventa pericoloso quando un giornalista pubblica quella certa notizia e gli altri stanno a guardare, fingono di non saperne nulla,  colpevolizzano ed isolano l’autore dello scoop. Un giornalista isolato è facilmente esposto a minacce e ritorsioni. E’ facile che sia intimidito, minacciato, querelato, citato per danni  o che passi altri guai.

Dunque bisogna avere molto rispetto per giornalisti come Giovanni Tizian che hanno il coraggio di dire certe cose, di pubblicare notizie sgradite a personaggi potenti e temibili. Bisogna essere grati ai giornalisti come lui che prendono il fuoco con le mani. Se non si è disposti a riconoscere il merito, il coraggio, il senso civico di chi nell’interesse collettivo si espone personalmente ai rischi e alle ritorsioni, si rischia che la libertà di informazione debba cedere il passo all’arbitrio dei violenti e dei prepotenti.

Come evitare che ciò possa accadere? E’ necessario che innanzitutto gli altri giornalisti lo difendano con la solidarietà, cioè mettendosi intorno a lui.

Purtroppo ciò accade raramente. Accade che la solidarietà si esprima con un comunicato a cui non fanno seguito gesti concreti. Questo non basta. Bisogna fare di più. Questo è il problema principale che i giornalisti devono risolvere da tempo ed è più che mai attuale. Non è facile risolverlo, perché ci sono molte implicazioni, innanzi tutto politiche, culturali, ideologiche. Ci sono partigianerie dure a morire che inducono molti a pensare che la loro solidarietà spetti solo agli amici più stretti, ai compagni di cordata, di partito, di corrente, ai giornalisti della stessa testata. E’ un errore in cui incorrono anche persone di saldi principi. E’ l’eredità di una stagione in cui le ideologie hanno scavato solchi profondi fra esseri umani. E’ un atteggiamento che indebolisce i giornalisti onesti e perciò bisogna sforzarsi di superarlo.

Per riuscirci i giornalisti devono cominciare a parlarne apertamente. Devono discuterne. Devono confrontarsi. Devono rompere il tabù che finora lo ha impedito. I tempi sono maturi per sviluppare una riflessione rispettosa di tutti i punti di vista, anche di chi pensa che pubblicare notizie sgradite a persone potenti e temibili rappresenti un rischio dal quale un giornalista non ha modo di proteggersi.  Bisogna considerare anche questo punto di vista, perché in effetti i rischi sono concreti e reali e finora nessuno ha detto come si aiuta concretamente un giornalista a fronteggiarli, come si aiuta un giornalista alle prese con una notizia  scomoda e pericolosa a trovare la forza e il coraggio che sono necessari in questi casi.

In Italia chi maneggia le notizie scomode corre veramente il rischio di subire violenza, aggressioni, ritorsioni, di finire in carcere per diffamazione, di essere condannato a pagare milioni di euro per il  semplice fatto di aver formulato una critica che in altri paesi sarebbe considerata normale. Negli ultimi anni il numero dei giornalisti italiani che hanno subito queste conseguenze è aumentato enormemente, come testimoniano i dati raccolti da Ossigeno. Da 20 casi l’anno del 2006, siamo passati a 40, 60, 78 annui, per arrivare ai 95 casi del 2011 in cui sono coinvolti 324 giornalisti. Fino ad arrivare a 924 giornalisti coinvolti in cinque anni. Questi numeri dicono che In Italia il giornalismo critico e la raccolta di notizie scomode sono attività poco tollerate e che le notizie oscurate con abusi e violenze sono molto numerose.

Il numero dei giornalisti intimiditi è da anni in continuo, progressivo aumento, per alcune ragioni essenziali che il Rapporto Ossigeno 2011-2012 di imminente pubblicazione illustrerà in dettaglio:

1 – La diffusa presenza della criminalità organizzata e della corruzione;

2 – Gli effetti di una legislazione arcaica sulla diffamazione a mezzo stampa, sul segreto professionale e sui risarcimento danni, animata da spirito punitivo nei confronti dei giornalisti che ricalca quella di alcuni regimi autoritari;

3 – L’impunità quasi assoluta per chi, con la violenza o con palesi abusi del diritto,  impedisce a un giornalista di informare l’opinione pubblica.

4 – L’elevata dipendenza dei giornali dai finanziamenti pubblici; la struttura editoriale che nella generalità dei casi è affidata ad imprenditori che hanno interessi prevalenti in altri settori economici; la concentrazione delle risorse pubblicitari e della proprietà editoriale dell’emittenza televisiva in poche mani;

5 – L’enorme diffusione del lavoro giornalistico precario, che prevede paghe misere, a cottimo e non impegna l’editore a farsi carico di eventuali spese di assistenza legale.

Tutto ciò ha indebolito all’osso l’autonomia e l’indipendenza dei singoli giornalisti, ha indebolito il giornalismo italiano. Bisogna sciogliere questi nodi per restituire al giornalismo italiano la sua autonomia ed indipendenza.

