Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - INFORMAZIONE
Quale futuro per la Rai? Tra privatizzazione e liberalizzazione, per ora domina il conflitto di interessi
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Gianni Rossi

Quale futuro per la Rai? Tra privatizzazione e liberalizzazione, per ora domina il conflitto di interessi

C’è una stagione per il pubblico e ce n’è un’altra per il privato. Nei primi anni Sessanta, agli albori del Centrosinistra storico, la parola magica era “nazionalizzare”, riportare le Reti sotto il controllo pubblico. Si partì dall’energia elettrica e si finì con la telefonia, prima spezzettata in tronconi macroregionali, per arrivare all’esplosione magmatica delle Partecipazioni statali, i cosiddetti “panettoni di Stato” (IRI, EFIM, GEPI).

Poi la stagione cambiò, la politica dei governi di centrosinistra a guida DC-PSI, ma anche molti esponenti della sinistra storica, furono ammaliati dalla sirene delle privatizzazioni che provenivano dalle scuole economiche anglosassoni, a cominciare dalla monetarista di Milton Friedman di Chicago, l’ideologo della politica di Reagan, che fu alla base delle scelte di politica economica anche della dittatura di Pinochet in Cile. In Europa, prima la  conservatrice Thatcher, poi il laburista Blair, furono gli epigoni di questa scuola ideologica, che cercò di rinnovare il capitalismo in crisi con ricette iperliberiste, portando a privatizzazioni di servizi pubblici prima ritenuti essenziali, alla costante riduzione del Welfare state, alla finanziarizzazione dei mercati delle merci e dei beni immateriali. Privatizzare ultima chance per il capitalismo saturo.

Insomma tutti, ma proprio tutti, a destra e a sinistra, si ubriacarono al grido dello slogan: “privato è meglio ed efficiente, pubblico è vecchio e corrotto”!

Poi sono arrivate le crisi di fine anni Novanta, di inizio Duemila  e l’attuale, la più lunga, ciclica, storicamente la più pesante da quasi un secolo. Gli stati, per non affogare, hanno finanziato banche e industrie, indebitandosi massicciamente, creando recessione e deflazione, senza rilanciare occupazione e sviluppo. Finita la prima fase di risanamento, ecco riaprirsi le cateratte dei debiti pubblici al limite dei fallimenti, la guerra delle valute, la ripresa dei movimenti speculativi, la ricerca affannosa dei governi per risanare le casse asfittiche degli stati con la vendita dei “gioielli di famiglia”, ovvero ulteriori privatizzazioni.

In pratica, ai giochi iperspeculativi della finanza internazionale, i governi del G-8 e del G-20 oppongono gli stessi archetipi: finanziarizzare i beni dello stato e impoverire il capitalestatale, da quello immobiliare, alle reti, ai servizi pubblici essenziali, a vasti settori del Welfare state.


Quale Servizio Pubblico?

 

Ecco, allora, che si pone in alcuni settori della politica italiana, da destra a sinistra, l’idea di vendere anche “beni immateriali” come un mezzo di comunicazione di massa, finora simbolo di Servizio Pubblico, ovvero la RAI. Fare cassa, si dice, con ricavi di alcuni miliardi di euro. Ma chi dovrebbe comprare, con quali regole di sistema e quali garanzie perché comunque resti in piedi un sistema di media  che funzioni ancora da “Servizio pubblico”?

 di media  che funzioni ancora da “Servizio pubblico”?

Intanto, dall’inizio del 2011 la legge Gasparri permetterà la parziale privatizzazione di rami d’azienda della RAI. Inoltre, darà la possibilità ai privati, ovvero a Mediaset di Berlusconi, di entrare nell’editoria stampata e nell’interconnessione con la Telecom. Il panorama europeo, poi, non è molto lusinghiero. I grandi Network pubblici soffrono di carenze di investimenti, di crisi finanziarie e di una generale opposizione ideologica in casa e nel continente verso i servizi pubblici: la britannica BBC, la francese France Televisions, la spagnola RTVE, ma anche la Danimarca, la Polonia e il Belgio hanno ridotto drasticamente il numero dei loro dipendenti e chiusi servizi di un certo prestigio. Mentre a livello della legislazione comunitaria, due leggi negli ultimi anni, quella sul Product Placement e il Telekom Package, hanno ridotto gli spazi imprenditoriali per i servizi pubblici a favore dei privati e dei cosiddetti “carriers”, ovvero le società di TLC e Internet provider, che di fatto diventeranno i maggiori produttori e gestori dei New Media interattivi e digitali.

