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Articolo 21 - Editoriali
il 1 luglio a Roma.Noi stiamo con la Costituzione
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di Gaetano Alessi

 Sono passati sessanta anni dal giorno in cui uomini e donne, appena usciti da un conflitto mondiale che aveva dilaniato non solo le carni ma l’essenza stessa del mondo, promulgarono la Costituzione Italiana. Parole ferme, decise, scritte da uomini che seguivano ideologie forti, contrastanti tra loro, ma che fecero del bene comune una bandiera. Uomini che decisero di dare alle generazioni future quello che a loro era stato negato: la libertà. La libertà in tutto, nei pensieri, nelle parole, nei gesti e negli atteggiamenti; e le donne, per la prima volta, da sempre, protagoniste e partecipi della cosa pubblica. Così com’erano state protagoniste, troppo spesso dimenticate, della liberazione d’Italia. L’Articolo 21, monumento alla democrazia, al libero pensiero. Si sarebbe potuto non scrivere. Si veniva da un conflitto devastante con l’odiosa coda in Italia della guerra civile. Il Pci e la Dc, legati a doppio filo con le superpotenze straniere che si stavano dividendo il mondo; bastava un accordo e la stampa avrebbe seguito il destino di restare di regime, con formule diverse, ma pur sempre di regime. Nessuno all’epoca avrebbe detto nulla, si sarebbe potuto camuffare tutto con la semplice lotta alla “reazione”. Ma quella classe politica scelse d’essere più grande anche di se stessa e consegnò all’Italia la possibilità di un’informazione libera e un paese in cui esiste la piena libertà di parola, associazione e stampa (i ragazzi di Tien a Men morirono nell’’89, chiedendo le stesse cose).

Cos’è rimasto oggi dei valori di quella Carta Costituzionale? Poco, forse quasi nulla. Negli Stati Uniti tutti conoscono la dichiarazione d’indipendenza e da noi una “pubblicità progresso” invita a leggere la Costituzione come se questo non dovesse già essere patrimonio comune di tutti. Forse la realtà dice che quei valori sono molto più grandi di noi e forse l’oblio è l’unico modo per non farci sembrare nani di fronte ai giganti che vollero dotare l’Italia della più bella tra le Costituzioni mondiali. Di quell’Articolo 21 cosa resta? Della libertà d’opinione, della possibilità per il giornalista di scavare dentro la notizia, del diritto dei cittadini di essere informati, di quell’etica non scritta, che dovrebbe imporre ai mezzi di comunicazione d’essere solo al servizio della verità? L’informazione e la stampa come una frontiera che limita l’arroganza del potere, che ne scopre i difetti, che ne mette in risalto i pregi, che ha come unico padrone l’obiettività e la ragione.

A guardarsi attorno tutto questo non esiste più. I giornali e i media sono utilizzati come lance per scardinare le truppe avversarie, per delegittimare e dileggiare chi è più debole, per assecondare le fobie del pubblico. Poi tutti a sparare numeri, a parlare di niente, come se temi quali le morti bianche o il conflitto d’interessi appartenessero solo ad alcuni e la stampa non avesse il dovere morale di renderli sensibilità collettiva. Abbiamo una comunicazione medianica che puzza di regime perché segue interessi di parte, con un Berlusconi che controlla una buona fetta dell’editoria e con tutta l’altra schiera che, nel tentativo di arginarlo, non si è accorta di rischiare di diventare come lui. Nel mezzo i cittadini che, travolti spesso da una scarica d’informazioni inutili, diventano sempre più insofferenti ed apatici. Di chi è la colpa? Si potrebbe dare a tutti, ma, come spesso accade, per trovare un colpevole basterebbe semplicemente guardasi allo specchio. L’Articolo 21 è lì, patrimonio comune e se la sorte, per chi vuole difenderlo, è quella di stare ogni giorno sulle barricate, di cercare sempre mezzi diversi per far passare le notizie scomode per gli altri, di cercare dall’interno dei colossi medianici di ritagliarsi uno spazio di libertà, è una buona sorte, poiché equivale alla grandezza del dettame costituzionale al quale chiunque voglia scrivere dovrebbe ispirarsi. Spendere la propria vita per garantire agli altri quello che noi non abbiamo avuto è un ottimo modo per dire, alla fine della pista, “confesso che ho vissuto”. Il primo luglio tutti a Roma..c’è una strada da percorrere insieme.

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http://gaetanoalessi.blogspot.com/

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