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Mondo arabo: le bugie dei neocon
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di Franco Cardini

Mondo arabo: le bugie dei neocon

Ormai, il malessere del mondo arabo sta toccando un po’ tutti i paesi di quell’area, dalla Giordania al Marocco. Certo, non dappertutto il disagio e le proteste hanno raggiunto il livello della Libia, dov’è ormai in atto una guerra, una guerra tribale travestita da guerra civile. Riguardo ad altri paesi, come Egitto, Tunisia e Algeria, il fatto che la Libia sia passata in questi giorni in primo piano ha consentito ai mass media del “nostro Occidente”, che di tutto hanno voglia meno che d’informarci in maniera compiuta, obiettiva ed esauriente al riguardo, di ridurre se non addirittura di eliminare le notizie.

Quanto all’Arabia Saudita e agli emirati del Golfo, è in atto un vero e proprio black-out in parte organizzato e gestito dai governi di quei paesi – nostri “sicuri alleati” oltre che fornitori di petrolio e partners in un’infinità di jointventures economiche e finanziarie –, in parte favorito dal desiderio dei nostri governi di metter tutto a tacere o di far trapelare il meno possibile, in attesa di una “normalizzazione”: eufemismo per repressione o per trasferimento di poteri in termini graditi alle nostre lobbies, che quei governi tirannici e corrotti hanno sempre sostenuto in quanto ci hanno sempre fatto eccellenti affari.

Da questo quadro allarmante – che lo sarebbe molto di più se ci consentissero d’informarci a dovere – resta fuori, tra i paesi arabi, quasi completamente la sola Siria: e non tanto o non solo dato il «regime di polizia di Assad» (come qualche osservatore si è affrettato a sostenere), che non è affatto più duro di quanto non siano o non fossero quelli egiziano, o libico, o algerino, quanto perché quel paese gode obiettivamente di una situazione interna migliore dal punto di vista politico ed economico e il suo regime di un maggiore e più solido consenso.

Anche i tentativi di paragonare in qualche modo la situazione dei paesi arabi con quella iraniana, sfruttando una manifestazione episodica che aveva dato luogo nei giorni scorsi a un episodio di repressione, è risultato vano: per quanto lo stesso Obama vi si fosse buttato subito a pesce (a proposito: che ne è della signora Sakineh? Non più l’eroina di Bernard-Henri Lévi e dei nostri sindaci, tanto solleciti nei mesi scorsi ad adornare dei suoi posters i loro palazzi comunali?).

Il punto è che, evidentemente, l’agevolazione dei flussi migratori verso l’Europa non basta più a regimi divenuti da tempo impopolari per il grado di violenza e di corruzione che da troppi anni li distingue. Regimi che – con due mezze eccezioni per le due monarchie “semilluminate” di Giordania e di Marocco – sono tutti sostenuti dall’Occidente, cioè dagli Stati Uniti e dai paesi della Nato, nonché loro soci in affari.

Ma il malessere che ormai è esploso nei paesi arabi è con ogni probabilità soltanto l’avvìo di una nuova fase dell’equilibrio (o meglio, dello squilibrio) del mondo globalizzato.

Il rapporto tra i ricchi paesi occidentali, che gestiscono ormai il 90 per cento delle ricchezze mondiali e che si stanno perfino avventando sull’“oro azzurro”, l’acqua, per spogliare i popoli anche di quello, e il resto del mondo che vivacchia sul restante 10 per cento, era obiettivamente insostenibile da molti anni: ma è divenuto intollerabile oggi perché anche i più miserabili paesi del terzo e del quarto mondo dispongono di un’antenna parabolica o di un punto internet e sanno fin troppo bene quale scandaloso abisso divida il nostro benessere dalla loro indigenza.

È quindi poi così strano che oggi siano gli arabi a insorgere chiedendo la restituzione di almeno parte delle loro ricchezze, a cominciare dal petrolio, scippate loro dalle nostre lobbies in combutta con i loro sciagurati governanti? Ma naturalmente queste sono verità troppo “complesse” (come direbbero i gestori dei mass media) per poter essere spiegate all’opinione pubblica.

