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In questo clima meglio non toccare la Costituzione. Il presidenzialismo senza contrappesi è un pericolo reale
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di Roberto Zaccaria

In questo clima meglio non toccare la Costituzione. Il presidenzialismo senza contrappesi è un pericolo reale

Siamo oggi di fronte ad un quadro istituzionale estremamente preoccupante. E’  gravissimo quanto è avvenuto ieri a Milano e privo di qualsiasi giustificazione possibile. Dopo aver espresso tutta  la nostra solidarietà al Presidente del Consiglio dobbiamo riprendere il filo di un discorso sulla Costituzione che inevitabilmente si riproporrà. Non possiamo dimenticare, né rimuovere, a causa di quel che è successo nelle ultime ore,  gli attacchi contro tutti gli organi di garanzia costituzionale che abbiamo sentito rinnovare  ogni giorno ed anche il comizio di ieri pomeriggio. Con quegli attacchi, che certo si rinnoveranno, non solo si cerca di delegittimare apertamente la Corte costituzionale, ma tutta la magistratura. Gli stessi equilibratissimi richiami del Presidente della Repubblica vengono ignorati o considerati alla stregua di rituali considerazioni. Si sfida costantemente, grazie anche al coro dei modesti comprimari, la tenuta della nostra forma di governo.
Il Presidente del Consiglio ha detto a chiare lettere che la nostra Carta costituzionale è vecchia e da modificare profondamente. Il solo potere legittimo – sempre secondo Berlusconi – è il suo in quanto attribuito dal popolo. Anche se l’affermazione è falsa, a forza di ripeterla c’è il rischio che diventi una verità inoppugnabile.
Per un anno è mezzo non si è parlato alla Camera o al Senato di riforme costituzionali, mentre si sono intenzionalmente  consolidate una serie di  prassi parlamentari contrarie alla Costituzione. La Costituzione sostanziale, non ancora quella materiale, segna ormai un profondo distacco dalla Costituzione formale, quella scritta, e i tentativi della Corte costituzionale di ristabilire la legalità costituzionale (in primis la illegittimità del Lodo Alfano) hanno prodotto una reazione violentissima con attacchi mai visti ai quindici giudici della Consulta.
Naturalmente non c’è alcuna seria intenzione di affrontare i problemi veri del nostro paese sul piano delle riforme: gli stessi interventi normativi che si potrebbero fare con legge ordinaria e che migliorerebbero notevolmente  le cose (legge elettorale, legge sui partiti, conflitto d’interessi) sono ben lontani dalle intenzioni della maggioranza.
Oggi sotto la spinta di un pericolosa riforma della giustizia si è ripreso il discorso sulle riforme costituzionali e la settimana scorsa al Senato si è svolto un dibattito concluso con distinte mozioni che sembra riaprire quel capitolo.
Per capire meglio le cose conviene fare un passo indietro alla XV legislatura e ricordare l’atteggiamento dell’opposizione di allora. Dei tre partiti di opposizione, Forza Italia, Lega ed Alleanza nazionale, solo il primo, animato dalle nostalgie della grande riforma bocciata dal referendum,  era contrario. La Lega, attratta dal modello di Senato federale era favorevole ed anche Alleanza nazionale che aveva in Bocchino uno dei due relatori, lo era. Alla fine tutti si astennero alla fine dei lavori di Commissione, ma l’on. La Russa ci tenne a dire che il testo c.d. Violante era un buon testo e che in ogni caso si sarebbe iniziato di lì nella prossima legislatura.
A me quell’affermazione parve equivoca. Si lodava il testo ma si sottolineava il fatto che si sarebbe solo “iniziato” il lavoro da quella base. Per arrivare dove? Il grande assente sembrava essere il presidenzialismo che in molte parti del centro destra (ed in primis da Berlusconi) veniva visto con grande interesse.
In realtà in questo primo scorcio di legislatura si è capito che le intenzioni dell’opposizione di allora ed oggi maggioranza erano ben diverse: prima si voleva procedere con la prassi parlamentare ed arrivare alle riforme solo in un secondo momento.
Vediamole un po’ più da vicino queste prassi che incidono profondamente sulla forma di governo parlamentare e sul rapporto Governo-Parlamento.
