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La sfida somala
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di Shukri Said*

La sfida somala

Se ogni medaglia ha il suo rovescio, la carestia giova portando i drammi della Somalia al centro dell’attenzione mondiale. Un tardivo recupero dopo anni di abbandono del problema ai pochi che con esso hanno scelto di confrontarsi.
Così oggi in tanti scoprono lo straordinario fascino dei giochi di potere in corso in Somalia, effettivamente difficilissimi da decifrare anche per le mille direttrici internazionali che su di essi influiscono con segni contrastanti e le mille varianti interne per le dinamiche dei clan.
In questo quadro complicato lascia esterrefatti l’abbandono di Mogadiscio da parte degli Al Shabaab venerdì notte della scorsa settimana. Testimoni affermano di aver visto all’improvviso gli Shabaab caricare i camion in tutta fretta portando al seguito le famiglie e andandosi a fermare a 100 chilometri a sud della capitale.
Il portavoce degli Shabaab Ali Mohamud Rage ha dichiarato alle radio Andulus e Quran (voci degli islamisti) che si è trattato di un mutamento di tattica cui seguiranno attacchi più violenti e lezioni indimenticabili per le truppe del governo di transizione sostenute da quelle di AMISOM, la missione di peacekeeping dell’Unione Africana. Ma ha anche affermato che l’abbandono di Mogadiscio vuole contribuire a salvare le vite travagliate dei residenti.
Quale che sia la vera ragione di questa ritirata, il suo effetto immediato consiste nell’eliminare gli argomenti ai ritardi dell’assistenza che le Nazioni Unite hanno promesso alla popolazione stremata da fame e sete. La spazio lasciato da Al Shabaab permette ora di aprire direttamente in Somalia quei campi profughi che oggi insistono per lo più negli stati vicini, Etiopia e Kenya in testa, a loro volta in crisi per l’eccesso di ospiti. Campi profughi che, quanto più saranno vicini ai porti, tanto prima permetteranno gli sbarchi degli aiuti alimentari. Il soccorso in Somalia, nutrire e curare la popolazione, è il vero banco di prova dell’impegno della comunità internazionale.
L’attenuarsi della pressione militare metterà anche alla prova le fragili istituzioni di transizione che hanno salutato la partenza degli Shabaab con parole di speranza: “Era il risultato che attendevamo da anni”, ha detto il Primo Ministro Abdiweli Mohamed Ali. “E’ tempo di raccogliere i frutti della pace”, ha detto il Presidente Sharif Sheikh Ahmed.
Le priorità da fronteggiare sono evidenti.
Innanzi tutto la sicurezza, senza la quale anche l’attività di soccorso alla popolazione diventa difficile se non impossibile. Non si può dimenticare che proprio l’altro ieri alcuni militari del TFG hanno sparato sulla folla affamata per rubare le derrate degli aiuti internazionali di cui era in corso la distribuzione. Sei morti. Una vicenda che pone il grave problema della selezione dei tutori dell’ordine.
Ma non basta. Le istituzioni di transizione devono anche impegnarsi per l’istruzione. Più di una generazione è cresciuta nell’analfabetismo e con il fucile in mano.
C’è poi l’economia che chiede di indirizzare gli imponenti aiuti internazionali verso progetti di lungo respiro. Il Primo Ministro Abdiweli Ali è un economista di primo livello. La nazione ha l’opportunità di sperimentare la sua eccezionale formazione.
La Somalia si fonda su agricoltura, pastorizia e pesca in presenza di risorse ricchissime che, però, devono essere adeguatamente sorrette. I contadini intervistati chiedono pozzi, trattori e strumenti da lavoro di cui c’è scarsità. La pastorizia deve trasformarsi in allevamento, soprattutto adesso che la siccità limita i pascoli. I ricchi fondali della costa somala, la più lunga d’Africa con i suoi 3.360 chilometri, possono non solo nutrire i residenti, ma consentire l’esportazione estromettendo i pescatori oceanici stranieri che fanno man bassa con i metodi illegali della pesca a strascico.
Infine la ricostruzione. A Mogadiscio non c’è più una casa con il tetto per impedire che vi si annidino i cecchini. Ma senza l’incubo degli Shabaab, si può rimettere mano alle infrastrutture. Le strade, innanzi tutto, per raggiungere le popolazioni dell’interno colpite dalla siccità anziché sradicarle per rinchiuderle nei campi profughi.
Il Consorzio italiano AGIRE, che ha il compito di coordinare la raccolta dei fondi italiani per la Somalia tenga conto di queste realtà.
Problemi immani per il Presidente Sharif Sheikh Ahmed e lo speaker del Parlamento Sharif Sheikh Aden, i due sceicchi invisi alla popolazione che comandano ora indisturbati a Mogadiscio. Tanto più che hanno appena iniziato l’epurazione dei 36 parlamentari che, in testa l’On.le Abshir Dhoore,  hanno rifiutato di ratificare l’accordo di Kampala del 9 giugno da loro fortemente voluto per cacciare l’ex Primo Ministro Mohamed A. Mohamed.

* fondatrice dell'Associazione Migrare

Articolo pubblicato su l'Unità - 09 agosto 2011


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