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Articolo 21 - Sguardi sul mondo
Scalfaro, il galantuomo intransigente
Scalfaro, il galantuomo intransigente Oscar Luigi Scalfaro è una di quelle figure di cui si parlerà ancora a lungo. L’ho incontrato una sola volta, a Genova, alla Festa Democratica, era il settembre del 2009 e mentre parlava iniziava a scendere la sera. Dal porto, si udivano poche voci; in platea, il silenzio. Lo intervistava Chiara Geloni, la direttrice di Youdem, e io ero accanto ad un gruppo di amici, tutti giovanissimi, tutti pieni di sogni, di speranze.
Quando terminò di parlare, ci guardammo negli occhi e scoprimmo di essere tutti sinceramente commossi, quasi rapiti dal messaggio di quell’uomo che, in gioventù, aveva contribuito a redigere la Costituzione e l’aveva difesa per tutta la vita, esponendosi, negli ultimi anni, ad attacchi vili e volgari, ad accuse offensive e infondate da parte di coloro che, invece, volevano stravolgerla e umiliarla.

Era già molto anziano, la voce non era più quella forte ed intensa di un tempo, quella del “Non ci sto!” nei confronti di una “macchina del fango” ante-litteram, quella con cui si oppose agli albori del berlusconismo, rifiutandosi di nominare Previti ministro della Giustizia ed evitando di sciogliere le camere quando Bossi sfiduciò l’alleato, chiamando Lamberto Dini alla guida del Paese e attirandosi l’astio e, spesso, anche gli insulti dei “berluscones” che gridavano al “ribaltone” o, peggio ancora, al “golpe”.
Tuttavia, nonostante l’affanno dovuto all’età, era con i giovani che Scalfaro si esaltava, che dava il meglio di sé, come se d’improvviso tornasse ragazzo e ritrovasse l’energia, la forza, il vigore degli anni in cui combatté contro il nazi-fascismo e partecipò alla nascita della Repubblica e della Costituzione, al ritorno dell’Italia alla democrazia, alla libertà, alla vita.

Al pari di Enzo Biagi, anche Scalfaro, quando si rivolgeva alla nostra generazione, era capace di una tenerezza poetica: i suoi occhi si illuminavano nell’osservare la vitalità, la gioia, l’entusiasmo di ragazzi che considerava quasi dei nipoti.
Tante volte ci ha scritto, si è rivolto a noi; tante volte ci ha spronato ad avere coraggio, a credere in noi stessi, a guardare al futuro con ottimismo, con lo stesso spirito che caratterizzò la sua generazione, sconvolta dalle atrocità della guerra.
Era una vicinanza sincera, come sincero era il suo impegno in difesa della Costituzione e dei valori democratici che vedeva messi sempre più in discussione da una pericolosa svolta oligarchica e autoritaria.

Nel 2006, si è battuto con tutte le forze per sventare il tentativo di revisione costituzionale portato avanti dal centrodestra: ha vinto la sua battaglia, ma non si è fermato.
Fino alla fine, ha difeso quei princìpi morali che hanno scandito la sua formazione intellettuale e il suo impegno politico, componendo in lui una sorta di quadro dei diritti che non ha permesso a nessuno, neanche al berlusconismo dilagante, di calpestare o mettere in discussione.

Adesso che non c’è più, al pari di Biagi, Montanelli, Bocca, Sylos Labini, Maria Eletta Martini e molti altri ancora, siamo chiamati a raccoglierne il testimone e a fare nostro il messaggio di speranza, di amore per la legalità, di fiducia nel domani e di rispetto per le istituzioni e per la Carta Costituzionale che ci ha trasmesso, soprattutto negli ultimi anni.
Se n’è andato nel sonno, al termine di un’esistenza straordinaria. Non so quale sia stato il suo ultimo pensiero ma credo fosse sereno, probabilmente felice di ricongiungersi a Dio: un concetto importantissimo per un uomo che ha sempre trovato conforto nella fede, al punto che sul bavero della giacca portava sempre la spilla dell’Azione Cattolica.
Ci mancherà, in particolare a noi che abbiamo tutta la vita davanti e avevamo trovato in lui un punto di riferimento, certi che ci avrebbe ascoltato, che non ci avrebbe mai lasciato soli.

Una volta, ribadendo la sua positività, disse: “Io do all’ottimismo questo contenuto. Le cose vanno male, cosa posso fare io? Posso dire una parola, posso dare un appoggio a qualcuno, posso dire di no a qualche cosa. Debbo per forza associarmi a questo lamentarsi come se il mondo fosse già crollato? Se esiste una virgola che posso fare, se c’è uno spazio, mi rimbocco le maniche e questo è il senso del mio ottimismo. L’ottimismo si allarga quando penso che per potere morire è indispensabile nascere. Perché se uno non nasce non muore. Se uno non fa, non sbaglia: il fatto che uno che ha il dovere di fare non faccia, è molto, molto negativo. Mi capita di dire ai ragazzi nelle scuole: io devo fare tutto ciò che dipende da me e che penso possa dipendere da me. Poi chiedo: c’è qualcuno che ha governato cent’anni? Ancora no. Sì, ci sono stati gli imperi, ma qualcuno che abbia governato cent’anni, no. E a chi governa bisognerebbe domandare: perché volete lavorare solo per quel minuto in cui comandate? Un minuto che dura una legislatura o dieci. Ma perché non avete il desiderio, o forse la presunzione di dire “voglio fissare una legge che dura duecento anni”. I Romani fabbricarono il Colosseo. Che titolo avevano per fare tanto? Avevano la bellezza di pensare in grande. Noi pensiamo da pidocchi, da pulci ritenendo che il pidocchio sia l’animale più grosso, più potente, più luminoso che ci sia al mondo”.
Addio Presidente!
Roberto Bertoni


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