Ma intanto bisogna aiutare concretamente quei giornalisti che prendono il fuoco con le mani. Quelli che accettano il rischio. Quelli che si espongono di più e perciò subiscono intimidazioni, minacce e ritorsioni. Sono tantissimi. Più di quanti si possa immaginare.

Giovanni Tizian, 29 anni, è stato il quinto giornalista minacciato in Italia dall’inizio del 2012. Dopo il suo caso, che è fra i più gravi di questi anni, Ossigeno ha registrato altri quattro casi di intimidazioni, con 19 giornalisti coinvolti. E siamo ancora a gennaio! Dal 22 dicembre 2011 Tizian vive protetto dalla polizia 24 ore su 24. Anche altri giornalisti (mancano informazioni complete sul loro numero) conducono una vita blindata e rischiano tutti i giorni. Dal 2007, Lirio Abbate, Rosaria Capacchione e Roberto Saviano vivono in queste condizioni. Un’altra decina di giornalisti meno noti conduce la stessa vita blindata. Sono cronisti che, come Tizian,  hanno pubblicato in esclusiva notizie e inchieste che i boss della mafia considerano dannose per la loro attività criminale.

Pubblicare notizie approfondite sull’attività della mafia aiuta molto la lotta contro la mafia, perché apre gli occhi ai cittadini onesti è li aiuta a difendersi. E’ dunque un’attività di pubblico interesse. Ma è un’attività rischiosa. Molto rischiosa. In Italia fra il 1960 e il 1993 sono stati uccisi nove giornalisti che pubblicavano questo genere di notizie e due giornalisti che scrivevano coraggiosamente sul terrorismo [1]. L’ultimo giornalista assassinato in Italia è stato Beppe Alfano, ucciso in Sicilia. Da allora la mafia non ha ucciso altri giornalisti, ma non ha rinunciato a minacciarli e pianificare l’assassinio dei più irriducibili. Non ci sono stati altri omicidi per due principali ragioni: perché i mafiosi riescono a condizionare o bloccare le notizie scomode con mezzi più subdoli; perché, per fortuna, nel frattempo, gli inquirenti hanno sviluppato strumenti di indagine più raffinati, e ciò ha permesso di sventare numerosi attentati.

Finché ci saranno giornalisti liberi e coraggiosi, ci saranno giornalisti  minacciati. Per risolvere il problema bisogna sradicare la mafia, che non può fare a meno di esercitare minacce, intimidazioni e violenze per oscurare informazioni sulla sua attività, sui suoi affari, sui contatti che sviluppa nella società legale. Perciò oltre a sviluppare la lotta contro la mafia,  bisogna preoccuparsi di proteggere i giornalisti minacciati.

Questi giornalisti devono essere protetti dalle forze dell’ordine, ma anche gli altri giornalisti devono proteggerli, mettendosi al loro fianco, anche i cittadini  devono proteggerli, circondandoli di solidarietà, facendo vedere che non sono soli, dimostrando che le intimidazioni non spengono la voce del giornalista preso di mira, ma anzi la amplificano, la moltiplicano per cento, per mille, e quindi le minacce sono vane e controproducenti. Non è facile, ma è possibile. Ad esempio, pubblicando gli articoli per cui sono stati minacciati su tutti i giornali, diffondendoli con ogni mezzo, rendendo facilmente accessibili quelle notizie che si è cercato di oscurare con la violenza e con gli abusi: in altre parole, dimostrando che le minacce rendono più conosciute e più visibili le informazioni che si cerca di nascondere ai cittadini.

In Italia  queste intimidazioni nei confronti dei giornalisti sono molto numerose. Il fenomeno è molto diffuso. I giornalisti non sono minacciati solo da mafiosi, ma da potenti di ogni risma e di ogni livello che non tollerano notizie sfavorevoli, informazioni giornalistiche in grado di danneggiarli o metterli in cattiva luce.

I dati dettagliati di Ossigeno per l’Informazione dicono che in Italia nel 2011 i giornalisti minacciati in vari modi sono stati almeno 324. E’ un numero  alto, che descrive solo la parte visibile di un fenomeno in gran parte sommerso dalla paura e dall’indifferenza: un fenomeno sommerso quanto l’usura, il “pizzo” ed altri racket che si avvalgono di intimidazioni e minacce alle vittime. Questo problema è ormai evidente e produce gravi danni sociali. E’  tempo di affrontarlo in modo nuovo, anche sul piano politico.

*La traccia dell’intervento illustrato da Alberto Spampinato, consigliere della FNSI e direttore di Ossigeno, al convegno “I giornalisti con Giovanni Tizian” che si è svolto il 29 gennaio 2012, a Bologna,  alla Sala Farnese di Palazzo d’Accursio

tratto da http://www.ossigenoinformazione.it


Letto 1886 volte
Dalla rete di Articolo 21