Cominciamo preliminarmente col dire che è perfino difficile parlare di Governo. Che cosa è diventato il Governo. Che cosa è diventata la collegialità del Consiglio dei ministri. E’ rimasta nella mente di tutti quell’espressione del Ministro dell’economia che si vantava di aver fatto approvare la manovra finanziaria del 2009 in un Consiglio durato appena 9 minuti. Tempi da Consiglio di amministrazione più che da Consiglio dei ministri. In pratica il Governo vede un solo protagonista, il Presidente, con un paio, al massimo, di Ministri significativi. Certamente il Ministro dell’economia e forse il Ministro dell’interno e il sottosegretario alla protezione civile.
Ma veniamo al rapporto con il Parlamento. Violante definisce esemplare e pericoloso il triangolo: decreti, maxiemendamento e fiducia. Sono d’accordo con lui. Questo è il fenomeno più eclatante, anche se non mancano precedenti nelle scorse legislatura.
Ora io vorrei porre l’attenzione su alcune prassi tipiche di questa legislatura che mi paiono particolarmente preoccupanti.
In primo luogo il numero delle fiducie. In un anno e mezzo siamo arrivati a 25 fiducie nei due rami del Parlamento. Nella scorsa legislatura Prodi, in ben altre condizioni numeriche, ne aveva chieste 22 in due anni! E’ lecito chiedersi che significato abbia rendere ordinario uno strumento che la Costituzione configura come eccezionale.
Il secondo elemento di attenzione è costituito dai decreti legge. In questo caso non è tanto preoccupante il numero dei decreti (50 in un anno e mezzo) quanto le caratteristiche dei decreti stessi. Da un calcolo effettuato all’interno della Camera risulta che più dell’85 per cento dell’attività normativa delle Camere è contenuta in decreti legge e leggi di conversione. Sembra che si possa dire tranquillamente che ormai non conta tanto contare i decreti quanto “pesare” gli stessi.
Quasi tutte le scelte più importanti sono contenute in decreti che sono quasi sempre decreti omnibus e che contengono materie che sfuggono alla conoscenza stessa dei parlamentari. C’è di più. Nel 2008 la manovra finanziaria è stata inserita quasi interamente nel decreto-legge 25 giugno 2008, n.112, poi modificato una trentina di volte. La finanziaria vera e propria è risultata svuotata. Quest’anno si sta procedendo nello stesso modo con i decreti anticrisi che contengono le scelte più significative di finanza pubblica. Con questa tecnica normativa si pregiudica radicalmente il principio contenuto nell’art.81 Cost. che impone l’unitarietà della manovra finanziaria e di bilancio. 
Poche settimane fa è stato approvato lo scudo fiscale, un provvedimento contrastato e delicatissimo, contenuto nel disegno di legge di conversione di un “decreto-legge c.d. correttivo” (decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103). Finora conoscevamo i decreti legislativi correttivi (già discutibili) ma i decreti legge correttivi rappresentano una categoria che sta molto stretta nell’art.77 ed anche nella legge n. 400 del 1988. A volte ne sono stati fatti, ma mai con un contenuto così rilevante come quello contenente lo scudo fiscale.
C’è poi la categoria dei “collegati” omnibus alla finanziaria. Anche questa è una categoria già conosciuta ma l’interpretazione che ne è stata data in questa legislatura ha fatto sì che materie molto diverse siano state inserite con una sorta di accentuazione. Il paradosso si è avuto quando è stata discussa la riforma del processo civile: il disegno di legge (ora, legge 18 giugno 2009, n. 69) è stato esaminato dalla commissione bilancio, con esclusione pregiudiziale della commissione giustizia. La domanda legittima è quella che discende dall’art.72 della Costituzione: è possibile disattendere la sequenza normale ivi prevista per l’approvazione delle leggi? Questo vale a maggior ragione per i decreti ad alto grado di eterogeneità. L’esigenza che le leggi siamo monografiche si collega anche al principio della pubblicità degli atti, un principio basilare negli ordinamenti democratici, l’unico che rende possibile un’effettiva partecipazione dei cittadini al dibattito intorno alle leggi e alla loro approvazione.
