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Quel calendario della Lega, senza 25 aprile e primo maggio
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di Ernesto Milanesi

Quel calendario della Lega, senza 25 aprile e primo maggio

Con il pretesto della Befana, un calendario senza più le feste della Liberazione e del Primo Maggio in evidenza come sempre. E' l'«identità veneta» declinata dall'assessore leghista della Provincia di Padova Leandro Comacchio finito inesorabilmente nell'occhio del ciclone. Stampato in 40 mila copie, il calendario è stato distribuito a tutti i 103 Comuni padovani. Per primo l'ha immediatamente restituito il sindaco di Solesino, seguito a ruota dagli altri amministratori di centrosinistra una volta esploso il «caso».

Tutta pubblicità gratuita per Comacchio che tira dritto, insistendo sull'aspetto «didattico» della pubblicazione riservata in particolare ai più piccoli. Dal punto di vista squisitamente politico, ci ha pensato Maurizio Conte (assessore regionale e padre-padrone della Lega padovana) a rintuzzare le polemiche. In Provincia, nessuna reazione da parte dell'altra metà del centrodestra: il Pdl è sempre alle prese con la crisi di identità alimentata dalle faide interne.

Sul punto delle festività, invece, non è la prima volta che la Lega  «abolisce» i giorni più sentiti dalla Repubblica. Il 25 aprile in Veneto si alimenta la devozione a San Marco proprio in alternativa alle radici della resistenza antifascista. Nel 2010, sul vallo di Cittadella erano schierati tutti i dirigenti leghisti padovani intorno al sindaco-deputato Massimo Bitonci. Felpa verde padano marchiata a caratteri cubitali Veneto, bandiere serenissime del leòn e orgoglio federalista. Una ricetta che funziona anche in chiave anti-150 anni dell'unità d'Italia...

Il Primo Maggio fatica a trovare una chiave alternativa con cui il Carroccio possa comunicare un altro modo di far festa. Intanto viene «cassato» dal calendario. Ma il terreno è più scivoloso: nelle fabbriche, nei laboratori artigianali e nel lavoro dipendente la Lega che ha trionfato con Luca Zaia mantiene un prezioso «serbatoio» di consensi. Paradossalmente, proprio dentro la crisi che attanaglia il Nord Est. Una recente indagine dei sociologi «precari» dell'Università di Padova ha documentato la consistenza della doppia appartenenza delle tute blu: tessera della Cgil in tasca e voto alla Lega nell'urna.

Comunque, una volta di più i riflettori mediatici servono a sviare l'attenzione. Il botta e risposta sul calendario della Befana fa dimenticare un paio di vere «emergenze» nella città del Santo. Riguardano le due vere «fabbriche», alimentate dai soldi di tutti e di fatto ormai fuori dal controllo pubblico. L'Università è scossa non solo dal movimento anti-Gelmini, perché la gestione opaca dei vecchi baroni intacca perfino la credibilità istituzionale. Il Bo conta 2.396 docenti (di cui 737 donne) all'interno di 53 Dipartimenti. Sono 717 professori ordinari, 742 associati e 937 ricercatori e assistenti. Nell'organico 2.326 dipendenti tecnici amministrativi. L'Ateneo padovano dichiara 57.837 studenti iscritti di cui solo 5.298 alla Facoltà di Psicologia.

Numeri da...Fiat. Poi c'è la sanità pubblica. Ora si scopre che Padova non avrà come Verona un'Azienda ospedaliera integrata con l'Università. E diventa sempre più arduo spacciare il progetto di nuovo ospedale: l'originale targato Galan in project financing valeva 1,7 miliardi di euro. Intanto alle dipendenze del direttore generale Adriano Cestrone c'è un vero esercito (senza dimenticare i 442 milioni di euro di budget dichiarato nel bilancio 2008). Gli ultimi dati ufficiali dell'Azienda ospedaliera contabilizzano 4.651 dipendenti più 143 borsisti e collaboratori a termine. Solo all'interno dei reparti lavorano 571 medici, 2.394 infermieri, 287 tecnici sanitari e 54 tecnici riabilitativi. I posti letto dichiarati sono 1.427 per un totale di 71.797 ricoveri di cui
8.294 (pari all' 11,6%) da fuoriregione. E qui il «metodo Marchionne» è già in vigore...


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