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Articolo 21 - Sguardi sul mondo
Basta con questa RAI
Basta con questa RAI Quando ci occupiamo di RAI, su questo sito e su questa rubrica, non ne facciamo mai una questione partitica. Politica sì, senza dubbio, poiché non intendiamo lasciarci trascinare nel pericoloso gorgo dell’anti-politica che inghiotte tutto e tutti, senza distinzioni, senza salvare nessuno, affibbiando a chiunque si occupi della cosa pubblica un marchio d’infamia destinato a durare in eterno.
La nostra posizione in merito è sempre la stessa: fuori i partiti dal servizio pubblico, a cominciare da quelli a noi vicini, da quello che abbiamo votato, nel quale ci riconosciamo o del quale facciamo addirittura parte.

E sempre gli stessi sono anche i contenuti che intendiamo immettere nel dibattito pubblico sull’argomento: un direttore generale autorevole e indipendente, una governance ristretta e composta da personalità di prestigio, possibilmente scelte dai cittadini o comunque provenienti dal mondo della cultura e dell’informazione, il ritorno di tutti gli esiliati illustri e una difesa senza se e senza ma delle non molte trasmissioni di qualità rimaste, al fine di evitare quello che Vincenzo Vita e Beppe Giulietti hanno definito “il collasso editoriale, culturale, finanziario” dell’azienda.

Sinceramente, non ci appassiona il toto-nomi che si è scatenato intorno al possibile commissario che Monti dovrebbe chiamare all’impresa titanica di far tornare la RAI ai fasti di un tempo. Anche se siamo stati tra i primi ad avanzare l’ipotesi di un commissariamento dell’azienda, riteniamo che il problema non si risolva ponendo al timone di viale Mazzini una personalità di spessore. Certo, sarebbe un grande passo avanti ma non basterebbe ad eliminare gli errori, le scelte incomprensibili, gli allontanamenti eccellenti, le decisioni assurde compiute nell’ultimo decennio.

Coscienti del fatto che un personaggio di indiscusso valore rappresenterebbe comunque un segnale importante e un punto di svolta da non sottovalutare, avevamo incluso nella lista dei nostri preferiti figure del calibro di Stefano Rodotà, Valerio Onida e Gustavo Zagrebelsky, ma nessuno dei tre ci sembra sia stato neanche preso in considerazione nella rosa dei papabili.
I nomi ricorrenti in queste ore sono quelli di Enrico Bondi, il manager che ha risanato la Parmalat; dell’ex direttore generale Claudio Cappon; di un membro interno come Giancarlo Leone e di Domenico Arcuri, il più giovane manager alla guida di una società pubblica. Se la scelta dovesse ricadere su un personaggio proveniente dal mondo dell’editoria, alcune voci danno favoriti Ferruccio De Bortoli (attualmente direttore del “Corriere della Sera”) e Giulio Anselmi (attualmente presidente dell’ANSA).

Nulla da dire sulle qualità e sulle credenziali dei soggetti sopra citati, ma crediamo che il tema da porre al centro della discussione sia soprattutto cosa dovrebbe fare quest’eventuale commissario. Lasciare tutto così com’è? Allora, tanto vale che lo scenario resti invariato perché altra ipocrisia sarebbe veramente intollerabile. Far finta di agitare un po’ le acque ormai intorbidite e promuovere il solito, gattopardesco cambiamento all’italiana? Non sia mai. Far proprie le richieste che Articolo 21 (e non solo) sottopone da anni all’attenzione dei vertici aziendali e politici, con il preciso scopo di superare la Legge Gasparri e aprire una nuova stagione anche nella più importante industria culturale del Paese? Sarebbe meraviglioso, ma abbiamo seri motivi per dubitare che a questo eventuale commissario una parte dell’attuale maggioranza permetterebbe di adempiere come si deve al proprio compito; e c’è il fondato timore che quella stessa parte possa addirittura far saltare il governo pur di far saltare una vera riforma della RAI, con conseguente eliminazione della Gasparri, riforma della governance e, perché no, un’asta sulle frequenze che smantelli il concetto stesso di “beauty contest”.

Bisogna dare atto a Bersani, al centrosinistra e ora anche al Terzo Polo di aver affrontato la questione con profonda dignità, dimostrando una volontà concreta di porre fine a uno dei cardini del berlusconismo: il controllo capillare della politica sull’informazione, la più inaccettabile delle anomalie italiane.
Come bisogna dare atto al Partito Democratico di essersi mosso per primo, evitando tatticismi e temporeggiamenti che oggi avrebbero reso la sua battaglia poco credibile.
Tuttavia, ha ragione Carlo Verna, segretario dell’USIGRAI, quando afferma che “le riforme non possono venire da una partita a scacchi con pezzi da sacrificare per poter vincere” e aggiunge: “La RAI è un bene comune cui non si può rinunciare come a un torre o un alfiere”.

Volendo analizzare la questione in tutte le sue molteplici sfaccettature, è vero anche ciò che scrive su “la Repubblica” un osservatore sempre attento ai temi dell’informazione come Giovanni Valentini: “ Per quanto rilevante ed essenziale sia la questione della RAI, in questo momento non si può considerare tanto decisiva da compromettere il delicato equilibrio su cui si regge il governo Monti”.
Sarà, dunque, tutt’altro che semplice per il Premier sbrogliare questa matassa, specie se si considera che nelle prossime ore i veti e gli altolà di chi si è avvantaggiato con questo pessimo sistema si moltiplicheranno in misura esponenziale.
Il 28 marzo scade il CDA. Monti ha una settimana per dimostrare di che pasta è fatto e se è in grado, dopo aver multato con cifre stratosferiche Bill Gates, di mandare in archivio le tossine di un decennio che non vuol finire.
Roberto Bertoni
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