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Articolo 21 - Editoriali
Chi stringe il nodo della giustizia
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di Livio Pepino*

Il ministro della giustizia, concludendo il suo intervento alla inaugurazione dell’anno giudiziario dell’Aquila, si è sostituito al presidente della Corte d’appello nel dichiarare aperto l’anno giudiziario 2010. La gaffe – probabilmente involontaria, certo significativa – è la cifra di questa inaugurazione. Insieme alla orgogliosa esibizione della Costituzione e all’abbandono dell’aula dei magistrati all’atto dell’intervento del delegato del ministro. La rappresentazione è plastica: da un lato la pretesa del Governo di “mettere le mani sulla giusti-zia”, dall’altro la resistenza della parte della magistratura non disposta a cedimenti nella difesa dell’assetto costituzionale, dello Stato di diritto, dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge.
La crisi della giustizia è grave e profonda. Leggere che un giudice – in Italia, non importa dove – apre un'a-genda e dice alle parti esterrefatte che nella loro causa la prossima udienza si terrà nel 2018 è più che uno scandalo e una vergogna; è la fine della giustizia con trasformazione dei giudici in calendari parlanti. Ma de-nunciare lo scandalo è una inutile ipocrisia se non se ne individuano le ragioni e i rimedi. Il ministro e una certa disinvolta pubblicistica dicono che la colpa è dei magistrati che lavorano poco e male e del Consiglio superiore che, invece di pensare alle sorti della giustizia, si preoccupa di tutelare la corporazione. I dati – quelli europei e quelli dello stesso ministero – raccontano, peraltro, un’altra storia. La storia di una magistra-tura con indici di produttività nella media (o addirittura sopra la media) europea e di un Consiglio superiore mai così severo nel censurare cadute e errori dei magistrati (come evidenziano le cento condanne di questo triennio e i ben 22 provvedimenti cautelari di sospensione dal servizio o di trasferimento di ufficio). A fronte di ciò c’è una organizzazione giudiziaria (che per Costituzione compete al ministro) letteralmente allo sfa-scio con una scopertura degli organici dei magistrati di oltre 1000 unità su 9000, con Procure prossime alla chiusura per mancanza di sostituti, con un personale amministrativo ridotto (con un decreto del presidente del Consiglio del dicembre 2008) di oltre 3600 unità. Ciò che sta accadendo è quanto diceva – con ruvida chiarezza e con maggior sincerità – l’allora guardasigilli Castelli: il Governo non intende impiegare risorse per far funzionare un sistema giudiziario di cui non si fida...
Sta qui, a ben guardare, il nocciolo duro della questione giustizia di questo inizio di 2010. Insieme a una ag-gressione senza precedenti alla giurisdizione. Alla giurisdizione, sottolineo, e non alla magistratura (pur se essa si manifesta anche con attacchi personali ai singoli magistrati, colpevoli – magari – di indossare calzini azzurri o di aspettare disciplinatamente il proprio turno dal barbiere...). Aggressione alla giurisdizione che si sostanzia nel rifiuto della sua stessa funzione, con l’affermazione che il vincolo della legge e delle regole è superato dal consenso e dal voto.
Le due cose si tengono l’una con l’altra. Se non si scioglie il nodo, per la giustizia, non sarà un bel 2010.

* Il Manifesto – 31 gennaio 2010

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