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Melania Rea e lo scempio del suo corpo
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di Ottavio Olita

Melania Rea e lo scempio del suo corpo

Non mi va di passare per un nostalgico dei ‘bei tempi andati’ (quali, poi?). Né di contrapporre forme di giornalismo distanti fra loro anni luce, anche se sono trascorsi solo pochi decenni. Non posso però tacere sulla violazione dei limiti di rispetto che dovrebbero far parte del codice deontologico di ognuno di noi. E parlo del rispetto per le vittime di reati atroci. L’ultima di un interminabile elenco è Melania Rea.
Ecco alcune cose lette in dispacci Ansa, oggi, 16 luglio. Titolo “Melania: pantaloni abbassati volontariamente. No minacciata, accovacciata per bisogno fisiologico”.
Attacco del take: “Melania Rea, prima che il suo assassino la aggredisse alle spalle, si era abbassata volontariamente i pantaloni, i collant e gli slip, e stava probabilmente facendo pipì. In caso contrario gli indumenti risulterebbero stracciati” (h.17.55).
Più tardi, sempre Ansa. Titolo: “Melania: assassino le spostò mani giunte dopomorte per colpirla con un’altra arma”. Testo: “Un dettaglio particolarmente odioso emerge dalla perizia medico legale sul corpo di Melania Rea: l’assassino, dopo averla uccisa, tornò sul luogo del delitto e per inquinare le prove, la colpì di nuovo con un’altra arma, non una lama, comunque diversa da quella con cui l’aveva uccisa e di cui probabilmente si era già disfatto. Per far questo, scostò le mani che la povera donna aveva ancora riunite sul petto per difendersi dai colpi mortali e affondò l’arma sul cadavere” (h. 18.23)
Dopo altri tre minuti. Titolo: “Melania: Dna Parolisi in bocca, contatto prima morte”. Testo: “Le tracce del Dna di Salvatore Parolisi sulla bocca di Melania (in particolare sulle labbra e sulle gengive) sarebbero state lasciate poco prima che la donna morisse. Se il contatto fra i due fosse avvenuto molto tempo prima, il movimento della lingua e della saliva della stessa donna le avrebbe cancellate. E’ una delle conclusioni cui è giunto il medico legale Adriano Tagliabracci. Lo scenario che si profila è dunque un bacio ‘mortale’, o la mano di Parolisi sulla bocca della donna per non farla urlare o tenerle fermo il capo” (h. 18.26).
Ho cominciato a fare il giornalista professionista proprio all’Ansa, direttore Sergio Lepri, nel 1980 (ecco perché ho parlato di anni luce). Quel direttore pretendeva rigore, rispetto, precisione, come valori professionali, elencati anche in un importante testo da lui scritto. Ed esigeva l’applicazione di quelle regole, oltre che per lo Statuto stesso dell’Ansa, anche perché sapeva bene che sull’informazione primaria poi tutti i giornali avrebbero potuto sviluppare i propri approfondimenti, varie impostazioni particolari, sulla base della propria specifica linea editoriale. La domanda che mi sono posto da ex redattore dell’Agenzia cooperativa tra i giornali italiani: ma se già l’informazione primaria dà in pasto questi elementi, cosa mai si leggerà domani sui quotidiani?
Secondo problema. Ho fatto il cronista di nera e giudiziaria per otto anni. E mi sono occupato frequentemente dei dibattimenti sui sequestri di persona. Solo in udienza, sottolineo, solo in udienza, venivano svelati particolari scabrosi e particolarmente inquietanti che servivano a definire anche le personalità di chi commetteva quei terribili reati. Il cronista che ascoltava e annotava, poi raccontava filtrando con il necessario rispetto per il suo lettore, per il suo utente. Oggi siamo davvero tutti maggiorenni e vaccinati? I casi Cogne, Perugia, Sara Scazzi non solo non hanno insegnato niente ma sembrano aver innescato la più totale brutalità. Ora allo scempio su carta è destinato il povero corpo di Melania Rea, una bella e giovane donna, madre di una bimba. Ma perché non provare a rispettarla? Perché invece di affannarci a fare il processo prima dell’apertura del dibattimento non lasciamo lavorare in pace chi sa farlo? Perché, ancora una volta, brandendo i resti di Melania, ci impegneremo a rastrellare stuoli di innocentisti e colpevolisti? Non sarà una notizia, un elemento in più o in meno a rendere giustizia alla famiglia di quella povera donna. Sarà solo una sentenza giusta che sarà emessa quando il quadro istruttorio sarà definito. Riprendiamo a fare i giornalisti, smettendola di sostituirci ai giudici, agli investigatori, ai pubblici ministeri, ai medici legali.
O forse, vista la reazione di sconforto che ho provato nel leggere i dispacci dell’Agenzia che mi ha formato professionalmente, è ora che me ne vada in pensione?


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