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Avevo paura di morire per una pallottola, ma qui è l’umiliazione a uccidermi
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di Daniela de Robert

Avevo paura di morire per una pallottola, ma qui è l’umiliazione a uccidermi

“Voglio tagliarmi via le mani che tengono in ostaggio la mia vita. Voglio liberarmi delle mie impronte per tornare ad essere un uomo libero e cercare un futuro in Europa”.
Ibrahim mostra le sue mani e con il dito mima il gesto del coltello. Le vuole tagliare via per liberarsi delle sue impronte digitali che non gli permettono di lasciare l’Italia, il paese dove pensava di costruirsi un futuro e che gli ha offerto invece solo un foglio di carta e molte umiliazioni.

Ibrahim è somalo. È arrivato in Italia nel 2007 dopo un viaggio terribile attraverso deserti e mari. A Lampedusa è sbarcato il 16 agosto. Dopo quattro mesi ha avuto il permesso di soggiorno per motivi di protezione perché viene da un paese in guerra. Ma la protezione dell’Italia si è limitata a un foglio di carta. “Mi hanno detto: Accomodati, l’Italia è grande!”.

Si è ritrovato a Roma insieme ad altre centinaia di somali che, come lui hanno ottenuto l’asilo politico. Dormono tutti nell’ex ambasciata somala in Via dei villini, tra palazzi e villette liberty della Roma bene. Vivono ammassati come bestie, senza acqua, luce e gas. Dormono su materassi di fortuna buttati per terra, insieme ai topi che fanno capolino. Mangiano una volta al giorno in qualche mensa della capitale. Ogni tanto passa un pulmino dei medici del MEDU per visitare chi sta male e in questi giorni di freddo sono davvero in tanti.

La situazione di Via dei villini 9 non è una novità sono anni che centinaia di disperati trovano rifugio lì. Molti di loro cercano di andare via, in altri paesi: Olanda, Svezia, Germania… Anche Ibrahim lo ha fatto, quattro volte. L’ultima in Germania. Ma le sue impronte digitali dicono che ha ottenuto l’asilo in Italia e qui deve rimanere, come stabilisce l’accordo di Dublino II del 2003. Per questo si vuole tagliare via le mani. Perché le sue impronte lo costringono a restare in un paese dove i diritti umani non sono rispettati.

Ed è proprio sotto il patio dell’ex ambasciata somala che si è svolta una conferenza stampa promossa da una rete di associazioni, da Migrare ad Articolo21, Buon diritto, il Consiglio italiano per i rifugiati, Medici per i diritti umani, la Federazione nazionale della stampa. Insieme, per fare uscire dall’invisibilità la vita di centinaia di persone venute per sfuggire a vent’anni di guerra e costrette a vivere in condizioni inaccettabili nel cuore della capitale di uno dei paesi del G7.

“L’avarizia del nostro paese trasforma la protezione in una trappola” ha detto Luigi Manconi dell’associazione Buon Diritto. “Ci siamo dimenticati che noi italiani eravamo come loro, quando fuggivamo dal nostro paese per sfuggire al regime fascista”.

Shukri Said, portavoce dell’associazione Migrare, è italiana, ma non si è dimenticata delle sue origini. È lei l’anima di questa iniziativa. “Sono una nuova cittadini italiana e non posso accettare che delle persone vivano in questo stato. Bisogna intervenire subito per dare un presente e un futuro a queste persone”.
L’emergenza umanitaria e sanitaria è sotto gli occhi di tutti. Da anni. Ma finora le istituzioni e le amministrazioni non hanno fatto nulla. Anzi, qualcosa a novembre è stato fatto: uno sgombero con fermo delle persone per controllare che non ci fossero spacciatori e terroristi (che, per la cronaca, non c’erano). Tutto è finito lì. Piano piano la gente è tornata e tutto è ricominciato come prima.

Ieri cinquanta somali sono stati riportati in Italia da altri paesi europei. La trappola si è chiusa anche su di loro. Mohamed ha cercato di liberarsene bruciandosi le mani, ma è riuscito solo a ferirsi. Le impronte sono rimaste.
Da tempo il CIR chiede al governo un programma di accompagnamento e di integrazione per i rifugiati per dare loro non solo un tetto, ma anche la possibilità di costruirsi quella vita per la quale hanno rischiato la morte. Il disegno di legge c’è e il senatore del PD Vincenzo Vita si è impegnato a fare sì che l’opposizione spinga per un’accelerazione del suo iter. In attesa della legge, il presidente del terzo municipio Dario Marcucci si farà portavoce presso il Comune per trovare una soluzione temporanea degna di un paese civile.

Ma c’è anche una responsabilità dei media. Lo ha detto con forza Roberto Natale presidente della Fnsi: “Non è possibile che si debba faticare tanto per ottenere visibilità.  Non è possibile che sappiamo così tanto del figlio di Elton John e così poco di centinaia di profughi senza diritti nel nostro paese”.

Per qualche ora o per qualche giorno i somali poveri che abitano nella ricca Via dei Villini sono diventati visibili. I giornalisti presenti hanno raccontato, fotografato e filmato questa vergogna italiana. Ma è solo il primo passo. Il resto è tutto da fare. Perché non si debba più sentire, come è successo ieri, che una persona che ha trovato protezione in Italia debba dire: “Nel mio paese avevo paura di morire per una pallottola, ma qui è l’umiliazione a uccidermi”.

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