Un'altra caratteristica che accompagna questo tipo di normativa è lo scarso controllo parlamentare ed il forte peso delle corporazioni, anche di quelle più nobili. In tre casi abbiamo avuto pressioni forti ed in alcuni casi decisive della Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti o dei loro organi di vertice.
Nel corso dell’esame del già citato disegno di legge di riforma del processo civile, il Presidente della Corte di Cassazione aveva cercato di far passare un modello di “filtro” molto discusso e contestato da quasi tutti gli operatori del diritto. Ad opera della stessa legge 18 giugno 2009, n. 69 è stato inoltre riservato al Consiglio di stato un ruolo abnorme nella scrittura del decreto delegato, soprattutto nel delineare il confine tra giurisdizione ordinaria e amministrativa. Infine, nel corso dell’approvazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, la Presidenza della Corte dei conti si è chiaramente battuta per ridurre il ruolo collegiale del Consiglio di Presidenza.
C’è un’altra prassi assai preoccupante che tende a ridurre il ruolo della legge del Parlamento. Questa prassi è rappresentata da un ricorso sempre crescente alle ordinanze in deroga alla legge. Ormai se ne fanno un centinaio all’anno. Il settore dei rifiuti a Napoli e quello del terremoto in Abruzzo ne sono i campi di più ampia applicazione.
Un caso decisamente grottesco riguarda l’Abruzzo. Una disposizione limitava alla fine 2009 la data per il pagamento delle tasse per i terremotati. Un emendamento dell’opposizione al disegno di legge di conversione del decreto-legge anticrisi (decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78) proponeva di spostare questa scadenza alla fine del 2010. Il Governo si è opposto a quell’emendamento, ma poi ha annunciato che sarebbe intervenuto in quella stessa direzione con un’ordinanza in deroga ad un decreto appena convertito!!! Siamo decisamente di fronte ad un nuovo tipo di fonte normativa in mano al Governo.
Tutti questi esempi concorrono a definire un quadro d’insieme dal quale emerge sempre più chiaramente un Presidenzialismo “strisciante”, un Presidenzialismo di fatto che si accompagna al fortissimo potere mediatico e si collega anche alla procedura assai discutibile del nome del leader della coalizione sulla scheda elettorale.
Quali sono dunque gli strumenti che abbiamo per reagire a questo stato di cose? In primo luogo dobbiamo attentamente valutare i casi nei quali sia possibile attivare l’intervento della Corte costituzionale. La materia dei decreti anomali è la più vistosa da prendere in considerazione, assieme alle ordinanze in deroga alla legge. In secondo luogo dobbiamo attenerci ad un’interpretazione restrittiva dell’art.138 Cost. ed accettare una procedura eventuale di revisione costituzionale molto contenuta ed omogenea, assolutamente vicina a quella costruita nella scorsa legislatura. Un rafforzamento dei poteri del Governo o del Premier favorirebbe un consolidamento del Presidenzialismo plebiscitario che già sta affermandosi in Italia, senza pesi e contrappesi adeguati.
Tutto questo sarebbe auspicabile in un contesto diverso da quello attuale. In un contesto nel quale realmente si volesse cercare il denominatore comune tra le proposte di revisione costituzionale delle varie forze politiche presenti in Parlamento.
L’atteggiamento però del Presidente del consiglio e della maggioranza non sembra essere affatto questo. I ripetuti attacchi di questi giorni agli organi supremi di garanzia e soprattutto quel marchio di vecchia attribuito alla nostra Costituzione non consentono di seguire questa strada.
Ormai è chiaro che Berlusconi intende usare il tavolo delle riforme per penalizzare magistratura e Corte costituzionale e per introdurre il suo presidenzialismo senza “contrappesi” e garanzie.
Questa sarebbe una vera sciagura! Il giorno dopo l’approvazione il Presidente dovrebbe dimettersi.
Allora credo che in questo momento la strada migliore sarebbe quella di non toccare per nulla la nostra bella ed attualissima Costituzione ed eventualmente prepararsi ad un nuovo referendum. A tutto questo potrebbe servire moltissimo una grande, serena, gioiosa, tranquilla manifestazione come quelle tenutesi, con enorme partecipazione popolare,ai primi di ottobre e ai primi di dicembre. Questa volta la piattaforma, come dice Giuseppe Giulietti, sarebbe estremamente semplice: Difendiamo la Costituzione.


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