Ed ecco quindi confezionate, a vantaggio di quest’ultima, delle contro verità semplici, chiare, convincenti. Vale a dire delle balle. Vediamone alcune, esposte in bell’ordine.
Prima. I popoli arabi si stanno muovendo in quanto hanno «fame di democrazia » e di «mod e r n i t à » .
Entrambe intese naturalmente a modo nostro, secondo i nostri parametri: quella insomma del tipo che si sarebbe dovuta esportare (e che è stata parzialmente e formalmente esportata) in Iraq e in Afghanistan. I popoli arabi non vedono l’ora di viver come noi, di godere di “libere istituzioni”: ovviamente, i loro consumi resteranno bassi e le loro ricchezze continueranno a venir drenate fuori dai loro paesi, ma ciò è secondario.

Seconda (contraddittoria rispetto alla prima: il che è beninteso irrilevante per chi confeziona le balle dirette al nostro pubblico). Dietro a questi buoni e bravi cittadini arabi che protestano – i nostri governi hanno subito buttato a mare i loro ex-alleati, a cominciare da Gheddafi, quando hanno visto come buttava la faccenda… – e che non vogliono una libertà a modo loro, secondo la loro volontà e le loro tradizioni, bensì ne bramano una simile alla “nostra democrazia” o comunque compatibile con essa e con i nostri affari e interessi, potrebbero tuttavia celarsi ovviamente i due soliti comodi spaventapasseri: al-Qaeda e il non meglio specificato «fondamentalismo islamico».

Insomma, le folle del Cairo, di Bengasi e di Tunisi (e anche quelle di Fez e di Sana’a) sono democratiche o fondamentaliste? In attesa di saperlo con maggiore chiarezza, il governo statunitense e quelli europei stanno manovrando per recuperare gli elementi “moderati” dei “vecchi regimi” (cioè i personaggi e le forze meno compromessi, in grado di riorganizzare attorno a loro un certo consenso e al tempo stesso disposti a riprendere, su una base più prudente, l’antica collaborazione) e assicurare un passaggio di poteri in grado di garantire che “tutto cambi restando come prima”.

Terza. Se in qualche paese, a cominciare dalla Libia, le cose resteranno troppo ingarbugliate (il che non si può permettere: in Libia c’è il petrolio), allora si potrebbe anche prendere in considerazione la tesi di un intervento militare “della comunità internazionale”. Ma attraverso quali forze, quali strumenti? I neoconservatori americani lo hanno già spiegato al pur riluttante presidente Obama: e i loro emuli europei (a cominciare da Berlusconi e dai suoi dipendenti aziendali dislocati nei ministeri degli esteri e della difesa) lo hanno diligentemente ripetuto.

Le blande misure delle Nazioni Unite (non la chiusura degli spazi aerei, che sarebbe la più efficace e che con Gheddafi bisognava adottare subito per impedirgli di massacrare la sua gente: ma le solite inutili sanzioni) ben vengano, ma non sono troppo efficaci. Se si dovesse arrivare all’uso delle armi, strillano compatti neocons e teocons, bissiamo il brillante successo afghano: spediamoci i soldati statunitensi e i gurka della Nato; o dell’Unione Europea, che – ohimè per noi – è lo stesso che dire la Nato.

Ma un intervento militare delle Nazioni Unite, replicano alcune Anime Belle, non sarebbe più opportuno? Non offrirebbe maggiori garanzie d’imparzialità? Non avrebbe un po’ meno l’aria della spedizione neocolonialista, come purtroppo si è visto in Iraq e in Afghanistan? Impossibile, si replica prontamente nel nobile arco europeo delle Libertà che va da Sarkozy a Belpietro. Le Nazioni Unite, si sa, sono sempre state impotenti a risolvere alcunché.

Cosa poi tragicamente vera, visto il meccanismo infernale e castrante del loro Consiglio di sicurezza, con tanto di membri provvisti di diritto di veto. Il gioco di bussolotti, come si sa e si è spesso visto, è molto semplice.
Si fa una proposta: gli Stati Uniti, che non la gradiscono, oppongono il veto; la proposta rientra; dopo di che, gli Usa fanno quel che pare loro meglio con l’appoggio della Nato (come in Afghanistan nel 2001) o dei loro volonterosi amici, Italia compresa (come in Iraq nel 2003).
Fiabe, calunnie, menzogne.

Tuttavia, un dato nuovo c’è. Ormai i popoli arabi sono in moto, e se il sistema conservatore internazionale non riuscirà a imbrogliarli-imbrigliarli (con le promesse, con le minacce, con la proposta di nuovi “governi- fantoccio” alla loro testa), dietro a loro si moveranno altre realtà. Una nuova leadership nordafricana, ad esempio, potrebbe significare qualcosa non tanto per il mondo musulmano, quanto per il Continente Nero.
Che sia davvero cominciato il Terzo Millennio?


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