Solo il Parlamento europeo, ogni tanto, vota alcune prese di posizione in favore dei Servizi Pubblici, per ribadirne il concetto di essenzialità per la libera circolazione delle idee, per la difesa del pluralismo informativo e per il rispetto del gioco democratico ed elettorale

Non c’è, insomma, nessuna visione, neppure minima, di come dovrebbe essere un Servizio pubblico oggi, in questa era di New Media, e quali regole dovrebbero essere osservate, affinchè non prevalgono solo gli interessi dei grandi gruppi privati internazionali, che ormai tendono a globalizzare le informazioni, le comunicazioni, la pubblicità, la filmografia, guardando ai profitti e al potere di influenza sui sistemi politici. Il caso della News Corporation di Rupert Murdoch è esemplare: si tratta del più grande gruppo multimediale al mondo, che opera su tutti i continenti e che, nonostante sia un “editore puro”, riesce a condizionare le scelte governative, culturali e consumistiche di miliardi di persone.

In pratica, se nel campo della finanza pubblica esistono organismi che in qualche modo regolano e controllano gli andamenti dei mercati (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, OCSE, IOL, la BCE, i Vertici mondiali ed europei dei capi di stato e di governo); per il più sensibile e fondamentale mercato della comunicazione e delle idee, dell’immaginazione e della cultura (che muove interessi economici stratosferici) non esiste nessun ente sovranazionale a tale scopo né vi sono regole condivise. L’unica novità, per sé stessa comunque debole e anche a rischio, sembra essere quella della “Free Net”, ovvero dell’assenza di regole stringenti nel sistema di comunicazione via Internet. Ma ancora per poco, come lasciano intendere le legislazioni restrittive francesi, quelle annunciate dagli Statti Uniti e dalla stessa Unione Eruopea.


Il caso RAI

Per la RAI sembra che il declino, già iniziato a meta anni Novanta con la concorrenza sleale impressa dal duopolio con Mediaset, sia ormai arrivato ad un bivio: o la si vende tutta, sulla falsariga di Alitalia (prima però si arriva sull’orlo del fallimento e poi si organizza una “cordata amica di cavalieri bianchi”) o in parte (secondo la legge Gasparri), oppure la si lascia vivacchiare con iniezioni di finanziamenti straordinari, ma con una forte restrizione di autonomia e libertà imprenditoriale ed ideativa, per non arginare il sopravanzare dei Network privati, appunto Mediaset e SKY Italia di Murdoch. Sta di fatto che, se prima la RAI poteva condividere la torta degli introiti pubblicitari, seppure da posizione minoritaria, con Mediaset, ora deve fare i conti anche con SKY, come negli ultimi due anni hanno ben evidenziato le Relazioni conclusive dell’AGCOM.

Ma sia Mediaset, sia SKY possono mettere sul mercato i loro prodotti con decoder digitali che offrono bouquet di programmi a pagamento, mentre alla RAI in pratica questa fonte di guadagni è pressoché preclusa. Non solo, ma mentre Mediaset con all’incirca 2 milioni di abbonati è di fatto monopolista del digitale terrestre, SKY con i suoi 5 milioni di abbonati lo è sul satellite.

In Gran Bretagna, dove la concorrenza è reale e garantita dalle leggi antitrust generale sul mercato, la BBC può operare con partner privati sia sul digitale terrestre sia sul satellitare, rompendo l’accerchiamento di BSKYB di Murdoch e offendo quindi un servizio pubblico competitivo agli abbonati, che pagano un canone più del doppio degli italiani.

