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Cinema e fiction italiani? Azzerati
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di Santo Della Volpe

Cinema e fiction italiani? Azzerati

Ormai si era capito:il modo surrettizio di cambiare norme e leggi da parte del governo segue uno schema subdolo, ma collaudato. Si afferma a parole che si tratta solo di un “allargamento delle libertà e delle possibilità”, si fa propaganda sull’applicazione di indirizzi e consigli da convertire in legge, magari di norme della UE . E poi, in modo totalmente opposto e con metodi  da vero totalitarismo (ad esempio nascondendo il testo del decreto  impedendone quindi una discussione con gli operatori del settore o delle opposizioni parlamentari), si scrive una legge che va solo negli interessi del governo,ovvero dell’azienda dal telecomando “politico” di proprietà del presidente del consiglio.  Insomma, è come dire che si vuole applicare la Costituzione, cambiandone invece la sostanza e quindi l’applicazione. Alla fine si dice che l’operazione non riesce per colpa degli organismi di controllo costituzionali e quindi bisogna cambiare anche la Costituzione reale, quella dei padri fondatori.
Mutate mutandis è quanto è successo con la modifica della legge 122: infatti, nonostante tutte le promesse, il decreto sulla televisione varato dal governo elimina di fatto qualunque obbligo di investimento e programmazione sul cinema e sulla fiction indipendenti italiani da parte dei network televisivi,facendo passare per innovazione e sistematizzazione una operazione di  riduzione al silenzio delle opere  italiane e quindi dei suoi autori,nonostante il successo ottenuto in questi anni e nonostante i riconoscimenti internazionali.
Per capire bene occorre studiare bene quanto avvenuto, così come i documenti del MOVEM09 e dei CENTOAUTORI (che qui “saccheggio” riportandoli per motivi di chiarezza) hanno ben messo in evidenza : dopo la legge 122 voluta da Prodi e Veltroni nel 1997,  la discussa legge Gasparri, all’articolo 44(per indorare la pillola da far ingoiare,cioè il pieno ritorno del sistema radiotelevisivo pubblico sotto il controllo del governo di destra), prevedeva che le emittenti televisive riservassero “il 10 percento del tempo di diffusione, in particolare nelle fasce orarie di maggiore ascolto, alle opere europee degli ultimi 5 anni, di cui il 20 percento alle opere cinematografiche di espressione originale italiana ovunque prodotte” e di conseguenza induceva i network a impiegare le quote previste per gli investimenti nell’acquisto (o nella produzione) di opere adatte alle fasce di maggiore ascolto del palinsesto; l’attuale decreto prevede sì la diffusione di opere europee ma non stabilisce alcun parametro riguardo alle fasce orarie di ascolto né all’epoca di produzione delle opere.
Il decreto approvato stabilisce infatti solo che le emittenti televisive riservano il 10 per cento dei propri introiti netti annui “alla produzione, al finanziamento, al preacquisto e all’acquisto di opere europee realizzate da produttori indipendenti”. E solo successivamente afferma che “la percentuale di cui al presente comma deve essere raggiunta assegnando una quota adeguata ad opere recenti, vale a dire quelle diffuse entro cinque anni dalla loro produzione, incluse le opere cinematografiche di espressione originale italiana ovunque prodotte.”

In questo modo, non solo la quote della Rai viene abbassata dal 15 al 10 per cento, ma l’espressione “quota adeguata” rende di fatto discrezionale l’investimento da destinare alle produzioni europee indipendenti “recenti” cosicché, eliminato l’obbligo di programmazione “nelle fasce orarie di maggiore ascolto” previste dalla precedente legge, le emittenti possono rispettare il decreto anche diffondendo prodotto non “recente” e in qualunque fascia oraria (vecchi film nel cuore della notte).
In questo modo si vanifica quel dispositivo che, a fronte della concessione alle emittenti di un bene pubblico come l’etere per trarne enorme profitto privato, favoriva la produzione di opere di cinema e televisione al fine di trasmetterle in orari di grande ascolto. Ossia il dispositivo che aveva indotto i network a investire in fiction televisiva e cinema facendo da volano all’industria audiovisiva e portando al successo molti prodotti di qualità.

Come se questo non bastasse il testo rimanda a un ulteriore decreto da emanare entro nove mesi da parte del Ministro dello Sviluppo Economico e del Ministro per i Beni e le Attività Culturali, per definire cosa si intenda per “opere cinematografiche di espressione originale italiana ovunque prodotte” nonché “le quote percentuali da riservare a queste ultime nell’ambito della quota indicata” senza però precisare se questa riserva dovrà essere riferita a prodotto “recente” e lasciando intendere un possibile passaggio delle deleghe per il cinema dal Ministro della Cultura al Ministro dello Sviluppo Economico.

Il taglio di questi obblighi penalizza un settore fortemente colpito dalla crisi degli investimenti pubblicitari, rischiando di determinare un grave problema occupazionale.
Ancora una volta il conflitto di interessi, permette al Presidente del Consiglio di condizionare le politiche editoriali della Rai a vantaggio degli interessi di Mediaset. Se la Rai smette di proporre film e fiction di successo, Mediaset può sottrarsi alla competizione e risparmiare sui propri investimenti.
Un colpo mortale per l’intera industria cinematografica e della fiction italiana,ma non solo: in questo modo si privano i telespettatori di prodotti italiani di qualità ed anche di “uno specchio”  televisivo e cinematografico della realtà  di questi anni,si contribuisce ad una rottura di quello specchio sociale che frantumandosi rende ancora più difficile una coscienza nazionale, una solidarietà diffusa, un legame tra terre e luoghi diversi del nostro paese, una lettura,in sintesi, della nostra società , alla quale in questi anni hanno contribuito , e molto, le fiction televisive italiane. Può far sorridere pensare che il Maresciallo Rocca o il  gli sceneggiati su Borsellino abbiano dato modo a molti italiani di identificarsi in costumi o pezzi di storia del nostro paese: ma  basterebbe ricordare quanto è servita questa nuova alfabetizzazione televisiva a contrastare i fenomeni di disgregazione sempre più marcati, a mettere in luce  i problemi delle famiglie, a ricordare le forme di solidarietà che  sono patrimonio della nostra storia (basti pensare a La meglio gioventù…).
E’ forse tutto questo che si vuol togliere di mezzo, contribuendo a frantumare la nostra società? Si vuol colpire la fiction italiana ed il cinema italiano per  colpire la creatività di chi scava nel nostro paese , mettendo in tv i nostri pregi e difetti, magari anche la nostra malattia cronica che si chiama Mafia, la cui rappresentazione (più che l’esistenza) fa venire l’orticaria la nostro attuale presidente del consiglio?
Operazione miope, economicamente e politicamente. Economicamente perché fa risparmiare  200 milioni di Euro a Mediaset ma impoverisce il mercato rendendoci succubi dei prodotti stranieri,quindi costosi, comunque non nostri. Politicamente perché un paese che non sa guardarsi dentro non va da nessuna parte: rischia solo di regredire là dove  la democrazia impallidisce prima di scomparire.


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