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Ne' dittatura ne' dettatura
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di Federico Orlando

Ne' dittatura ne' dettatura

"Dettatura" era parola chiave del suo gergo. La usò l'indomani del referendum Segni, aprile 1993, un anno dopo il suo ingresso al Quirinale, per ammonire i politici a riscrivere la legge elettorale "sotto dettatura del popolo". L'ultima volta nel maggio 1999, quasi monito per il futuro, in un videomessaggio ai giornalisti della Fnsi e di Articolo 21: "Non esiste libertà di stampa né in dittatura né sotto dettatura". L'altra parola era "Non ci sto": non ci sto alla distruzione dello Stato (aveva detto una sera del novembre 1993, all'ora di cena, in un messaggio a reti unificate) , contro il tentato impeachment costruito dai servizi segreti, ch'egli avesse gestito fondi neri quand'era ministro dell'Interno. Non ci stava al massacro, come a manipolazioni parlamentari di quel che il popolo aveva deciso col voto referendario. L'alfa e l'omega del settennato.
Sette anni tormentosi, per liberare dalle secche la prima repubblica, picconata da Cossiga, infettata dalla partitocrazia, dilaniata dalla dinamite mafiosa, e portarla verso un'altra che non accettasse i diktat dei partiti nella scelta del governo (chiamò Amato a Palazzo Chigi invece di Craxi), né "colpi di spugna" sul finanziamento pubblico dei partiti (decreto Amato-Conso), né gli eccessi persecutori delle inchieste giudiziarie (suicidio di Cagliari nel luglio 1992), né gli avvocati di famiglia come ministri della giustizia (rifiutò a Berlusconi la nomina di Previti a Guardasigilli). E via così, in una guerra di sette anni tra l'entusiasmo di una parte del paese e l'odio di un' altra, drogate dal bipolarismo forzato.
Indro Montanelli, che da vecchio laico ghignava per il rosario che il presidente si portava in tasca ma da vecchio liberale si felicitava di un capo dello stato che rispettava il papa ma non gli baciava l'anello, per far finire quell' interminabile guerra tra Arcore e il Colle provò a celiare con l'inquilino del Quirinale, che alle celie, come alle trame di servizi segreti e maneggioni, non ci stava per carattere. Così, mentre il settennato era al tramonto, scrisse sul Corriere della sera più o meno questo: che il capo dello stato, consapevole di non potere dar pace all'Italia finché Berlusconi non fosse dichiarato immune da ogni colpa e perseguibilità, indicesse un referendum con una domanda rozza e secca: "Volete voi l'abrogazione dei reati in base ai quali l'on. Silvio Berlusconi è perseguito?" Solo il popolo potrebbe assumersi un simile peso. "Parlo per celia - concludeva - , come conviene fare nella nostra lingua quando si cerca di dire cose serie".
Il consigliere stampa del Quirinale, Gaetano Scelba (Tanino), nipote del ministro degasperiano dell'Interno e cordialissimo amico di tutti (mi aveva riappacificato con lo zio, che da vent'anni non incontrava più giornalisti, per lo scherzo da prete fattogli da un collega disinvolto) , mi confidò che il presidente Scalfaro aveva tentato, senza riuscirvi, di imprimersi un sorriso sulle labbra, dopo aver letto Montanelli. Ma che io non ne facessi parola a nessuno. "E come potrei - gli risposi -, il ritratto definitivo di Scalfaro è stato fissato, senza sorriso, nel momento del Non ci sto". E a noi di vecchia religione istituzionale piacciono gli statisti che non ci stanno. Alle truffe, alle menzogne, alle debolezze, alle appropriazioni indebite, alle vigliaccherie.
Quel Non ci sto aveva smascherato e chiuso la connection criminalità-politica, emersa volta a volta come Gladio, Piano Solo, terrorismo, mafie, stragismo, P2, tangentopoli, Mani pulite, bombe a Roma Firenze e Milano ultimo tentativo dell'eversione di dirottare la morente prima repubblica in un governo criminale, sudamericano, fatto di complicità e di interessi malavitosi. Scalfaro rovesciava il tavolo, dando un'interpretazione creativa e non più solo difensiva del ruolo garantista del capo dello stato. Comincia con lui la serie dei governi "nominati" non dalla partitocrazia, ma dal Quirinale e consacrati dal voto del Parlamento: Amato,Ciampi, Dini e oggi, grazie a Napolitano, Monti. Hanno tolto il giocattolo dalle mani di chi l'usava per far male. Non ci sto. I governi si fanno sotto dettatura della Costituzione. In cambio, ha avuto dalla buona coscienza, lui direbbe dal buon Dio, la sorte di veder compiere i 150 anni al suo Stato, nato nel suo Piemonte


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