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Maria Luisa, brava. Hai fatto un gesto di dignità e di coraggio. Coraggio di donna
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di Silvia Resta*

Maria Luisa, brava. Hai fatto un gesto di dignità e di coraggio. Coraggio di  donna

Cara Maria Luisa ti scrivo in questa forma perché non sarebbe bastato un sms o una telefonata  lampo per esprimere le emozioni e i ragionamenti che mi hanno provocato la tua  lettera- chiamiamola così- di dimissioni da conduttrice del principale  telegiornale d’Italia. E soprattutto non sarebbe bastato un sms per esprimerti quel senso di  “sorellanza” che ho provato, un sentimento che esce dalla sfera privata per  diventare pubblico. Non credo ti sia stato facile meditare quella decisione di lasciare. Penso  alle notti che non avrai dormito, ai mal di pancia, ai pensieri e ai malumori.  Al senso di ingiustizia e di rabbia.

Penso a tutte le insidie e ai rischi che adesso hai davanti, al senso di  solitudine che nonostante gli attestati di solidarietà e di stima, magari ti  prende. O ti prenderà.  Penso ai colleghi che ti parleranno alle spalle (succede) alle vipere che  sparleranno di te e dei tuoi tempi passati in sala trucco (è già successo). Voglio dirti: coraggio. Voglio dirti: brava. Brava perché sei brava.

Ti ho sempre considerato una numero uno tra i volti  dei tg. Una conduzione elegante ma asciutta, semplice, moderna, sobria. Onesta.  Ma soprattutto competente. Non da semplice lettrice di “gobbi”. Un volto che  “buca” (si dice nel nostro gergo) come pochi; che piace a tutti. Una risorsa  che la Rai dovrebbe valorizzare, non certo perdere – mi dico, ragionando col  metro delle leggi di mercato. Ma da tempo quel metro non si usa più. Altri sistemi di misura hanno preso il suo posto. Quello che mi ha colpito della tua lettera è la radiografia che hai fatto, con  parole semplici e chiare, dello stato dell’ informazione televisiva nel nostro  paese. Una rappresentazione della realtà deformata, manipolata, oscurata. Sostituita  da qualcosa che comincia a somigliare ad un reality.

Mi ha colpito che nonostante non ci sentissimo da tempo, le tue  considerazioni, le tue inquietudini,  sono uguali alle mie, e a quelle di tanti  altri colleghi che negli anni hanno visto svuotarsi di inchieste e di fatti gli  spazi nobili dell’ informazione tv. Ma soprattutto sono le considerazioni che fanno milioni di cittadini, stufi di  vedere nascoste le loro “realtà”. Parlo di tutto il sistema televisivo, con rare eccezioni. Non si racconta più il paese vero, quello della crisi che morde, quello dei  pendolari che perdono ore sui treni ammassati come acciughe, quello delle  scuole a pezzi, quello che frana. Non si raccontano le truffe e gli abusivismi, non si raccontano le facce della  corruzione, la mafia, le mafie; le grandi inchieste sul Palazzo che in un paese  “normale” avrebbero tenuto occupati per mesi cronisti e reporter. Tu dici: non c’è più l’Italia vera. Aggiungerei: e nemmeno il mondo…

Hai notato che, finita l’era Bush, anche le  corrispondenze dagli Stati Uniti sono diventate quasi merce rara? Ti ricordi  quando ogni giorno c’era un pezzo sul cane del Presidente americano, e da  quando è arrivato Obama… giusto il minimo. Comunque…  Abbiamo iniziato quasi insieme il nostro percorso giornalistico. Ricordo gli  esami e il seminario di Urbino. 1989. C’era Roberto Morrione, capo cronista del  tg1, che insegnava che la notizia la devi inseguire, la devi “cacciare”, e non   devi mollare, a costo di starci sopra per mesi. E raccontava della storia di  Ustica, un’ inchiesta a cui il suo tg1 si era dedicato lavorando per mesi in  apnea, in sommersione, e portando poi risultati importanti: scoop. Sono passati anni luce, un pezzo di storia. Il paese è cambiato, e l’informazione del “sistema televisivo” sembra essere  regredita ad un’ era di oblio. Sembra come rispondere ad una regia unica,  monocratica, che l’ha spinta a diventare una sorta di fabbrica del falso. 

E allora giù, a pioggia, i pezzi cosiddetti di alleggerimento. La ricetta per  fare il cappuccino era una titolo recente di un tg, il giorno in cui mancava  quello sulle intercettazioni. E i servizi sulle scarpe di pitone  col tacco  alto trenta centimetri. Il reportage fisso dall’ inviato nello chalet di  montagna, le file agli ski lift, i regali all’ ultima moda: la chiavetta del  computer coperta di diamanti. E per le mamme a cui mancano gli asili: c’è l’i- pod per le pance in attesa e il film durante il parto. Ah, mbè… Ho visto un titolo e un servizio sulla nuove tendenze degli occhiali da vista:  “Se li mette anche chi ci vede bene, per essere alla moda”, recitava una tua  collega. Mah! E lo psicologo per i cani, e la caccia al coccodrillo. E un servizio sui  maggiordomi; un altro sull’ arte di apparecchiare la tavola. Coltello a destra,  forchetta a sinistra e così sia. Basta. Hai fatto bene a dire basta. 

