Articolo 21 - ESTERI
Corrispondenza dalla Turchia
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di Nicola Mirenzi

La vera partita politica che si sta giocando in Turchia, ragiona ancora Tugtan, non è certamente quella «della divisione della nazione turca» ma è quella per la redazione della nuova costituzione», fortemente voluta dal premier Erdogan. All’interno di essa, una delle questioni chiave è proprio quella del riconoscimento che la nuova repubblica turca accorderà alla minoranza curda (il 15% della popolazione): «Ogni attore politico sta cercando di sgomitare e conquistarsi più spazio possibile all’interno della nuova architettura dello stato», dice a Europa Gencer Ozcan, professore di relazioni internazionali e organizzatore di un’importante conferenza sulla dimensione regionale della questione curda che si terrà il 28 ottobre a Istanbul (New Regional Perspectives for the Kurds). «Il Pkk, rinvigorendo la sua battaglia sta tentando così di ritagliarsi uno spazio per sedersi al tavolo delle trattative costituzionali e raccogliere i dividendi della sua azione. Ma la forza della sua prospettiva – quella dell’indipendenza – è ormai del tutto fuorigioco».
Ozcan è convinto infatti che gli attentati di ieri, ma anche quelli dei mesi precedenti, «siano soltanto il colpo di coda di una animale ferito a morte». Che può ancora fare del male, certo, «ma senza davvero minacciare la stabilità della Turchia». Ozcan ci fa notare che i curdi non hanno affatto «una percezione di sé come di un popolo unico diviso nei vari stati in cui vivono: l’Iran, la Siria, l’Iraq». E le organizzazioni politiche che li rappresentano in ognuna di queste regioni «sono completamente assorbite dentro le dinamiche delle nazioni in cui risiedono». Il Pkk non fa eccezione. «Per questa ragione, il destino dei curdi turchi è quello di integrarsi all’interno della repubblica turca. E i guerriglieri del Pkk presto o tardi scompariranno completamente. Il loro è una specie di ultimo sussulto, l’ultimo sospiro. In fondo tutte le organizzazioni terroristiche come quella curda – che fino a pochi anni fa operavano nel mondo – sono finite nel nulla e non si vede perché il Pkk dovrebbe riuscire a parare i colpi della storia».
Secondo Tugtan, inoltre, «la base naturale del Pkk è costituita da curdi che vivono in Turchia. Ma il referente naturale dei curdi turchi non è affatto il Pkk. Il Pkk è uno strumento che i curdi hanno a disposizione per raggiungere i loro obiettivi. Però se esso non si dimostra capace di raggiungere gli obiettivi che essi si prefiggono – come sta accadendo – è logico che essi ritirino il loro sostegno ai guerriglieri per darlo ad altre organizzazioni che possono più efficacemente incidere sulla realtà e far riconoscere i curdi come un’etnia costitutiva della Turchia».
Non bisogna mai dimenticare, ricorda Tugtan, che «la maggior parte dei curdi alle ultime elezioni ha continuato a votare per Erdogan e il suo partito, l’Akp. E che Erdogan si è posto nei confronti dei curdi come il loro rappresentante, pur non essendo, il suo, un partito curdo». L’Akp ha dunque tutto l’interesse a risolvere la questione curda in maniera pacifica, come già aveva provato a fare con l’iniziativa democratica («arenatesi per vari motivi politici e ideologici», dice Tugtan). E anche i curdi sanno che quella può essere l’unica vera soluzione: «I separatisti del Pkk hanno capito qual è la piega che sta prendendo la questione curda e stanno cercando di bloccare questo processo». Dove possono arrivare «è difficile dirlo, ma non penso andranno molto lontano».
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