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"Il boss Ligato voleva uccidere Enzo Palmesano"
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di Rosa Parchi*

"Il boss Ligato voleva uccidere Enzo Palmesano"

Deposizione-bomba in data 30 settembre 2011 del collaboratore di giustizia Giuseppe Pettrone, al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nel processo a carico di Francesco Cascella, un militare di carriera attivo pure nel mondo del giornalismo, accusato di violenza privata con l'aggravante camorristica per le pressioni (operate insieme con il potente e sanguinario boss mafioso di Pignataro Maggiore, Vincenzo Lubrano, morto il 4 settembre 2007, zio acquisito dell'imputato) tendenti ad ottenere la cacciata del giornalista Enzo Palmesano dal quotidiano locale “Corriere di Caserta”. Davanti alla seconda sezione penale collegio C (presidente Maria Francica, giudici Elena Di Bartolomeo e Chiara Di Benedetto), rispondendo alle domande del valoroso pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Giovanni Conzo, il collaboratore di giustizia ha affermato tra l'altro che il boss Pietro Ligato (che odiava il giornalista, sentimento condiviso anche dal padre Raffaele Ligato) “voleva uccidere Enzo Palmesano” per i suoi articoli che “davano fastidio alla camorra” ed in particolare al clan Lubrano-Ligato.

Colpevole, il giornalista, di accendere i riflettori sulla situazione pignatarese, scrivendo che imperava la camorra. Nel corso dell'interrogatorio, quando si è arrivati a toccare il tasto della durissima contrapposizione esistente tra il giornalista Enzo Palmesano e il politico amico dei clan Giorgio Magliocca (Pdl, ex An, definito dal quotidiano “la Repubblica”, “il sindaco della camorra”), il collaboratore di giustizia ha affermato senza mezzi termini che “Magliocca è un colluso”, ricordando che è stato arrestato e che “è collusa tutta la Giunta Magliocca”. Poi Giuseppe Pettrone ha espresso l'opinione che anche l'ex vicesindaco Piergiorgio Mazzuoccolo (Udc) “deve essere arrestato”. Non sappiamo, naturalmente, su che cosa il collaboratore di giustizia abbia fondato la sua profezia del futuro arresto di Piergiorgio Mazzuoccolo (attuale capogruppo di opposizione al Consiglio comunale di Pignataro Maggiore), per fatti di camorra, ma Giuseppe Pettrone ha ricordato ancora una volta di aver appreso – come già si leggeva nella ordinanza di custodia cautelare a carico di Giorgio Magliocca per concorso esterno in associazione mafiosa – di una richiesta di posti di lavoro nello zuccherificio pignatarese “Kerò”, ad opera del vicesindaco allora in carica, alla famiglia Passarelli, quest'ultima prestanome del capo dei capi del “clan dei casalesi” Francesco Schiavone “Sandokan”.

Posti di lavoro ottenuti da Mazzuoccolo - secondo Giuseppe Pettrone – in cambio di favori ai Passarelli nell'ambito dell'azione politico-amministrativa. Come è noto, lo zuccherificio “Kerò” è stato sottoposto a sequestro nell'ambito di un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Si vedrà se esistono riscontri alle accuse di Pettrone a Mazzuoccolo e ad altri ex assessori o se il collaboratore di giustizia sarà investito da una valanga di querele per calunnia. Per quanto riguarda Magliocca, finora le accuse del collaboratore di giustizia sono state riscontrate e quindi ritenute fondate. Giuseppe Pettrone ha ribadito che esisteva un rapporto molto stretto tra il boss mafioso Lello Lubrano (ucciso il 14 novembre 2002, figlio del capoclan Vincenzo Lubrano), prima, e il boss Pietro Ligato successivamente, in uno scellerato patto politico-camorristico. Pettrone ha aggiunto di aver ottenuto da un imprenditore dell'area industriale di Pignataro-Pastorano, grazie alla raccomandazione dell'ex sindaco Giorgio Magliocca, un certificato di lavoro falso al fine di poter accedere a benefici giudiziari idonei a conseguire l'affidamento ai servizi sociali, invece della carcerazione. Una novità assoluta, quella del falso certificato di lavoro, a dimostrazione che sembrerebbero fondate le voci secondo le quali la posizione di Giorgio Magliocca (in carcere dall'11 marzo 2011) si sarebbe nel frattempo ulteriormente aggravata. Rispondendo ad una specifica domanda del dott.

