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Articolo 21 - Editoriali
Mediterraneo in fiamme. L’ombra tragica di Gheddafi sulla fine di Berlusconi.
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di Gianni Rossi

 L’imminente tragica fine del regime dispotico di Gheddafi in Libia fa tremare i polsi e le tempie al Sultano di Arcore, che solo un anno fa, il 29 marzo del 2010 a Sirte, baciava la mano destra del più sanguinario rais del Nord Africa, a quel tempo presidente di turno della Lega Araba, facendo inorridire tutto il mondo occidentale, per un simile atto di sottomissione (il video è rintracciabile su Youtube). E non c’è dubbio che l’opera del governo Berlusconi in questi anni è sempre stata improntata ad atti, che solo la storia e le indagini giudiziarie (a meno che qualche dossier non sia già in mano a servizi segreti di paesi alleati occidentali!) ci chiariranno quanto davvero sono stati utili agli sviluppi economici e diplomatici, sicurezza compresa, del nostro paese e quanto, invece, fruttiferi di guadagni per la cricca dei “famigli” del nostro Sultano. Il caso delle tangenti Eni-Petronim nel 1979, al 7% dell’accordo di sfruttamento petrolifero tra l’Italia e l’Arabia Saudita, dovrebbe ricordare qualcosa a tutti coloro che hanno a cuore il corretto andamento del “gioco democratico” nel nostro paese: parlamentari, forze politiche di governo e d’opposizione, media e giornalisti, opinionisti “cerchiobottisti”,  le varie autorità di garanzia e controllo del mercato, magistratura. 

Da quello scandalo, a seguire, si scatenò un cataclisma di eventi che sconvolse il sistema politico e i rapporti tra i “poteri forti” economici, finanziari e istituzionali, trascinando perfino nella bufera il Vaticano (loggia segreta P2 e vicenda Calvi-Banco Ambrosiano, per esempio, fino a Tangentopoli). La storia dei nostri rapporti politici diplomatici, più o meno trasparenti, e quelli affaristici, molto meno trasparenti, con i paesi della Riva Sud del Mediterraneo e del Medio Oriente, è passata sempre per una suddivisione di ruoli, che , stando alla politica estera degli Stati Uniti, impegnava l’Italia ad intrattenere una “sfera di influenza” speciale con i regimi dispotici dello scacchiere internazionale. A questo scopo i governi del dopoguerra si sono avvalsi di due “armi”: uno speciale apparato dei servizi segreti; associazioni pseudo-umanitarie o di amicizia, ricadenti sempre nell’orbita del Partito Socialista. Queste due “branche” hanno fatto sì che la “portaerei” italiana fosse immune da atti di terrorismo e potesse godere di una grande libertà di azione con i paesi arabi sia sul fronte energetico sia su quello dello scambio commerciale (siamo sempre stati la seconda nazione per giro di affari con i paesi islamici), tranne gli unici due attacchi terroristici compiuti dal gruppo palestinese “Settembre nero”, guidato da Abu Nidal nel dicembre del 1973 e nel dicembre 1985 entrambi all’aeroporto di Fiumicino (due mesi dopo il rapimento dell’Achille Lauro da parte di Abu Abbas e del “braccio di ferro” tra Reagan e Craxi per il rilascio del commando a Sigonella).I

n entrambi i casi, però, gli studiosi di materia israelo-palestinese hanno sempre concordato nella doppiezza della figura di “mercenario” di Abu Nidal, ritenuto un capo palestinese manovrato dai servizi segreti israeliani. In effetti, le due operazioni erano più contro obiettivi “extra-italiani “ (aereo Lufthansa e banco prenotazioni EL/AL, compagnia aerea israeliana), che propriamente italiani. Ad Israele, secondo testimonianze di alcuni autorevoli “capidipartimento” dei servizi segreti, non andava giù il massiccio traffico d’armi verso i palestinesi e i paesi arabi ai suoi confini, oltre ai lauti finanziamenti pro-palestinesi. La lunga mano socialista verso i paesi arabi, comunque, è sempre stata efficiente, ancor più con l’avvento di Craxi alla guida del PSI e, poi, del governo. Non a caso, la politica estera italiana si è spesso avvalsa di ministri di provenienza socialista o di convinte posizioni filo-arabe anche tra gli esponenti democristiani. L’attuale governo ha come capo della diplomazia, Frattini, già ex-socialista, e tra i suoi sottosegretari la figlia di Craxi, Stefania; mentre “Inviato speciale per le emergenze umanitarie e le situazioni di vulnerabilità” c’è un’altra grande collaboratrice di Craxi,  Margherita Boniver, già ministro degli esteri all’epoca del “centrosinistra” del CAF (appunto Craxi, Andreotti, Forlani).

