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La classifica mondiale di Rsf: Italia ancora indietro
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di redazione*

La classifica mondiale di Rsf: Italia ancora indietro

La classifica di quest’anno contiene molti cambiamenti per quanto riguarda le posizioni dei Paesi, cambiamenti che riflettono un anno incredibilmente ricco di sviluppi, soprattutto nel mondo arabo”, ha dichiarato oggi, mercoledì 25 gennaio, Reporter senza frontiere, in occasione della pubblicazione della sua decima Classifica Mondiale della Libertà di Stampa. “Molti mezzi d’informazione hanno pagato a caro prezzo la loro copertura mediatica delle aspirazioni democratiche o dei movimenti di opposizione. Il controllo delle notizie e delle informazioni continua a rappresentare una sfida per i governi e a essere motivo di sopravvivenza per i regimi repressivi e totalitari. L’anno appena trascorso ha anche messo in luce il ruolo fondamentale giocato dagli internauti nel produrre e diffondere le notizie”.

Classifica Libertà di stampa 2011-2012 – REPORT GENERALE

Risultati fortemente influenzati dalle repressioni delle proteste
La parola-chiave del 2011 è stata repressione. La libertà d’informazione non è mai
stata così tanto associata alla democrazia. I giornalisti, con le loro cronache,
non hanno mai infastidito così tanto i nemici della libertà. E nemmeno gli atti di
censura e gli attacchi fisici ai giornalisti sono mai stati così numerosi.
L’equazione è semplice: l’assenza o la soppressione delle libertà civili porta
necessariamente alla soppressione della libertà d’informazione. Le dittature
temono e censurano le informazioni, soprattutto quando queste possono minarne la
stabilità”.

Non sorprende infatti che il trio di Paesi composto da Eritrea, Turkmenistan e
Corea del Nord – dittature assolute che non consentono libertà civili – occupi
nuovamente gli ultimi tre posti della classifica”.
Questi ultimi sono immediatamente preceduti da Siria, Iran e Cina, tre Paesi che,
risucchiati da una folle spirale di terrore, sembrano aver perso il contatto con
la realtà. Proseguendo verso l’alto, troviamo il Bahrain e il Vietnam, regimi
oppressivi per eccellenza. Anche altri Paesi come l’Uganda e la Bielorussia sono
diventati molto più repressivi.

“La classifica di quest’anno – conclude RSF – ritrova ai primi posti lo stesso
gruppo di Paesi che continuano a rispettare le libertà fondamentali: Finlandia,
Norvegia e Paesi Bassi. Questo ci dimostra che l’indipendenza dei media può
preservarsi solamente nelle democrazie forti e che la democrazia stessa ha bisogno
di libertà d’informazione.  Vale infine la pena di notare l’ingresso nella top-20
di Capo Verde e della Namibia, due Paesi africani dove non sono stati registrati
tentativi di ostacolare il lavoro dei media”.

 Movimenti di protesta
Nel 2011 il mondo arabo ha rappresentato il motore della storia. Le rivolte arabe,
tuttavia, hanno finora sortito esiti politici contrastanti, con la Tunisia e il
Bahrain ai due estremi opposti. La Tunisia (134° posto) è salita di 30 posizioni
in classifica e, con molta  fatica, ha dato vita a un regime democratico che non
ha ancora pienamente accettato la presenza di una stampa libera e indipendente. Il
Bahrain (173°), invece, è sceso di 29 posizioni a causa dell’inarrestabile giro di
vite sui movimenti di protesta, dei continui processi contro i difensori dei
diritti umani e della soppressione di ogni spazio di libertà.

Mentre la Libia (154°) ha voltato pagina dopo l’era Gheddafi, lo Yemen è stato
colpito dai violenti scontri tra i sostenitori e gli avversari del Presidente Ali
Abdallah Saleh, scivolando così al 171° posto. Il futuro di entrambi questi Paesi
resta incerto, così come non sappiamo quale ruolo sarà permesso di ricoprire ai
media. Lo stesso vale per l’Egitto (166°), sceso di 39 posizioni perché il
Consiglio Supremo delle Forze Armate (CSFA), al potere dallo scorso febbraio, ha
vanificato le speranze dei democratici portando avanti le stesse condotte della
dittatura di Mubarak. I giornalisti, inoltre, hanno vissuto tre episodi di rara
violenza a febbraio, marzo e dicembre.

Già posizionata male nel 2010, la Siria (176°) è ulteriormente scesa in classifica
a causa di una censura totale, sorveglianza diffusa, violenza indiscriminata e
manipolazione del governo, motivi che hanno reso impossibile ai giornalisti di
compiere il proprio lavoro.

In ogni altra parte del mondo, i movimenti pro-democrazia che hanno provato a
seguire l’esempio del mondo arabo sono stati brutalmente messi a tacere. Molti, ad
esempio, gli arresti condotti in Vietnam (172°). In Cina (174°), il governo ha
risposto alle proteste regionali e locali e all’insofferenza popolare – dovuta a
scandali e ad atti di ingiustizia – rinforzando febbrilmente il suo sistema di
controllo sulle notizie e sulle informazioni, portando avanti arresti arbitrari e
aumentando la censura su Internet. In Azerbaigian (162°), si è verificata una
drammatica crescita del numero di arresti, dove il governo autocratico di Ilham
Aliyev non ha esitato ad arrestare internauti, rapire giornalisti di opposizione
al regime e bloccare corrispondenti stranieri al fine di imporre un blackout di
notizie sulle proteste.