Giovanni Conzo, Pettrone ha precisato che, ovviamente, “il certificato era falso, io non andavo a lavorare, facevo il camorrista, imponevo il pizzo, facevo le estorsioni. E ho ottenuto quel certificato, grazie a Magliocca, proprio perché ero un camorrista del clan Lubrano-Ligato”. Secondo il collaboratore di giustizia, inoltre, durante un incontro con Magliocca, lo stesso Pettrone e l'allora sindaco sarebbero stati notati dai carabinieri della Stazione di Pignataro Maggiore che, pertanto, avrebbero già fornito alla Direzione distrettuale antimafia una testimonianza che riscontrerebbe le parole dell'ex braccio destro di Pietro Ligato. Una autentica miniera di notizie Giuseppe Pettrone, secondo cui, nonostante la villa bunker di via del Conte fosse stata confiscata dalla magistratura e, sulla carta, acquisita al patrimonio indisponibile del Comune di Pignataro Maggiore, in realtà l'immobile era ancora nella piena disponibilità del clan Lubrano-Ligato. “Pietro Ligato aveva le chiavi della villa bunker – ha detto il collaboratore di giustizia – e io e lui ci andavamo spesso. Poi, quando Pietro Ligato ha devastato la villa, gli infissi sono stati utilizzati per la casa dei Ligato in via Partignano”. Come è noto, lo scandalo della villa bunker di via del Conte è uno dei pilastri delle accuse della Direzione distrettuale antimafia di Napoli a carico di Giorgio Magliocca. Tutti sanno, peraltro, che Magliocca faceva finta di utilizzare i beni confiscati mentre li lasciava nelle mani della camorra, nell'ambito di un evidente patto politico-mafioso.

Pettrone ha altresì parlato di un incontro di un esponente del clan Papa di Sparanise - che secondo il collaboratore di giustizia era accompagnato nell'occasione dall'avvocato Maiorano - con Giorgio Magliocca. Anche qui, qualora si trattasse di affermazioni che dovessero risultare non veritiere, Pettrone sarebbe raggiunto da una valanga di querele. Rivelazioni molto interessanti di Giuseppe Pettrone anche sullo spaccio di droga a Pignataro Maggiore, sottolineando il ruolo dei grandi trafficanti internazionali di sostanza stupefacenti, cioè le famiglie mafiose Nuvoletta e Lubrano, tra loro imparentate. “Io non spacciavo direttamente droga ai consumatori – ha detto il collaboratore di giustizia, ma incassavo una quota sullo spaccio. Andavamo a prendere chili di droga (hashish) a Marano, dai Nuvoletta, tramite i Lubrano; droga che arrivava a Marano dalla Spagna. Con i soldi della droga finanziavamo il clan Lubrano-Ligato, davamo lo stipendio alle famiglie dei detenuti, pagavamo gli avvocati”. Dal tenore delle complessive dichiarazioni di Giuseppe Pettrone è da immaginare che Pignataro Maggiore (essendo nel mirino politici, imprenditori, boss e affiliati, la rete degli spacciatori di droga) sarà presto investita da una nuova, e salutare, bufera giudiziaria. Del resto, si sa, a Pignataro Maggiore basta fare un giro per incontrare una folla di affiliati alla cosca Lubrano (forte pure delle sue articolazioni con una determinata componente della famiglia Romagnuolo), tutti incredibilmente a piede libero e capaci di esercitare un pesante condizionamento mafioso sulla realtà pignatarese, sull'economia, sui giornali compiacenti per i quali a Pignataro Maggiore “la camorra non esiste”. Sono devastanti gli effetti della cosca Lubrano-Ligato (come del “clan dei casalesi”) nell'area industriale di Pignataro Maggiore-Pastorano, con numerosi imprenditori collusi o vittime. E si è in attesa delle determinazioni della magistratura sugli appalti dell'Amministrazione comunale in epoca Magliocca, appalti ai quali ha fatto un fugace riferimento pure Giuseppe Pettrone.

Per quanto riguarda la caccia all'uomo delle cosche mafiose contro il giornalista Enzo Palmesano, nonostante Giuseppe Pettrone abbia riferito fatti già noti e peraltro cristallizzati nell'“Operazione caleno” del 23 febbraio 2009 della Direzione distrettuale antimafia (Pm dott. Giovanni Conzo e dott.ssa Liana Esposito), con una serie impressionante di intercettazioni telefoniche e ambientali, nell'aula di udienza al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – stretta in una non usuale morsa di misure di sicurezza – si sono vissuti momenti da far venire i brividi. Giuseppe Pettrone ha confermato che l'ordine dei boss era perentorio: “Fare il vuoto intorno al giornalista Enzo Palmesano, perché attaccava la camorra ed era un personaggio simbolo della lotta ai clan”. Una campagna camorristica di annientamento (ivi compresa la espressa volontà del boss Pietro Ligato di uccidere il giornalista) che non ha risparmiato nemmeno i familiari di Enzo Palmesano, “colpevoli” unicamente di essere appunto familiari di Enzo Palmesano. “Io e Pietro Ligato – ha ricordato l'attuale collaboratore di giustizia – ci recammo da un imprenditore edile, che stava effettuando lavori in via Mannesi, a Pignataro Maggiore, e lo costringemmo a licenziare un figlio di Enzo Palmesano, Massimiliano. Non demmo alcuna spiegazione all'imprenditore, il figlio del giornalista doveva essere licenziato e basta. E naturalmente il figlio di Palmesano fu licenziato”. Caccia all'uomo, minacce. “Pietro Ligato – ha aggiunto Pettrone – minacciò di morte Enzo Palmesano spedendogli una busta dall'ufficio postale di Vitulazio con un proiettile e un messaggio scritto con lettere ritagliate da un giornale.

