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Libia, profughi: segni di arma da fuoco sui corpi restituiti dal mare
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di Bruna Iacopino

Libia, profughi: segni di arma da fuoco sui corpi restituiti dal mare Mentre sono ormai scarse le speranze di recuperare ancora vivi i circa 250 dispersi ( fra cui anche donne e bambini) partiti dalla Libia su una carretta del mare e naufragati in acque maltesi questa notte, nuove drammatiche rivelazioni sono quelle diramate in data odierna da Don Mussie Zerai, presidente dell'agenzia Habeshia e dalla Ong Every one group. Da alcuni giorni, infatti, il mare sta restituendo alle coste libiche i corpi di alcuni dei passeggeri del barcone carico di profughi ( 355, per la maggior parte etiopi ed eritrei) salpato dalla Libia nella notte tra il 22 e il 23 marzo e di cui si erano perse le tracce poche ore dopo la partenza. Semplice naufragio? A quanto pare no. Infatti i corpi restituiti dal mare ( in particolare quelli di due donne e un uomo) e che sarebbero stati identificati come appartenenti con certezza al gruppo di passeggeri del barcone, sarebbero crivellati da colpi di arma da fuoco. “Vogliamo si faccia chiarezza su quanto avvenuto – riferisce Don Zerai all'agenzia SIR -. Queste persone sono state probabilmente colpite mentre erano già in mare. Essendo stato il primo barcone ad uscire dalla Libia subito dopo l’inizio dell’intervento internazionale, non vorrei che qualcuno li avesse scambiati mercenari”.
Una denuncia pesante e che, purtroppo, potrebbe non essere priva di fondamento.
“Sembrerebbe infatti - spiegano ancora Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell’organizzazione umanitaria internazionale EveryOne-  che il natante che trasportava i profughi sia stato attaccato nel Mediterraneo, e che gli spari siano stati talmente immediati e intensi da non consentire ai migranti di lanciare l’allarme attraverso il telefono satellitare che era con loro a bordo”.
Poche o nulle, dunque, le speranze di riuscire a trovare in vita gli altri profughi, morti in mare o allo stato delle cose, crivellati da colpi di arma da fuoco, e di cui Don Zerai, traccia un lugubre elenco ...“oggi piangiamo più di 400 persone, 250 uomini, 62 donne, 13 bambini eritrei, oltre 10 etiopi. Sul gommone partito il 25 marzo, ma scomparso il 26 marzo c’erano 68 donne e bambini eritrei ed etiopi in fuga da Tripoli” a cui vanno aggiunti i 150 spariti questa notte. Morti, sottolinea il missionario, che si sarebbero potute evitare con l'intervento della comunità europea a cui era ben nota la presenza di profughi e rifugiati in Libia, impossibilitati, vista la delicata situazione in cui si trovavano ( clandestini per il Governo di Gheddafi, possibili “mercenari” per i ribelli) a lasciare il paese.
Non ha timore, Don Zerai, a tirare in ballo le navi della Nato, presenti sul posto in quel momento, annunciando, tra l'altro, l'intenzione di denunciare apertamente “l'omissione di soccorso”. Mentre si spinge oltre il gruppo Every one che, dopo aver chiamato in causa il Ministro degli Esteri Frattini, invitandolo a riferire in Parlamento aggiunge: “ Riteniamo inoltre fondamentale che  il Consiglio d’Europa, l’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani e l’Alto Commissario ONU per i Rifugiati esercitino pressioni affinché sia convocata dagli Stati europei la Commissione internazionale d’inchiesta in ambito umanitario con sede a Berna (http://www.eda.admin.ch/eda/it/home/topics/intla/humlaw/ihci.html), la cui segreteria è diretta dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) della Svizzera, ovvero lo Stato depositario della Convenzione di Ginevra e dei protocolli aggiuntivi.”

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