Guidata dal Presidente Yoweri Museveni, l’Uganda (139°) ha lanciato un giro di
vite senza precedenti sui movimenti di opposizione e sui media indipendenti dopo
le elezioni del febbraio 2011. Analogamente, il Cile (80°) ha perso 47 posizioni a
causa delle tante violazioni della libertà d’informazione, molto spesso commesse
dalle forze dell’ordine durante le proteste degli studenti. Anche gli Stati Uniti
(47°) devono la loro discesa di 27 posizioni ai molti arresti di giornalisti,
avvenuti in occasione delle proteste del movimento “Occupy Wall Street”.

Molti Paesi europei ben lontani dal resto del continente
La classifica ha messo in evidenza la divergenza di diversi Paesi europei dal
resto del continente. Il giro di vite sulle proteste dopo la rielezione del
Presidente Lukashenko, ad esempio, ha causato alla Bielorussia (168°) una perdita
di 14 posizioni.

In un momento in cui dipinge se stessa come un modello regionale, la Turchia
(148°) ha fatto grandi passi indietro e ha perso 10 posizioni. Lontano dal mettere
in pratica le riforme promesse, il sistema giudiziario turco ha lanciato un’ondata
di arresti contro i giornalisti di una portata tale che non si vedeva dall’epoca
della dittatura militare.

All’interno dell’Unione Europea, la classifica riflette una continuazione della
già marcata distinzione tra Paesi come la Finlandia e i Paesi Bassi, che hanno
sempre ottenuto una valutazione molto positiva, e Paesi come la Bulgaria (80°), la
Grecia (70°) e l’Italia (61°) che non sono riusciti ad affrontare la questione
delle violazioni delle libertà dei media, soprattutto a causa della mancanza di
volontà politica. Vanno invece segnalati piccoli progressi da parte della Francia
(dalla posizione 44 alla 38), della Spagna (39°) e della Romania (47°). La libertà
dei media è una sfida che ha bisogno di essere affrontata più che mai nei Balcani,
stretti tra il desiderio di entrare nell’Unione Europea e gli effetti negativi
della crisi economica.

Violenza endemica
Molti Paesi sono contraddistinti da una cultura di violenza nei confronti dei
media, cultura che ormai influenza profondamente le azioni intraprese. Sarà
difficile invertire la tendenza in questi Paesi senza una vera e concreta lotta
contro l’impunità. Il Messico (149°) e l’Honduras (135°) sono due casi emblematici
in tal senso.
Il Pakistan (151°) è stato per il secondo anno consecutivo il Paese con il maggio
numero di giornalisti uccisi. In Somalia (164°), paese in guerra da venti anni, è
difficile intravedere una d’uscita dal caos in cui i giornalisti stanno pagando un
alto prezzo.

In Iran (175°), giornalisti perseguitati e umiliati sono stati per anni parte
della cultura politico-burocratica; il regime si nutre infatti della persecuzione
dei media. L’Iraq (152°) è sceso di 22 posizioni e sta adesso avvicinandosi in
maniera preoccupante alla sua posizione del 2008 (158°).

Cambiamenti rilevanti

Il Sudan del Sud (111°), una nuova nazione che sta affrontando molte sfide, ha
fatto il suo ingresso in classifica in una posizione apprezzabile, se consideriamo
che è appena terminata una separazione da uno dei Paesi peggio classificati, il
Sudan (170°). La Birmania (169°) ha una posizione lievemente migliorata rispetto
agli anni precedenti, grazie ai cambiamenti politici degli ultimi mesi che hanno
aumentato le speranze ma che hanno ancora bisogno di essere confermati. La Nigeria
(29°) ha raggiunto in un solo anno la più grande crescita verificatasi in questa
classifica, salendo di 75 posizioni, grazie a una transizione politica di
successo.

L’Africa ha invece registrato la più grande caduta in classifica. Gibuti, una
piccola dittatura del Corno d’Africa, è sceso di 49 posizioni fino ad arrivare
alla 159. Il Malawi (146°) ha perso 67 posizioni a causa dei comportamenti
totalitari del suo Presidente, Bingu Wa Mutharika. La già citata Uganda (139°) ha
perso 43 posizioni. La Costa d’Avorio, infine, ha perso 41 posti posizionandosi al
159°, poiché i media sono stati duramente colpiti dalla lotta tra i due presidenti
rivali: Laurent Gbagbo e Alassane Ouattara.

ll peggioramento maggiore avvenuto in America Latina riguarda il Brasile (99°),
che ha perso 41 posizioni a causa di un elevato livello di violenza e insicurezza,
sfociate nelle tragiche morti di tre giornalisti e blogger.

Per scaricare le singole sezioni del Report :
http://rsfitalia.org/2012/01/25/classifica-della-liberta-di-stampa-2011-2012/

*tratto da http://rsfitalia.org


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