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Articolo 21 - Editoriali
Gfe, quando anche una piccola vertenza è specchio della crisi
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di Simona Silvestri

Cinque euro è il prezzo di circa quattro chilogrammi di pasta, di un panino preso al bar o di una qualsiasi rivista mensile. Cinque euro o poco più, lordi, è anche il salario orario di un lavoratore della Gfe (Gruppo facchini emiliano). È, ma sarebbe meglio dire era, perché a oggi la Gfe è in fase di smantellamento.
Non siamo a Pomigliano, e in ballo non c’è un nome importante come quello della Fiat. Ci troviamo invece nella bassa provincia reggiana, tra Castelnovo Sotto e Campegine, e in gioco ci sono i destini di 516 operai, per la maggior parte stranieri, associati alla cooperativa che, dal 1999, lavora quasi esclusivamente per la Snatt della famiglia Fagioli.
La storia ha inizio a luglio, quando, dopo un’intensa mobilitazione, i lavoratori della Gfe riescono a ottenere l’applicazione del contratto nazionale di categoria, che comporta non solo l’aumento del misero stipendio, ma anche maggiori garanzie, tredicesima e quattordicesima, straordinari pagati, trattamento per malattie e infortuni compresi. Una conquista importante, che però non va giù ai vertici di Snatt, che, ai primi di novembre, rescinde il contratto con Gfe, lasciando tutti senza lavoro da un giorno all’altro. Ricorda Kava, conosciuta da tutti come Goghi, indiana, da otto anni alla Gfe e rappresentante Rsa: “ci hanno dato un foglio in mano il giovedì sera, che diceva che dal lunedì dopo eravamo a casa. Non è nemmeno venuto il presidente della cooperativa (Libero Uri, ndr) a dircelo, era un suo dovere riunirci per comunicarcelo”. Le fa eco Francesca, dieci anni in Gfe e Rsa, la quale ricorda come addirittura agli ex associati sia stato comunicato, via sms, il divieto di varcare i cancelli della Snatt: in molti non sono ancora riusciti a recuperare i loro effetti personali, lasciati negli armadietti all’interno dello stabilimento.
I facchini però questa volta non ci stanno e organizzano un presidio permanente davanti ai tre stabilimenti di Fagioli, per chiedere che non tocchi ancora a loro pagare il prezzo di scelte arbitrarie e ingiustificate.
È a questo punto che arriva il colpo di scena. Gfe, e Snatt per mezzo di essa, propongono ai facchini un’opportunità per mantenere il lavoro: entrare a far parte di due nuove cooperative nate dalle ceneri di Gfe, a condizioni salariali peggiori rispetto al contratto attuale. La proposta arriva in contemporanea con una serie di minacce nei confronti  degli stessi lavoratori, che sono invitati a dimettersi per non perdere la quota sociale e ritrovarsi disoccupati. Un’offerta tutt’altro che benevola, perché, dice Guido Mora, della Segreteria della Cgil: “Nella nuova cooperativa applicherebbero il contratto, che noi definiamo pirata, dell’Unci, che prevede circa un euro in meno rispetto a quello nazionale firmato da Cgil, Cisl e Uil, Legacoop e Confcooperative. Inoltre non sappiamo quale sarà l’applicazione degli istituti contrattuali differenti, né come calcoleranno il TFR, le ferie, la malattia o la quattordicesima”. L’unica cosa certa è il sistematico ribasso dell’esigua paga oraria: “È evidente che dovrà essere un’operazione in cui il risparmio di costi deve essere significativo, altrimenti non avrebbe senso riformare due nuove cooperative, facendo passare i lavoratori da Gfe a quest’ultime”.
L’azienda sa di avere il coltello dalla parte del manico: l’80% dei facchini sono stranieri, indiani in maggioranza, algerini, marocchini, e per questo bisognosi di un lavoro per il permesso di soggiorno. In 200 lasciano Gfe per associarsi alle due “newco”, mentre la maggioranza resiste davanti ai cancelli, nonostante l’incombente freddo emiliano alle porte e l’assenza di solidarietà da parte degli ex colleghi. “Ci ridono in faccia, entrano e ci chiedono se sentiamo freddo” racconta Nadia, alla Gfe da sette anni, parlando dei dipendenti diretti di Snatt. Perché non c’è dubbio che la protesta dei facchini è scomoda: scomoda per Fagioli e per il CDA della vecchia cooperativa, ma soprattutto perché costringe a fare i conti ogni giorno con questi schiavi moderni, nel cuore di uno dei poli industriali più importanti d’Italia.
Ribadisce Mora come questa “è una partita molto importante, che rischia di fare da apripista se non riusciremo a fermarne gli aspetti negativi. La cosa grave di questa vicenda è che i diritti contrattuali sostanzialmente sono ritenuti secondari rispetto alle condizioni che detta il mercato, individuato come il punto di riferimento, mentre le garanzie sancite attraverso i contratti vengono sacrificate sull’altare della competitività”.
Le trattative tra sindacato e lavoratori da una parte, e azienda dall’altra, per ora sono in corso, ma si è ben lontani dal raggiungere una soluzione, complice anche l’estrema lentezza con la quale si è messa in moto la macchina istituzionale, dai comuni interessati alla provincia.
Peccato che l’inverno non sia altrettanto lento: questa mattina (24 novembre, ndr), il termometro segnava cinque gradi. E il peggio deve ancora arrivare.

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