Di fatto, comunque, la RAI si è avviata verso un uso privatistico sia industriale sia produttivo-editoriale. La quasi totalità delle produzioni di spettacoli, fiction, cinema, intrattenimento e anche di approfondimento informativo sono ormai realizzate in appalto con società private, che hanno in mano il mercato (come la Ballandi Entertainment  di Bibi Ballandi, la Endemol di Bassetti e Mediaset, la Magnolia di Gori e la Grundy Italia). La lottizzazione, un tempo sinonimo di ripartizione secondo le percentuali di consenso politico dei vari partiti di governo e opposizione, oggi è superata da un sistema che privilegia i gruppi di interesse, i circoli amicali, pur mantenendo una parvenza di spartizione del personale, a tutti i livelli della catena produttivo-gerarchica, ma con un sistema che svuota le professionalità. Sia nel CDA sia ai vertici operativi si ritrovano manager provenienti dalla cerchia più ristretta che orbita intorno al premier Berlusconi, a Madiaset, Publitalia, Edilnord, PDL  e Lega, circoli salottieri che contano.

La situazione economica e finanziaria della RAI, stando ai bilanci consuntivi e preventivi è in profondo rosso, tale da non permettere scelte di innovazione tecnologica né di strategie editoriali di lungo respiro. Entro il 2012, secondo alcuni potrebbe arrivare ad un deficit di 600 milioni di euro! Si prevedono, quindi, prepensionamenti e ristrutturazioni aziendali per ammortizzare costi e perdite.

Riparte così la battaglia iedologico-politica di “Privatizzare il Servizio pubblico”: per arginarne il declino, per rifondarne i criteri di promozione culturale e artistica, per garantirne il pluralismo.

In apertura della seduta del 20 ottobre dell'Ufficio di Presidenza della Commissione di Vigilanza, dedicata all'avvio della discussione sull'Atto di indirizzo alla Rai, il Presidente, Sergio Zavoli (già firma storica dell’azienda, direttore giornalistico e presidente di Viale Mazzini), dichiarò: “Di fronte all'intrecciarsi di “casi” che si susseguono ormai quotidianamente, la perdita di un punto di riferimento forte - istituzionale e aziendale - che tenga in equilibrio la mission di un' “Azienda privata incaricata di servizio pubblico” rende legittima, e lo dico con il più vivo allarme, la domanda se la Rai, così come sta configurandosi, corrisponda ancora alla sua identità statutaria .In realtà non se ne colgono più né lo spirito nè la prassi; e tutto, confondendosi in un coacervo di atteggiamenti dettati dalla perdita delle doverosità originarie, finisce per accreditare la richiesta, persino comprensibile, di una soluzione radicale: la privatizzazione. Il problema non è tanto privatizzare, che oggi vorrebbe dire semplicemente lasciare le cose come sono, pressochè “normalizzate”, quanto ripensare la funzione del Servizio pubblico. E' quindi necessario un Atto di indirizzo che, facendosi carico di un interesse di carattere generale, rimetta in equilibrio un disordine che va a toccare una grande questione democratica: se la Rai, cioè, debba essere ancora lo strumento che non solo promuova la crescita civile e culturale del Paese, ma si fa mediatore corretto - quindi libero e responsabile - tra i fatti e l'opinione pubblica. E' la premessa, pur sommaria di una scelta non più rimandabile:fino a che punto cioè sia lecito, di fronte a un pericolo di questa natura, non esercitare le rispettive responsabilità. Si configurerebbe, altrimenti, anche una nostra inadempienza istituzionale".

Condividiamo appieno questo suo allarme, che rafforza i tentativi di quanti intendano, seppure con proposte diverse, ampliare il concetto di Servizio pubblico e tirar fuori la RAI dalla palude Stigia in cui Berlusconi e i suoi uomini l’hanno fatta impantanare.

 
Privatizzare o liberalizzare?

Il dibattito politico attuale verte, grazie anche al recente contributo dei “Finiani” e di “Farefuturo”, sulla privatizzazione della RAI, idea condivisa dai Radicali, da gran parte della destra al governo, e anche da alcuni settori non marginali del centrosinistra.

A questa ipotesi “provocatoria” si può intanto rispondere con una prima teoria: quella del privatizziamo tutto, secondo le regole antitrust vigenti negli Stati Uniti, dove il Servizio pubblico è relegato al piccolo e marginale  Network PBS, e i Network privati dominano il mercato ma sottoposti ad effettivi controlli.