Pietro Ligato fu processato e assolto per quelle minacce, ma era stato davvero lui a inviare la busta”. Particolare curiosità ha suscitato una domanda del dott. Giovanni Conzo, ma sul punto Giuseppe Pettrone non è stato in grado di fornire notizie utili. Il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia desiderava sapere se il collaboratore di giustizia fosse a conoscenza di particolari della inquietante e violentissima conferenza stampa contro Enzo Palmesano organizzata a Pignataro Maggiore dall'allora sindaco Giorgio Magliocca, con l'ex vicesindaco Piergiorgio Mazzuoccolo, l'11 giugno 2007 (è stato un anno molto importante il 2007 per la caccia all'uomo anti-Palmesano), alla quale parteciparono “pezzi da novanta” della politica casertana (adesso tutti nel Pdl) quali l'ex sottosegretario Nicola Cosentino (ora sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa), l'ex ministro Mario Landolfi (sotto inchiesta per corruzione e truffa con l'aggravante camorristica, ex ministro di cui Magliocca era stato collaboratore, prima di passare alla corte del sindaco di Roma, Gianni Alemanno) e il senatore Gennaro Coronella, testimone di nozze di Magliocca; conferenza stampa alla quale venne a dare man forte anche l'attuale consigliere regionale dell'Udc, Angelo Consoli.

Una domanda, quella del pubblico ministero, che ha lasciato immaginare uno scenario di pressioni anti-Palmesano a più vasto raggio, tanto più che a distanza di pochissimo tempo da quella conferenza stampa di inaudita violenza il giornalista Enzo Palmesano fu vittima di una gravissima conseguenza sul piano professionale e di carriera. E' emerso qualcosa da far pensare ad una ulteriore ritorsione per mettere a tacere lo scomodo giornalista investigativo Enzo Palmesano? C'entrano qualcosa Magliocca e Mazzuoccolo, o altri, e soprattutto i “pezzi da novanta” Cosentino, Landolfi e Coronella? Nulla è emerso, finora, almeno pubblicamente. Forse il dott. Giovanni Conzo voleva semplicemente fare una domanda sullo scenario politico, non c'è nulla sul piano investigativo. C'è comunque una coincidenza da segnalare: in un obliquo messaggio pubblicato il 18 marzo 2011 su facebook dal fratello di Giorgio Magliocca, Alfonso Magliocca (fidanzato con la figlia di Giulio Parisi, un imprenditore ex socio d'affari del boss mafioso Lello Lubrano), c'è un riferimento preciso alle disavventure professionali (troppe per essere casuali, in realtà ritorsioni subite) del giornalista Enzo Palmesano.

“Disavventure” che, polemicamente, Alfonso Magliocca (anch'egli un militare), sembrava voler cavalcare. Si vedrà; e chi ha fiducia nella magistratura (come Palmesano) attende con estrema serenità l'accertamento della verità dei fatti. Anche se la verità giudiziaria dovesse significare che quella conferenza stampa di Cosentino, Landolfi e Coronella non aveva avuto niente di “strano” e nessuna conseguenza per lo stesso Palmesano. Per quanto riguarda i tempi del processo a carico di Francesco Cascella, pare che si vogliano accelerare i ritmi. Tra pochi giorni sarà sentito il comandante della Stazione carabinieri di Pignataro Maggiore, maresciallo Antonio di Siena, su richiesta del pubblico ministero Giovanni Conzo. Il maresciallo Antonio di Siena sarà interrogato – crediamo – sulle risultanze dell'”Operazione caleno”, nelle cui carte vi sono le intercettazioni telefoniche e ambientali relative alle manovre di Vincenzo Lubrano e Francesco Cascella per far cacciare Enzo Palmesano dal “Corriere di Caserta”, all'epoca in cui il direttore era Gianluigi Guarino, quest'ultimo indicato anch'egli dalla DDA quale parte offesa ma non ha ritenuto opportuno costituirsi parte civile contro il nipote acquisito di “don” Vincenzo Lubrano.

Il giornalista Gianluigi Guarino è ora impegnato in una campagna a favore di Giorgio Magliocca, che fu chiamato a collaborare al “Corriere di Caserta” dopo la cacciata di Palmesano. Evidentemente Giorgio Magliocca anche da “giornalista”, oltre che da esponente politico, sindaco e consigliere provinciale, non dava fastidio e anzi era gradito alla cosca Lubrano-Ligato. All'udienza del 30 settembre 2011, l'imputato Francesco Cascella era presente in aula, difeso dall'avvocato Giuseppe Romano, mentre era assente l'altro suo difensore di fiducia, l’avvocato Carlo Taormina. Presente in aula, come sempre, anche la parte offesa e costituita parte civile Enzo Palmesano (l'unico, tra le numerose parti offese a costituirsi parte civile), con l'avvocato Salvatore Piccolo di Luigi (con studio legale in Sparanise), che ha rivolto anch'egli varie domande al collaboratore di giustizia Giuseppe Pettrone, una volta concluso l'interrogatorio condotto dal pubblico ministero della DDA.

*tratto da http://pignataronews.myblog.it


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