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L’agio del maiuscolo e i portavoce del minuscolo
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di Sylvia De Fanti*

L’agio del maiuscolo e i portavoce del minuscolo

Ecco delle vaghe e forse confuse riflessioni che vogliono solo essere spunto per altre riflessioni. Il mio pensiero si muove intorno a due punti fondamentali: la questione della crisi della rappresentanza e la questione della assunzione di consapevolezza/alias responsabilità individuale e collettiva. La prima immagine che mi viene in mente quando penso a chi “rappresenta” è una stanza chiusa. Anzi, segreta. Le segrete stanze del potere dove si consumano pensieri e concetti, si elaborano opinioni e si prendono decisioni lontane da ciò che la società civile vorrebbe o riesce a produrre come pensiero e “rappresentanza” alternativa. Poi mi soffermo un istante a considerare il dibattito politico istituzionale che somiglia sempre di più a una pantomimica lite tra complici che vorrebbero vedere esaurita la dicotomia rappresentanza versus non- rappresentanza  in una diluita sintesi armonica corrotta.

Mi pongo poi delle domande sulla mia responsabilità individuale e cerco di collocarmi da qualche parte che non sia una nicchia. La nicchia mi soffoca. E io ho bisogno di respiro e allora cerco di sentirmi parte e mi ritrovo negli spazi in cui diverse collettività si incrociano. Tra queste c’è quella che definirei la mia categoria: quella dei lavoratori dello spettacolo.
Nello specifico penso che l’invisibilità della nostra categoria si sposi a perfezione con la cecità di chi ci dovrebbe rappresentare.
Perché come ho già scritto: chi produce e consuma il suo pensiero nelle stanze segrete del potere è capace di descrivere solo altre “stanze” del potere, dove si consuma il senso  distorto di ciò che viene definito “cultura”.
In questo paese che ha una storia pesante così come i suoi monumenti di pietra, la cultura ha ancora, purtroppo, la “C” maiuscola. Rovine narrano di grandezze passate, spesso oggetto di parziali e faziose interpretazioni utili a insopportabili retoriche di regime; le lettere ancora come sudate carte  faticano a prendere corpo e a incarnarsi in idee dinamiche; i luoghi dell’esposizione dell’arte sotto le teche, opere intoccabili, rivelano l’aura inaccessibile della Cultura.
I portavoce del maiuscolo sono, in fondo, tutti a proprio agio. I passaggi tra un salotto e l’altro anche se impervi si articolano su dialettiche “alte”, tra dinieghi e offesucce, citazioni colte e pallide rimostranze.  Ciò avviene ben lontano dai luoghi contaminati attraversati da corpi spurii che incarnano vite creative e quotidianità complesse. In questi spazi che vivono di molteplicità di visioni, di punti di vista contraddittori ma fertili, si muovono i portavoce del minuscolo.
I portavoce del minuscolo sanno di non essere “piccoli”, sono consapevoli del proprio vissuto, conoscono ciò che spetta loro. Non s’indignano ma dicono le cose come stanno, a voce alta, cercano complicità con gli altri minuscoli per abbattere la “C” maiuscola formulando un pensiero vitale che possa agire; non si sentono privati di un privilegio o feriti nell’orgoglio perché l’essere ascoltati, lo sanno bene, non è un privilegio, ma un diritto. 
Ma andare contro è come andare verso se il movimento avviene all’interno del sistema dualistico salotto-buono/salotto-cattivo. A noi interessano le aperture, le porte e le finestre, non i buchi della serratura dei voyeurs del potere.
Per noi l’economia non è un discorso astratto, la viviamo sulla nostra pelle, non giustifichiamo chi vuole accentrare il potere nelle sue mani e non si domanda a nome di chi parla. Noi siamo vicini e condividiamo le lotte di chi non vuole la mercificazione sterile di ciò che è espressione culturale e di chi sostiene che le persone vengono prima di tutto. I lavoratori vengono prima di tutto. I diritti  prima di tutto. E uno stato civile li deve garantire e se non li garantisce, in uno stato civile, le persone lottano affinché questo avvenga e chi può parla per gli altri e alza il livello di tensione, non lo stempera in facili frasi fatte di borghese indignazione.
I portavoce del minuscolo non cercano sintesi, ma fanno esplodere le dicotomie. E io, come lavoratrice dello spettacolo e portavoce del minuscolo, sento l’esigenza di conoscere e sapere ciò che si decide sopra la mia testa: ho l’urgenza di portare a me, di appropriarmi di ciò che mi spetta.
Io mi domando: il ministro Bondi, detto anche il rapanello (dai suoi ex compagni del PCI, per via del suo rosso fuori e bianco dentro), che, vista la sua biografia singolare, dovrebbe essere una persona aperta ai cambiamenti (quanto meno a quelli di colore!) quali realtà culturali conosce oltre a quelle museali, dei cerimoniali, dei salotti e delle prime? Che cosa conosce delle dinamiche di produzione di uno spettacolo, della fatica a sopravvivere delle piccole compagnie, dei contratti di lavoro dei professionisti dello spettacolo, dei luoghi dove avvengono gli scambi e le creazioni culturali? Quali competenze e conoscenze mette in campo per poter svolgere il suo ruolo decisionale? Ha mai comparato la situazione italiana a quella di altri paesi europei nei quali la protezione degli artisti e delle loro opere viene considerata compito primario di chi amministra la cosa pubblica?...
Da chi è affiancato? E i suoi “aiuti” che curricula hanno? E i vari assessori, i burocrati della Cultura si sono mai occupati di cultura?
Quali sono i canali e i metodi attraverso cui vengono ripartiti i finanziamenti? Rispondono a criteri di trasparenza e di equità?
Ma entriamo ancora di più nello specifico: chi decide la “spartizione” dei soldi? Chi tirerà le fila delle solite marionette asservite all’olimpo decaduto? Dove sono le politiche tese ad attuare il necessario ricambio generazionale?
E ancora: i portavoce del maiuscolo con quali forme portano avanti le loro rivendicazioni? Quali sono le battaglie per cui “combattono”? E a nome di chi? Non a nome degli artisti e dei lavoratori dello spettacolo? Non a nome dei portavoce del minuscolo, che sono fatti della stessa sostanza dei sogni e che proprio a questa sostanza danno VOCE. In maiuscolo.

To be continued

*Sylvia De Fanti/Zeropuntotre


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