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Articolo 21 - INTERNI
Gli indignados contro l’agente bond
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di Massimiliano Tabusi

Gli indignados contro l’agente bond Gli indignados a Roma? Detta così, per chi non avesse seguito un granché i fatti del mondo degli ultimi mesi, può sembrare una cosa passeggera, una moda, una roba un po' esotica. Forse un gruppo rock? Un telefilm? Comunque qualcosa che viene dall'estero, passerà in Italia e se ne tornerà all'estero. Non è così. Non lo è per nulla. Indignados significa "indignati", e indignazione - secondo il dizionario Hoepli, significa "vivo risentimento che si prova per ciò che si ritiene indegno, riprovevole, ingiusto". In pratica, allora, con una parola molto meno elegante e signorile, significa incazzatura. Ecco che il quadro si mette un po' meglio a fuoco. Oggi, a Roma, c'è gente incazzata. Anche questa non sembrerebbe una gran novità: nella capitale c'è ogni giorno gente incazzata. E allora? Che vuoi farci?

E allora la novità è che queste persone arrivano qui - e non solo qui, ma in tante altre piazze del mondo - unite proprio dalla volontà di "farci qualcosa", dall'esigenza, anzi dalla pretesa, di parlarsi, ascoltare ed essere ascoltati. Nell'era della connessione, la circolazione delle informazioni e la diffusione della conoscenza (bene comune!) assumono un ruolo vitale: come mai nel passato tutti, anche i "semplici cittadini", possono (e devono essere messi in condizione di) avere gli elementi per conoscere, elaborare e proporre decisioni. La democrazia mediata come la sperimentiamo - è il messaggio che viene non solo dalle piazze spagnole ma da tutto il mondo - non può più bastare.
I cittadini non possono essere esclusi per anni dalle decisioni che riguardano la loro stessa vita, per poi essere riportati, al momento giusto, nel recinto elettorale: non siamo, dicono, "bestie da voto". Ecco che di fronte a politiche standard, partorite da tecnocrati e inevitabilmente proposte in ogni paese come dogmi esoterici e indiscutibili, i cittadini compiono un gesto di per sé ribelle: vogliono comprendere, discutere e perfino proporre. Ed ecco che la parola indignazione si riflette e si trasforma, diventando ciò che le è complementare: chi si indigna lo fa perché crede profondamente nella propria dignità e pensa che proprio la dignità, degli individui e della collettività, debba essere il fondamento della società che vuole contribuire a costruire e nella quale vuole vivere.
Chi manifesta ci invita a chiederci: sono degne le politiche sulla scuola, sull'università, sull'informazione, sull'arte, sulla cultura, sul lavoro in generale? E' degno proporre una "crescita" che immancabilmente consegnerà a pochi il frutto del lavoro di molti, lasciando tuttalpiù qualche briciola sul tavolo? E' degno sacrificare sull'altare delle speculazioni, dei bond e dei mercati, dei facili guadagni ottenuti con un click, il lavoro e i sacrifici delle persone? E' dignitoso restare impassibili mentre vengono smantellati diritti conquistati con il sudore, con l'impegno e perfino con la lotta da tante generazioni prima di noi? Non è forse un'affermazione di dignità quella di voler mettere in discussione - anziché continuare ad applicare criticamente - modelli economici e parole d'ordine in nome delle quali il mondo peggiora a vista d'occhio e si compiono le peggiori atrocità?
Ecco, gli indignatos a Roma non è un film, né una fiction: è un momento tangibile di una nuova realtà diffusa nel mondo. Un punto di vista diverso, di chi vuole delegare di meno e contare di più. Una realtà con la quale, certamente, non si potrà più evitare di fare i conti.

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