Mi colpisce la crudezza del tuo direttore, che in un’ intervista al Corriere  della Sera enumera, quasi con un certo disprezzo,  i servizi da te realizzati:  come se il tuo ruolo non fosse quello della conduzione. Mi colpisce, nelle parole del direttore, la freddezza, il trattare i  giornalisti come numeri: “dopo venti anni di conduzione, è ora di cambiare”. Mi stranisce poi quando parla della mimica facciale, con cui tu avresti  esagerato… ma allora, mettiamoci i robot in conduzione, che è meglio! Mi dispiace, sono una all’ antica. Penso ancora che la redazione sia una  squadra e che il direttore ne sia l’allenatore. E come tale dovrebbe voler bene  ai suoi giocatori. Dovrebbe saperli e volerli ascoltare. Valorizzare.  Utilizzare al meglio. Far parlare tutte le voci. E invece no.

Giorni fa ho letto su“Il Fatto”, un articolo di Massimo Fini a proposito di un  sit-in di protesta davanti alla Rai di Viale Mazzini. Durante questa  manifestazione contro la falsa notizia della assoluzione nel processo Mills,  raccontava Fini, erano stati spaccati alcuni televisori.  Armati di martelli, i  contestatori avevano fatto a pezzi una decina di apparecchi tv. Perché in  sostanza, era il senso del pezzo, la tv è l’oppio dei popoli. La cosa proprio non mi è piaciuta. Mi ha fatto male. Mi ha evocato il luddismo  dei tempi della rivoluzione industriale, i roghi dei libri durante il nazismo. No, per favore. Non prendetevela con la televisione. La televisione è un mezzo straordinario, capace di farci assistere ad un  evento in diretta, e di farcelo vedere meglio che se fossimo lì. E’ la finestra  in più dentro casa, un tappeto volante che ci può portare ovunque nel mondo. 

Quando ancora era in bianco e nero, ha alfabetizzato e unito questo paese. La televisione è nata per informare facendo VEDERE. Inchieste, documentari,  reportage, presa diretta, cronaca. Se poi è stata trasformata in salottificio  sempre più trash, in una fiction continua che produce dis-cultura,  in un  megafono del potere, in un mezzo che oscura piuttosto che far vedere,  non è  colpa sua. E’come un frullatore: se dentro ci metti latte e fragole viene un frappè di  fragola, se ci metti la m…… Sono anni e anni che tu ed io (con ruoli e in spazi diversi) lavoriamo in  televisione. E non possiamo che amarla. Così come amiamo questo paese, che per lavoro magari giriamo in lungo e in  largo e che scopriamo sempre più saccheggiato, impoverito, triste.

Eppure oggi rischi che se fai un servizio onesto, se fotografi certe realtà  magari sconquassate; se parli di mafia o di camorra, ti dicono che sei “anti- italiano”, o “militante”.  Paradossi. Cara Maria Luisa, ho visto e rivisto più volte il filmato delle contestazioni  dell’ Aquila, che “va a ruba” su You Tube. Quando a te e alla tua troupe i  terremotati hanno gridato “Scodinzolini”. Ho osservato la tua reazione:  elegante, composta, anche se leggermente imbarazzata. Certo, l’imbarazzo c’era.  Ma devo dire che sei stata una signora giornalista: hai saputo mantenere la  calma, il controllo della situazione,  rispettando in pieno le regole del tuo  mestiere e contemporaneamente la tua azienda, azienda del servizio pubblico. E  mi è dispiaciuto leggere che alcuni dei tuoi colleghi avevano preso male le tue  osservazioni, come critiche al loro singolo  lavoro.                                       

Io ti ho capita. Ho capito che  quando parlavi del cattivo racconto del terremoto fatto in tv non parlavi dei  singoli pezzi (magari certamente fatti bene), ma dell’ intero contenitore in  cui questi servizi andavano a  finire. Di quel “tutto va ben madama la  marchesa” che il quadro complessivo tendeva forzatamente, falsamente a  rappresentare. Del fatto che oggi per vedere la realtà nuda e cruda del dopo  terremoto la gente debba  andare al cinema. Maria Luisa, brava. Hai fatto un gesto di dignità e di coraggio. Coraggio di  donna.                                          

Fregatene dei critici, dei  maligni, dei cattivi, dei detrattori, degli invidiosi e delle invidiose, delle  smorfiose, di chi ti dirà che lo hai fatto per farti pubblicità, di chi ti dirà  che te la tiri, di chi ha i santi protettori e ogni giorno gli telefona. Non ti  amareggiare e non ti scoraggiare. Non mollare. Rimani umile. Coraggiosa, ma  umile. Al servizio dei cittadini. Sappi che tanti, ma davvero tanti, ti  vogliono bene. Siamo giornalisti e viviamo un momento difficile. Chi ha il senso etico di  questo mestiere non può che essere smarrito e incazzato. Di fronte a questa  legge sulle intercettazioni, un attacco al cuore del nostro diritto dovere di  cronaca, dovremmo essere tutti uniti, compatti e battaglieri nel respingerla in  blocco al mittente. Ma molti si sono seduti, altri forse sono stati sedotti  dalle comodità del “nuovo giornalismo”.

E la nostra risposta è ancora troppo  debole.  Tu sei brava, e forse come me sei un po’ all’ antica. Allora stai serena.  Continua a fare con onestà il tuo lavoro, quello che ti faranno fare. E  soprattutto, non portare a casa il tuo malessere. Aspetta che passi. <<The time it’s on our side>>, cantava Mike Jagger. Non ci  resta che aspettare. Perché, lo sappiamo:  un’ altra televisione è possibile. Da collega a collega,  

*Silvia Resta, tg la7


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