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Nasrin Sotoudeh, avvocatessa iraniana per i diritti umani, in prigione da un anno.
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di Marco Curatolo

Nasrin Sotoudeh, avvocatessa iraniana per i diritti umani, in prigione da un anno. 365 giorni nel carcere di Evin (Teheran), molti mesi in isolamento, tre lunghi scioperi della fame, pressioni e minacce continue. Nasrin Sotoudeh, avvocatessa iraniana per i diritti umani, attivista per la parità delle donne, abituata a difendere minori vittime di abusi, prigionieri politici, condannati a morte, ha passato così un anno della sua vita: tra le mura di una cella, accusata e condannata per propaganda contro il sistema e attentato alla sicurezza nazionale. È stata arrestata il 4 settembre 2010, pochi giorni dopo che la sua casa e il suo ufficio erano stati perquisiti dalle forze dell'ordine. Convocata per un interrogatorio (l'ennesimo) non è stata più rilasciata. Il 9 gennaio 2010 la sezione 26 del Tribunale rivoluzionario di Teheran (giudice PirAbassi) ha emesso contro di lei una sentenza che la costringe a scontare una pena di 11 anni in carcere e la sospende per 20 anni dall'avvocatura. Dice Cristina Annunziata, presidente di Iran Human Rights Italia Onlus: "È scioccante pensare che Nasrin Sotoudeh abbia trascorso un anno di prigione, ma lo è ancora di più pensare che, per la giustizia iraniana, dovrebbero trascorrerne altri dieci prima che possa tornare libera, e diciannove prima che possa ricominciare ad esercitare la sua professione di avvocato."

Non è servita una risoluzione del Parlamento europeo, che pochi giorni dopo quella vergognosa sentenza ha chiesto alle autorità iraniane di liberare Nasrin e di renderle giustizia. Non sono serviti gli appelli lanciati da Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace nel 2003, sua connazionale e collega, nonché sua cliente. Non è servito che la sezione americana dell'associazione internazionale PEN l'abbia insignita del prestigioso premio "Barbara Goldsmith Freedom to Write". Non sono servite le sollecitazioni di Amnesty International e delle maggiori organizzazioni per i diritti umani. Nasrin Sotoudeh resta nel carcere di Evin a scontare la sua ingiusta pena. Prigioniera politica perché difendeva altri prigionieri politici, molti dei quali come lei ancora in carcere (i giornalisti Isa Saharkhiz e Keyvan Samimi, dissidenti come Hesmatollah Tabarzadi, attivisti del movimento studentesco come Atefeh Nabavi) e arrestati dopo la repressione seguita alle contestate elezioni presidenziali del 2009. Prigioniera politica perché affermava i diritti delle donne e chiedeva, con il gruppo One Million Signatures, l'abolizione delle norme che le discriminano nell'ordinamento giuridico iraniano. Prigioniera politica come ricompensa perché una buona parte della sua vita professionale l'ha passata ha difendere bimbi e madri vittime di abusi di padri e mariti violenti e tiranni.

Moglie e madre, Nasrin Sotoudeh, lo è a sua volta. Ha lasciato a casa il marito Reza e i figli Nima e Meraveh, un bimbo di 4 anni e una di 12, che potrebbero averne 14 e 22 quando rivedranno la madre in libertà. "Mia tenerissima figlia - ha scritto mesi fa Nasrin a Meraveh in una lettera da Evin - tu sei stata la principale motivazione che mi ha spinto a dedicarmi ai diritti dei bambini. Pensavo allora, e ne sono tuttora convinta, che nessuno più dei miei stessi figli trarrà beneficio da tutti i miei sforzi nel campo dei diritti dei bambini." E ancora: "Come avrei potuto abbandonare la scena non appena sono stata convocata dalle autorità, sapendo che i miei clienti erano dietro le sbarre in prigione? Come avrei potuto abbandonarli dato che loro mi avevano assunto per la loro difesa legale ed erano in attesa di un processo? Non avrei mai potuto farlo."

Il marito di Nasrin, nel corso di questi 365 giorni, è stato spesso nel mirino delle autorità, che colpendolo speravano di creare ulteriore pressioni su Nasrin, di piegarla e spingerla a false confessioni autoaccusatorie. È stato anche lui arrestato, sebbene solo per 24 ore. Nel corso dell'estate, inoltre, lui e i due figli sono stati trattenuti per molte ore a Evin dopo la visita settimanale. In segno di protesta, da quasi un mese Nasrin Sotoudeh si rifiuta di ricevere ulteriori visite del marito e dei figli: "Per tutelare la loro sicurezza", fa sapere dal carcere. E questa reazione si aggiunge ai lunghi scioperi della fame (almeno tre) con i quali ha voluto reclamare i suoi diritti di prigioniera quando, ad esempio, le hanno vietato il contatto diretto con i figli, obbligandola a vederli attraverso un vetro. Non ha piegato la schiena, mai, nemmeno per uno dei 365 giorni, Nasrin Sotoudeh: donna minuta e solo apparentemente fragile, ma con una volontà d'acciaio e dalla sua il coraggio della verità; con una dignità ribelle che l'ha portata, nell'unica occasione in cui, nel corso di questo anno, le macchine fotografiche l'hanno potuta ritrarre (durante un trasporto in tribunale per una udienza), ad abbracciare, lei ammanettata, il suo Reza sotto lo sguardo grigio di un gendarme. E quelle foto, con l'energia e l'amore per la vita che esprimono, valgono più di tante parole per raccontare il coraggio di una lotta paziente per i diritti e per la libertà. Valgono più di tanti appelli per ripetere al regime di Teheran quell'esortazione rimasta finora inascoltata: "Liberate Nasrin Sotoudeh!".

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