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Il populismo autoritario
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di Nicola Tranfaglia

Il populismo autoritario

In Italia c’è il rischio in questi giorni  che qualcuno pensi di poter liquidare in poche battute  il fenomeno berlusconiano perché, con ogni probabilità, il prof. Mario Monti riuscirà a formare in qualche giorno il suo governo e magari ad ottenere provvisoriamente un voto favorevole da parte delle due Camere. Ma sarebbe un grande errore da parte delle nostre classi dirigenti (intendendo per esse - come è ovvio - non soltanto deputati e senatori in carica che dovranno dargli la fiducia di rito ma anche, di necessità, gli imprenditori, i dirigenti, i professori, soprattutto quelli  che, in questo momento, godono di qualche carica pubblica o privata di qualche rilievo) come di quelle masse popolari in cui, negli ultimi diciassette anni, i due maggiori partiti di governo - il PDL berlusconiano e la Lega Nord di Umberto Bossi e Roberto Maroni - hanno pescato al Nord, al Centro e al Sud e continuano ancora a pescare copiosamente, approfittando di quella indubbia ignoranza diffusa su cui chi scrive ha richiamato ieri, ancora una volta, su un quotidiano di non grande diffusione (ma, temo, con sempre scarso successo) l’attenzione dei cittadini informati e di tutti gli altri.
E ancora oggi, frequentando come, da sempre nella mia vita, la politica, sia pure da libero battitore, mi capita ancora  di andare in assemblee anche affollate e dover ribadire a tutti con chiarezza che il prof. Monti può non essere il mio candidato ideale. Né risultare quello più gradito a chi non vuole nemici alla propria sinistra (terreno su cui si vogliono candidare (tutti e due a torto) sia l’IDV che SEL.
Eppure il leader molisano ha mostrato da sempre di oscillare dall’una all’altra posizione per motivi tattici, quello pugliese, più raffinato intellettualmente, non può dimenticare di aver accumulato qualche scheletro nell’armadio durante la sua lunga presidenza della regione Puglia
Malgrado tutto ciò, sento il dovere di dover sostenere il nuovo governo, visto che la sua azione ci permette, in ogni  caso, di conseguire due obbiettivi straordinari: il primo è quello di far diventare Silvio Berlusconi un ex presidente del Consiglio e il secondo è quello di formare un esecutivo di persone per bene, magari poco note ai mezzi di comunicazione, ma che hanno un mestiere o una professione nella quale hanno raggiunto una posizione di prestigio, senza bisogno dei voti che un politico o un partito devono ad ogni costo procurarsi ma in base al proprio merito e a un indubbio talento.
Con questo non voglio, in nessun modo, idealizzare la società civile e i tecnici (o cosiddetti tali) rispetto ai politici, anzi sono convinto che l’attuale, abissale distanza tra i tecnici e i politici sia una patologia del nostro sistema che dovremmo cercare di combattere e di metter da parte, se vogliamo affrontare in maniera efficace e decisiva la crisi, insieme economica e politica, in cui si trova il nostro paese.
Ma a questo punto interviene il rischio mortale che corre soprattutto il grande  popolo del centro-sinistra nel giudizio complessivo su quello che sta per succedere.
Ed è l’indirizzo economico-sociale del governo Monti come l’ampiezza del programma che intende svolgere, stretto - come è - dal PDL, ancora oggi il partito più grande dell’attuale parlamento, seguito da quei deputati, responsabili o di un fantomatico Popolo  del Sud , comprati a suon di contanti negli ultimi mesi da un Cavaliere prodigo e pieno di risorse economiche e forse ancor più  dalle tattiche misere e inaccettabili di partiti minori come l’Italia dei Valori che rischia di giocarsi l’alleanza necessaria con il Partito Democratico, pur di riaffermare ad ogni costo la propria peculiarità che dovrebbe essere quella di un rapporto speciale, mai verificato peraltro, con chi è più debole o più indifeso.
I segni mostrati, in questi giorni, dal professor Monti rassicurano chi, come me, pensa che, nei limiti dettati da un’assurda situazione parlamentare e politica, il nuovo governo farà le cose essenziali per salvare il paese dal baratro economico in cui è già precipitato e lo convincono a sostenere la nuova compagine fino a quando sarà necessario.
Di fronte a un bilancio, che cercherò di analizzare in maniera più compiuta nella nuova edizione  del mio Populismo autoritario che spero possa uscire nella prossima primavera, occorre ricordare alcuni punti essenziali che emergono a fatica dal dibattito politico in corso da qualche mese.
Il primo punto è la mancanza di senso dello stato che emerge con chiarezza dal comportamento tenuto in questi diciassette anni da Silvio Berlusconi e da molti altri che gli sono particolarmente vicini, da personaggi noti alla nostra storia come seguaci della loggia P2 di Licio Gelli come Fabrizio Cicchitto o di non essere riusciti a liberarsi della loro vicinanza alla dottrina fascista come La Russa o Gasparri.
Il secondo riguarda il loro atteggiamento rispetto ai più importanti principi costituzionali e questo investe tutti quelli che hanno seguito in questi anni la politica del capo dell’esecutivo e che ancora oggi intendono restare fedeli al suo squallido populismo antidemocratico.
Il terzo punto riguarda la forte ipocrisia rispetto alle libertà civili che ha caratterizzato la nostra costituzione repubblicana e che ancora oggi ha impedito l’approvazione di leggi ispirate alla laicità del dettato costituzionale del 1948.
In questo senso il bilancio è fortemente negativo e la maggioranza degli italiani ne sembra ormai consapevole.
A chi come me frequenta i mezzi pubblici e molti quartieri della capitale è possibile ormai sentire che il giudizio sulla classe politica di governo è maturato e va nella direzione di una richiesta esplicita di cambiamento appena possibile. 
C’è da sperare soltanto che il governo Monti adotti provvedimenti chiari e decisivi (tra essi devono esserci il cambio di una ignobile legge elettorale e una patrimoniale contro i più ricchi), purifichi un’aria divenuta ormai irrespirabile e ci porti quando sarà possibile, non necessariamente tra qualche mese ma anche, se sarà indispensabile, al 2013 a uno scontro elettorale chiaro tra chi rimane un suddito dei populisti e chi vuole ridiventare, a tutti gli effetti, il cittadino di una democrazia europea simile a paesi come la Francia, la Germania e la Gran Bretagna.
La scelta si avvicina e, per quanto mi riguarda, non avrò dubbi sulla direzione in cui andare.


Con questo primo intervento di Nicola Tranfaglia apriamo da oggi uno spazio quotidiano che abbiamo deciso di chiamare "Cosa ci ha lasciato B.". Un bilancio settore per settore (dalla politica all'economia, dalla cultura all'informazione...) del quasi ventennio berlusconiano. Vi invitiamo a dire la vostra scrivendo una mail a cosacihalasciatob@articolo21.com


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