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La comparsa più fortunata d’Italia, ovvero, migrante e non clandestino
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di Marco Mario de Notaris*

La comparsa più fortunata d’Italia, ovvero, migrante e non clandestino

Sono di fianco alla mia compagna, Francesca Amitrano, direttore della fotografia del film “Là Bas” come accompagnatore della delegazione del film “La Bas”  di Guido Lombardi, in concorso come opera prima insieme ad altri 26 film di tutto il mondo. Vediamo Guido alzare il “leone del futuro”, e dire parole semplici di ringraziamento a tutti. Mentre assisto alla premiazione, emozionato, ripenso al giorno in cui io e Francesca, “intermittenti” dello spettacolo, formati al centro sperimentale di cinematografia, napoletani e dunque migranti eterni, mediterranei e africanizzati, greci e arabi, francesi e spagnoli, normanni e latini, senza diritti certi, in perenne affitto e con temporanei affanni, abbiamo letto la sceneggiatura di Guido Lombardi.
Ci parve subito, “Là Bas”, una storia di grande onestà intellettuale e di grande emozione, un film costruito secondo il meccanismo antico del “racconto di formazione”, in cui, prendendo a pretesto la strage di CastelVolturno, il regista, in questo caso anche sceneggiatore, innesta una storia di finzione, una storia che racconta la vicenda personale di un uomo che si spinge in un “altrove”, Là bas appunto ( laggiù sia in francese che in dialetto napoletano), per trovare condizioni di vita migliori e che viene messo di fronte ad una scelta: vivere di stenti ma onestamente o cercare il denaro rapidamente e attraverso il traffico di droga, per comprare un macchinario fondamentale per la costruzione di statuine di metallo e portarlo al suo Paese d’origine.
Ricordo l’entusiasmo di  Francesca nel preparare il film accompagnando il regista, che già da anni lavorava al progetto,  nelle esplorazioni di quel mondo così vicino (appena 30 km dal centro) ma così infinitamente lontano, l’abnegazione del produttore del film Gaetano Di Vaio e la determinazione di tutte le persone contattate per comporre la troupe del film a girare senza soldi, sotto la pioggia, in condizioni igieniche indicibili, nel pericolo di aggressioni e minacce, nel totale disinteresse e nell’assenza di qualsiasi attenzione da parte delle istituzioni locali. Una volta, un pomeriggio che ero andato a trovare Francesca sul set, i capannelli  di curiosi e di persone infastidite dalla presenza delle telecamere additava la troupe di girare film porno con gli africani, e questa cosa, che si ripeteva, causava molti momenti di tensione.
Attraverso “Là Bas” e la sua genesi, vissuta da molto vicino, si possono raccontare molte storie: innanzitutto, la storia della difficoltà di realizzare un film in Italia, di attrarre investimenti e di trovare persone disposte a rischiare, e i produttori di Là Bas non avevano di certo i mezzi per garantire condizioni ottimali alla troupe, al cast e alla visibilità del film.
Inoltre, in un momento così difficile e confuso, dove ognuno di noi è straniero, reietto, senza casa, senza futuro, parlare di Castel Volturno, raccontare la povertà con mezzi poveri, è  raccontare una metafora della condizione di un’intera generazione di italiani. Ci fa  comprendere che le scelte, e le condizioni di vita in questo paese, e nello specifico nel sud e a Napoli, non sono poi così divergenti dalle condizioni di vita di molti immigrati dall’estero, e che queste erano le condizioni di chi emigrava dall’Italia all’estero.
La domanda che mi ponevo durante la proiezione del film era :  se fossi arrivato io senza nulla? Se fossi stato io nudo, solo, senza identità, senza conoscenze del luogo, se non avessi la mia famiglia, le mie relazioni, i miei amici, la mia fidanzata, cosa sarei? Cosa sarei disposto a fare pur di vivere? Come potrei realizzare le mie ambizioni, la mia necessità di esprimermi, il desiderio di amare, di essere amato?
Là Bas racconta questo attraverso la storia di un giovane uomo che avrebbe il diritto di costruire la propria vita in maniera degna, e che va a sbattere contro la negazione di tale diritto.
Il diritto all’umanità che dobbiamo pretendere per tutti gli esseri umani.
Aver partecipato a quest’avventura indescrivibile, nello specifico recito in una scena del film, mi ha messo in contatto con creativi e artisti che vivono tra Castel Volturno e Napoli, che sono ormai napoletani nati in Burkina Faso, Ghana, Senegal, Benin e che contribuiscono alla vivacità culturale e politica della città. La forza della loro espressione artistica ci parla ogni giorno.
Che un film come questo arrivi nel più importante festival italiano, uno dei più importanti del mondo, e  vinca il premio come migliore opera prima alla mostra del cinema di Venezia rappresenta uno “scandalo” dal punto di vista “industriale”. Eppure la forza di tale film è apparsa chiara al pubblico che lo ha votato come miglior film della  settimana internazionale della critica. Una commozione vera, senza procedimenti assolutori o colpevolizzanti, un film che, ambientato “laggiù”, lontano dai nostri occhi, porta il cuore vicino ad una storia bella e tragica che si riallaccia con la verità dell’infame strage del 18 settembre 2008, dove a Castel Volturno il commando del boss Giuseppe Setola, travestito da agenti di polizia, ha trucidato sei ragazzi con la sola ragione di essere africani, di essere “tutti tali e quali” .
Credo che “Là Bas” affermi che non siamo tutti tali e quali, che ognuno di noi è diverso, e che ha diritto all’eguaglianza dei diritti fondamentali per esprimere la propria identità, la propria qualità.

* Attore


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