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"Lo Stato siamo noi. Siamo noi l’Italia"
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di Redazione

"Lo Stato siamo noi. Siamo noi l’Italia"

"Lo Stato siamo noi. Siamo noi l’Italia. Loro dovrebbero essere chi garantisce una quotidianità serena ed è l’opposto". Queste sono le parole di una madre, non una madre qualsiasi, ma la madre di Federico Aldrovandi, morto ammazzato a 18 anni, all’alba del 25 settembre 2005, in seguito alle percosse ricevute da quattro agenti che quella notte lo fermarono a Ferrara, in strada, per un controllo. La testimonianza di Patrizia Aldrovandi, madre di Federico, ha catturato l’attenzione del numeroso pubblico presente sabato sera  a L’Aquila, presso l’ex-asilo occupato, alla proiezione del film “E’ stato morto un ragazzo”.
All’incontro erano hanno preso parte anche l’autore del film Filippo Vendemmiati, Antonietta Centofanti (Comitato Familiari Vittime della Casa dello Studente) e il Comitato 3e32 dell’Aquila, che ha organizzato l’evento. La dinamica dell’assassinio del giovane ferrarese è ancora poco chiara, malgrado la condanna comminata il 6 luglio 2009 ai quattro agenti per omicidio colposo e quella del 5 marzo 2010 a diversi funzionari della Procura di Ferrara per depistaggio.
"Non sappiamo perché sia successo tutto questo. Lui era solo, non era un pericolo pubblico. Federico aveva dimenticato la carta d’identità quella sera, forse l’hanno fermato per questo motivo. Probabilmente i toni si erano alzati. I vicini hanno sentito le urla": così una madre umiliata e offesa prova a immaginare la dinamica degli eventi. "Dopo la morte di mio figlio il processo è stato un altro calvario – continua - segnato dal tentativo di offendere e insultare Federico, tentando di creare il 'mostro'". Durante l’incontro si è sottolineato come inizialmente il processo di depistaggio sia andato di pari passo con le accuse rivolte al ragazzo di essere un tossicodipendente, come se cioè costituisse un’attenuante per gli agenti quando invece tale fatto poteva essere un aggravante. Caduta, così, la tesi della tossicodipendenza come concausa di morte, la difesa degli indagati ha suggerito la tesi della morte improvvisa per malore. Ma ad ammazzare Federico sono state le botte.

Ciò che si teme è che i tentativi di non giungere alla verità, di non fare giustizia, ma di decidere a tavolino sistemi di depistaggio che hanno ammazzato due volte Federico Aldrovandi, possano ripresentarsi anche a L’Aquila per le vittime del terremoto. A tal proposito, Antonietta Centofanti ha individuato nella cultura omertosa, nei silenzi colpevoli e nell’incapacità d’indignarsi, dei virus difficili da espellere dalla collettività. La cultura omertosa si esprime, relativamente alla “questione aquilana”, attraverso due gesti da lei definiti brutali: il primo è la nomina di Luca D’Innocenzo quale componente della commissione di saggi per la redazione del nuovo statuto dell’Ateneo dell’Aquila, carica ritenuta inadatta per l’ex-presidente dell’Azienda per il Diritto allo Studio Universitario (ADSU), responsabile quindi della Casa dello Studente; il secondo gesto riguarda la costruzione di un parcheggio a due piani sotto la Piazza della Memoria nel luogo in cui sorgeva la Casa dello Studente. Entrambe le cose sono avvenute senza richiedere il parere dei familiari delle vittime.
Aldrovandi costituisce un esempio di come si possa morire d’illegalità, una particolare illegalità che si colloca nel ventre dello Stato. "Molte morti appartengono alla società, alla comunità - dice Antonietta Centofanti - le morti bianche o meglio i delitti sul lavoro, i morti per inquinamento, le persone morte a seguito delle percosse della polizia, i bambini morti a San Giuliano di Puglia e infine i morti dell’Aquila. Queste sono tutte stragi di Stato, frutto di una mancata presa di responsabilità, di costruzioni fatte male, di colpevoli abusi di potere". Allo Stato, spesso assente se non addirittura colpevole di morti come queste, va la sofferente richiesta di esprimersi, di prendere posizione, di fare giustizia, di riconoscere colpe e dolori.


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