Inquietante, e per alcuni aspetti ancora da scoprire del tutto, per le sorti della politica italiana “l’affaire Eni-Petronim” con la tangente ritornata in Italia di 20 miliardi di lire di allora (al cambio attuale 106 milioni di euro), che servirono (secondo le inchieste giornalistiche del tempo) in parte anche per modificare gli assetti interni nella maggioranza del PSI: una grossa componente della cosiddetta “ ala sinistra” passò in pochissimo tempo dalla parte di Craxi, che guidava in minoranza il partito di Via del Corso. Ancor più ingente fu il “tesoretto” rimasto nella cassaforte custodita da un alto dirigente dell’ENI, di simpatie socialiste, impegnato nelle operazioni estere del gruppo energetico: alcune centinaia di miliardi di lire di allora e tanti dossier, insieme a filmati compromettenti, che scomparvero anche dalla vista dei giudici che indagavano sul caso. A chi finirono quei soldi e quei dossier? Non certo a Licio Gelli, capo della loggia segreta P2. Mille miliardi di lire odierne, ovvero 500 milioni di euro, che servirono ad alcuni per assicurarsi protezioni politiche e ad altri convenienze economico-finanziarie. Ecco perché da decenni la politica estera verso i paesi arabi ha sempre fatto gola ai nostri governanti, specie del centrodestra, specie a chi è “afflitto” da insanabili conflitti di interessi. Ed ecco perché, con la nuova amministrazione americana di Obama, questi legami dovevano saltare, vista l’immensa crisi finanziaria e dell’indebitamento USA e di alcuni suoi più stretti  alleati (Gran Bretagna in primis).

Per accerchiare i regimi dispotici islamici, Obama ha ben pensato di alimentare le spinte liberatrici e innovatrici delle giovani generazioni arabe, non potendo far leva, come in passato le amministrazioni repubblicane della famiglia Bush, con il ricatto commerciale e la diminuzione degli aiuti militari. Internet, telefonia mobile e TV satellitare hanno svolto un ruolo propulsore di ribellione, ben più penetrante e unificante che non i richiami alla “rivolta islamica” dei fondamentalisti sciiti e alquedisti. Avendo come scenario geopolitico il ritiro delle forze armate, anche alleate, dall’Iraq e dall’Afghanistan, Obama cerca insieme al Segretario di stato Hillary Clinton di dar manforte ai malesseri delle nuove generazioni e delle classi medie arabe attraverso “ponti tecnologici” per comunicare in Rete, con il GSM e TV satellitare, oltre che spalleggiando diplomaticamente queste spinte di libertà con continue apparizioni mediatiche e la forza lobbistica delle Nazioni Unite. Non sembra, invece, capire che l’aria, anzi il Vento  della politica mondiale abbia cambiato direzione cambiato il nostro Sultano di Arcore e la sua corte di “famigli”, tutti insieme abbarbicati in Parlamento a contare il “mercato delle vacche”, per riavere una maggioranza sicura, affinchè Berlusconi non venga mai più indagato, indiziato e processato, e che la stessa Costituzione venga stravolta dalle orripilanti proposte della destra autarchica e incostituzionale.

Il Vento del Sud-Est come una furia umida e appiccicosa, lo Scirocco/Ghibli, sta spazzando via le sicurezze non solo dei regimi del Maghreb (dall’Egitto fino al Marocco, passando per Libia, Tunisia e Algeria), ma la sua sabbia arriverà, come sempre da millenni in Marzo e a Novembre, sulle nostre coste. E non faranno timore neppure le invettive di un invasato Gheddafi, che dalla propria casa-museo, nel centro di Tripoli, bombardata dagli aerei Usa nel 1986, ha sproloquiato contro i “giovani sedicenni drogati e ratti, pagati dai servizi segreti stranieri”, responsabili dei aver innescato la rivolta del popolo libico. Il Rais “al botulino”, l’ideatore del “Bunga bunga”, tanto caro al suo baciamano Berlusconi, ha quindi minacciato sfracelli contro il suo stesso popolo e contro chi, arabi e occidentali, lo starebbe strumentalizzando.

Intanto, questo martedì la Borsa di Milano, dopo una giornata in forte perdita (specie per i titoli impegnati in affari con la Libia e compartecipati con azioni di Tripoli), ha subito un blackout “tecnico” molto sospetto, e continua a perdere; mentre, dopo le rassicurazioni di prammatica, l’ENI ha dovuto constatare il blocco delle erogazioni di gas dalla Libia. E i “berluscones” girovagano felici e strombazzanti per le sale ovattate del Parlamento, festeggiando i “figliol prodighi” tornati all’ovile, dopo la fugace diaspora tra i “finiani”, inneggiando al Sultano di Arcore, che promette sfracelli contro la Costituzione, la magistratura e le opposizioni. L’ombra lunga e tragica di Gheddafi, però, si estende sempre più minacciosa dalla finestra della sua casa diroccata di Tripoli verso il seicentesco palazzo Grazioli, portata dal vento caldo del Ghibli; ma l’inquilino del maniero romano non se n’è ancora accorto.

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