Articolo 21 - ESTERI
Dopo 20 anni il mondo arabo torna a Baghdad
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di redazione
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Ma Baghdad ha voltato pagina? O è ancora la fotografia delle malattie arabe? Le preoccupanti perfomance del primo ministro filo-iraniano al-Maliki ci dicono che la guerra di George W.Bush si è risolta in un rafforzamento dell'Iran, e il milione di dollari che Maliki ha voluto spendere per gli addobbi floreali con cui imbellire Baghdad in occasione del summit non addolciscono la pillola.
Al di là della linea verde e dei suoi hotel di lusso i kamikaze continuano a seminare quotidianamente la morte, e proprio a questo Maliki si è aggrappato per fare gli interessi di Teheran e accusare il leader eletto della minoranza sunnita di avere le mani in pasto con bande armate e terrorismo. Così la piaga del comunitarismo rimane acuta nella divisione tra sunniti, sciiti e curdi, aggravata dall'uso strumentale dell'appartenenza a fini di egemonia politica. Un anno dopo l'uscita di scena dell'ultimo soldato americano dall'Iraq gli indicatori politici sono tutti in rosso fisso per le follie bushane. Lo dicono anche i sospetti sugli aerei carichi di armi che sarebbero partiti da Baghdad alla volta di Damasco: la Baghdad di Maliki oggi è senza Saddam per l'intervento americano, ma il prodotto politico del tanto sangue versato è il suo "inserimento" nell'asse guidato da Tehran. Bel risultato.
Il ritorno a Baghdad, la capitale del vecchio impero abbaside, dice però una cosa: bisogna ripartire da lì, dalle scelte universaliste dell'epoca abbaside, per fronteggiare le sfide, per curarle. Le "scorciatoie del militarismo arabo",proprio come quelle opposte bushane, sono biecamente strumentali e provocano danni che non fanno altro che aggravare le piaghe che intendono curare.
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