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Articolo 21 - INTERNI
Dal gran ghetto a Roma, storie di invisibili
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di Bruna Iacopino

Dal gran ghetto a Roma, storie di invisibili Vanno via come sono arrivati, uomini senza un'identità se non per quei pochi che li chiamano per nome e gli dicono fratelli o mes amis. Le strade affollate della capitale con il panico degli sconti post natalizi, il rientro da lavoro, verso una casa, verso una famiglia, vede sfilare un corteo quasi silente che però è difficile non notare. Difficile non vedere quella pelle scura, quelle facce provate, con sciarpe pesantemente avvolte intorno al collo per ripararsi dal freddo. “C'è stata una manifestazione?” Si chiede qualcuno.
Ad Anagnina c'è un autobus pronto a riportarli indietro in un luogo in cui molti forse non vorrebbero fare ritorno ma che, per il momento è la loro casa. Tornano a Rosarno, tornano a Foggia. E domattina all'alba molti saranno di nuovo pronti ad andare nei campi per 2-3 euro all'ora, o per venti euro al giorno, ma poco cambia... tanto una giornata di lavoro in campagna non dura mai solo otto ore.
“Il problema sono i documenti.” Cande viene dalla Guinea Bissau e dal 2007 vive in Italia. Quel fantasma lo tormenta, non riesce a pensare ad altro. “ Se avessi i documenti – dice- potrei continuare a studiare, andare a scuola di italiano e poi imparare a fare il metalmeccanico... vorrei andare a vivere in città e non più in campagna. Non si sta bene, mi dispiace, non si sta bene...”

non c'è rabbia nella sua voce, solo una profonda rassegnazione. Lui come molti altri, come i 55 venuti in autobus oggi a Roma vivono in quello che viene chiamato “gran ghetto” di Foggia, vicino a Rignano Scalo. Una decina di masserie in muratura completamente abbandonate e occupate da un po' di anni a questa parte dai lavoratori stagionali che lì trovano un tetto sotto il quale ripararsi.
“Non sei mai venuta al gran ghetto?” Mi chiede Ousmane, guardando la mia faccia incredula “ allora devi venirci così vedrai se ti stiamo dicendo la verità.”

Me lo descrive. Il Gran ghetto è un luogo in aperta campagna, con nulla intorno se non i campi, dista da Foggia 7-8 km, le case sono fatiscenti, mancano porte e finestre, non c'è luce, né acqua corrente, solo il fuoco per cucinare e scaldarsi. “Per andare a fare la spesa dobbiamo aspettare l'autobus che però non c'è sempre”. D'inverno, racconta Ousmane, che visibilmente ha il polso della situazione, ci sono circa trecento persone ma d'estate con il periodo della raccolta si può arrivare a un migliaio con gente che pianta le tende o si costruisce una piccola baracca con quello che trova. Ma non ci sono solo gli uomini, al ghetto ci stanno anche donne e bambini, aggiunge.
Mi mostra le mani. “ Vedi le mie mani? - mi fa- quando incontro gli amici italiani a Foggia mi vergogno a stringergli la mano, allora stringo il pugno e li saluto così... è troppo duro il lavoro in campagna, si lavora in qualsiasi condizione, brutto o bel tempo, se stai bene o stai male, tutti i giorni, anche la domenica se c'è da lavorare.”
Ousmane in Senegal era falegname ed elettricista, qui senza documenti non può fare nessuna delle due cose. A Foggia vive da 5 anni, in quello che chiama “galera a cielo aperto”. Per due anni di fila è stato al servizio di un unico padrone... “mi trattava male, lavoravo come una bestia, senza contratto e pochi soldi, adesso lavoro dove mi chiamano, dove capita.”

Sadio è gambiano e rispetto agli altri è un po' più fortunato, forse. Lui un contratto di lavoro ce l'ha ma è un contratto stagionale che dura solo sei mesi, passati quelli si ricomincia tutto daccapo. La burocrazia, le pratiche di rinnovo, i soldi per l'avvocato e così avanti da un paio di anni a questa parte. In Gambia ha lasciato una moglie e una figlia di tre anni che non ha mai visto. Tira fuori il cellulare e mi fa vedere la foto della sua famiglia, “ecco come posso vedere mia figlia...”
Non può permettersi di partire per andarle  a trovare in Gambia, partire significherebbe perdere il lavoro in Italia e non poter più rientrare e allora aspetta... e quel poco che guadagna è tutto per loro.
Per Ousmane, Cande, Sadio il problema è uno solo: l'essere clandestini in questo paese, non avere i documenti per prendere una casa in affitto, la patente o anche solo per stare in città.
“Il Governo dovrebbe capire- sottolinea Ousmane- che noi immigrati possiamo solo far bene all'Italia, ma solo se siamo regolari, perchè un lavoratore regolare è un uomo che paga le tasse e le tasse dove vanno a finire?”

La giornata
A fine giornata si tirano un po' le somme e il bilancio appare per molti versi positivo: due canali aperti, rispettivamente al Ministero per le politiche agricole e al Ministero dell'interno, e qualche rassicurazione in merito alla situazione degli stagionali a Rosarno per esempio o al rinnovo dei permessi di soggiorno concessi per motivi umanitari ai lavoratori arrivati a Roma dopo la rivolta del 2010. bisognerà attendere le prossime settimane per capire se e quali risultati ci sono stati. Intanto la mobilitazione continua.

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