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Articolo 21 - ESTERI
Canaglia funzionale
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di Guido Moltedo

Canaglia funzionale

l mistero della longevità di regimi come quello di Muammar Gheddafi è pari solo a quello della rapidità del loro crollo. Ma a ben vedere sono misteri solo per chi, per tanti anni, non ha voluto guardare alla realtà dei fatti, in nome di una realpolitik ideologica che oggi vediamo come si basasse su piedi d’argilla. Per decenni, personaggi del mondo islamico diversissimi tra loro – per temperamento, per stile politico, per modalità di relazione con il resto del mondo islamico e con l’Occidente – erano accomunati – secondo i report delle ambasciate occidentali – da un’identica capacità di tenuta e di controllo del potere, e da loro le cancellerie occidentali si sentivano garantite.

E ora che tutto si sfarina, dal Golfo al Maghreb, colpisce l’analogia tra l’apparente inossidabile omogeneità (e il successivo rapido sbriciolamento) degli apparati dispotici arabi e la lunga durata (e la repentina caduta) del regimi dell’est europeo. E ora, come allora, impressiona la totale impreparazione delle capitali occidentali di fronte alla velocità dei processi disgregativi.

Ma mentre nell’immaginario, e anche nelle politiche, di Usa ed Europa nei confronti dei regimi comunisti, c’era un’uniformità di giudizio e di comportamento – si parlava allora di Blocco socialista, senza particolari differenziazioni al suo interno, che pure c’erano, come si è visto dopo –, nei confronti del pianeta islamico, è stata disegnata nel corso del tempo una mappa sulla quale spiccava una paradossale diversità nell’uniformità: erano e sono tutti regimi autoritari, alcuni dei quali amici, altri ostili, altri ancora “canaglia”. Ora si vede, peraltro, come i regimi ostili e i regimi “canaglia” fossero soprattutto funzionali a consentire una relazione affettuosa e totalmente acritica con governi violentemente repressivi, in nome della loro funzione di baluardo nei confronti appunto dei regimi di stampo islamista e anti-occidentale.

Questa mappa ha consentito di gestire per decenni i due temi cruciali sullo scacchiere mediorientale: quello dell’approvvigionamento energetico e quello della tutela dello stato d’Israele.
In questo scenario, la figura di Muammar Gheddafi è anomala: per un lungo periodo, era considerato leader di uno stato “canaglia”, al pari dell’Iran, della Siria e dell’Iraq di Saddam Hussein, in grado di dare forza al paradigma di un potente grumo di estremisti e radicali anti-occidentali contro cui contrapporre le forze moderate, tipo l’Egitto di Mubarak e la Giordania di re Hussein.

Poi la svolta filo-occidentale di Gheddafi, mai veramente spiegata fino in fondo, dopo che il Colonnello libico per anni era stato accusato di crimini ben più gravi e provati di quelli attribuiti a Saddam e, oggi, all’Iran.
Retrospettivamente, la svolta del leader libico oggi è più comprensibile: solo la sponda occidentale l’avrebbe salvato dalla degenerazione della situazione interna, alimentata sia dall’insana durata quarantennale di un regime dispotico sia da un embargo che aveva finito per spuntare l’arma principale nella mani del Colonnello per mantenere il consenso: cioè un livello di vita relativamente alto, con consumi anch’essi relativamente elevati, dovuti agli introiti del petrolio. L’embargo aveva eroso questa leva di persuasione interna.

Ma l’apertura all’Occidente non ha mutato sostanzialmente una situazione irrimediabilmente degenerata a Tripoli, mentre l’Occidente, da parte sua, applicava ancora una volta il suo paradigma nei confronti dell’ex-canaglia, chiudendo un occhio (l’Italia tutti e due) verso le bislacche intemperanze del Colonnello, considerandole un modesto prezzo d’immagine da pagare.
Fatte le debite differenze, si ripeteva esattamente lo stesso schema adottato nei confronti degli altri regimi dispotici amici, nei confronti dei quali era solo apparentemente più facile intrattenere relazioni di amicizia e di cooperazione, solo perché più avvezzi allo stile occidentale e non ridicolmente folcloristici come quello di Gheddafi.
Così, anche la critica in Occidente nei confronti del regime libico si è più concentrata sul personaggio Gheddafi e sulle eccessive concessioni nei confronti delle sue follie di satrapo capriccioso, mentre passava in secondo piano la crescita di una vera e propria opposizione interna nei suoi confronti, che, come si vede, ne avrebbe fatto saltare il potere. Tutti, dunque, nei rispetti del regime libico, così come nei confronti degli altri regimi, hanno basato i loro giudizi – pro o contro – ignorando totalmente la possibilità stessa di un dissenso in grado di cambiare completamente le carte sul tavolo.

Fino al punto che ancora un paio di giorni fa Frattini, come D’Alema, invocava un ruolo del Colonnello come possibile protagonista di una nuova fase politica in Libia.

Ma di quali informazioni dispongono, questi nostri politici, per non tenere conto della reale situazione sul terreno? Sarebbe interessante leggere i report delle nostre ambasciate, negli ultimi mesi, da Tunisi, Cairo, Algeri e Tripoli.
Qualcuno da Tripoli aveva avvisato, per esempio, delle spinte separatiste in Cirenaica? O è stata una sorpresa, per la nostra diplomazia, assistere alla rivolta di Bengasi? Se l’Italia, come il resto dell’Occidente, non è stata in grado di percepire l’arrivo dello tsunami nel paese che più d’ogni altro la nostra diplomazia, più d’ogni altra diplomazia, dovrebbe conoscere, c’è da chiedersi come potrà fronteggiare una situazione del tutto inedita come quella che si sta dispiegando in queste ore e soprattutto gli sviluppi dei prossimi giorni.


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