1) Privatizzazione totale del mercato multimediale: ogni operatore privato può avere un solo Network sul digitale terrestre e sul satellitare, oltre che in interconnessione con società Internet provider e di TLC. Mediaset e SKY Italia dovrebbero quindi ridurre la loro presenza sul mercato in maniera drastica (esempi quasi simili in Francia, Gran Bretagna e Germania, dove i privati possono solo avere un canale, anche se possono interagire su varie piattaforme, ma il servizio pubblico è presente con almeno 2 canali). Ci vorrebbe, ovviamente, come corollario una legge sul conflitto di interessi molto più severa e rigida dell’attuale “all’acqua di rose”.

La RAI diventerebbe un piccolo canale di servizio, regionalizzato (o meglio “federalizzato” come dicono i leghisti), finanziato non più dal canone ma da un appannaggio annuale, legato ad un Contratto di Servizio, che potrebbe mettere all’asta i finanziamenti dei cosiddetti programmi di servizio pubblico. La torta della pubblicità verrebbe meglio spalmata anche su carta stampata e sui prodotti via WEB.

Ovviamente, vista la crisi che stiamo attraversando, chi (italiano o straniero) avrebbe alcune migliaia di miliardi di euro per comprare le reti RAI? Quali garanzie per l’occupazione? Quali garanzie di autonomia imprenditoriale e politica dagli attuali assetti di potere economico-finanziario e di governo? In Italia, inoltre, non esiste uno Statuto speciale per l’impresa editoriale, che in pratica tuteli gli “editori puri” e contrasti gli intrecci societari nei media tra gruppi finanziari-immobiliari e industriali.

2) Privatizzazione parziale: Una rete-canale o 2 reti-canali ai privati e una RAI dimagrita, come fosse  una sorta di RAITRE-RAI Regionali. Anche in questo caso, però, si dovrebbe aprire il mercato del digitale terrestre e del satellitare a pagamento per i nuovi operatori e, di conseguenza, ridurre la presenza oligopolistica di Mediaset e SKY Italia. Oltre, ovviamente, a tutti gli altri requisiti già esposti a corollario del punto 1.

3) Sistema attuale: RAI, Mediaset e SKY restano arbitre del mercato, ma a Viale Mazzini entrano i privati che comprano “rami di Azienda”, come previsto dalla legge Gasparri. Concorrenza strana e a rischio di privatizzazione strisciante e totale, con l’impoverimento di quelle  parti  della RAI obbligate a fornire servizi pubblici e la conseguente riduzione del canone di abbonamento. Ma il mercato e le legislazioni europee guardano di traverso questa anomalia provinciale e furbesca.

4) Liberalizzazione: E’ l’ipotesi che fa paura sia a destra sia a sinistra, perché parte da due concetti fondamentali per gli stati di diritto, nei quali vigono regole antitrust e anti-conflitti d’interessi molto stringenti. La RAI vende una rete-canale e, quindi, fa cassa e risana i debiti. Si parla di Raiuno-TG1, come fu per i francesi con TF1. A questo punto, Mediaset deve comunque vendere due canali-reti, entrare nel satellitare e permettere a SKY di entrare nel digitale terrestre. La reciprocità nel libero mercato è fondamentale! La RAI, sull’esempio della BBC potrebbe a sua volta svilupparsi con dei partner sul satellitare e sul broadband, ovvero il cavo telefonico ad altissima velocità, dove passerà la TV del futuro, insieme a tutti servizi di comunicazione del WEB.

La RAI dovrebbe essere controllata da una Fondazione autonoma dai partiti e dal governo, la quale indicherebbe un CDA di personalità squisitamente esperte del ramo, al cui interno verrebbe scelto un amministratore delegato, con pieni poteri di indirizzo, gestione e controllo. Non esisterebbe più una Commissione parlamentare di Vigilanza, ma tutto il sistema verrebbe controllato dall’AGCOM, come la stessa legge europea, il Telekom Package lascia intendere, e come avviene negli Stati Uniti.

Partiti e altri appetiti fuori dalla RAI, ma anche mercato liberato, con la pubblicità spalmata verso tutti i New Media.

Ma una RAI così libera e gestita managerialmente, in un panorama di vera libertà  e concorrenza leale anche per i competitor privati, forse farebbe paura a molti, e non solo ai partiti!


Letto 2782 volte
Notizie Correlate
Audio/Video Correlati
Dalla rete di Articolo 21