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Diritti cancellati: a Grt persecuzione e censura
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di Tavana

Diritti cancellati: a Grt persecuzione e censura

C’è un luogo in Italia – in realtà ce ne sono diversi – dove le leggi non hanno valore, i diritti non trovano asilo e le regole sono completamente stravolte da amministratori disinvolti con il delirio di onnipotenza.
Questo luogo è una piccola ma significativa realtà tra le agenzie d’informazione radiofoniche italiane di cui qualcuno probabilmente avrà sentito parlare negli ultimi mesi: GRT, con sede principale a Roma.
Non un grande gruppo editoriale quindi, ma una cooperativa che costruisce il suo bilancio tra provvidenze pubbliche all’editoria (350mila euro circa all’anno), canoni di abbonamento e di una piccola percentuale di pubblicità (quando c’è).

Quanto basta a stuzzicare i grassi appetiti del Consiglio di amministrazione della cooperativa e di qualche altro “eletto” con un Presidente che, sin dall’avio del progetto,  ha assunto l’incarico considerandolo a vita. Questi signori hanno messo in campo tali e tante azioni che hanno pochi precedenti nella storia dell’editoria italiana passando sopra ai più elementari diritti sindacali, la deontologia professionale, il diritto dovere di informare, quello degli utenti ad essere informati correttamente, il semplice rispetto dovuto ad ogni individuo, le libertà della persona.

Violando ogni principio sancito dalla Costituzione Italiana. Ebbene: Grt è una realtà fatta da sempre meno giornalisti - soci lavoratori – che continuano comunque a dare il massimo per produrre ogni giorno più di trenta edizioni del giornale radio, inviate alle emittenti abbonate via satellite o internet. Prodotti informativi che qualificano le radio e trovano il gradimento di editori e ascoltatori. Contratto giornalistico applicato, Aeranti-Corallo: 1000 euro (mille) al mese. Più o meno. Per farvi capire meglio il clima nel quale siamo costretti a lavorare è il caso di fare qualche esempio. A Grt è capitato di essere pesantemente aggrediti verbalmente, e quasi fisicamente, dal presidente e dal direttore per aver chiesto di visionare preventivamente - è un nostro diritto - il bilancio che eravamo chiamati ad approvare nell’assemblea dei soci. Abbiamo scoperto poi che non avevano nemmeno bisogno di ingiuriarti perché nottetempo avevano provveduto a fare una bella infornata di “nuovi soci” (presenti solo per delega), sicché lor signori possono continuare ad approvare da soli il bilancio della Cia e pure quello di Babbo Natale. Di scoprire che nonostante questo non rinnovano le cariche sociali scadute, per cui operano e prendono decisioni fondamentali in regime di prorogatio.  

A Grt può capitare di sentirti chiamare “testa di cazzo allucinante, testa di cazzo” dal tuo direttore, che dovrebbe tutelare la tua professionalità e che invece minaccia, “finirete tutti per strada” o ancora “ti invito a dimetterti”. Magari quella mattina ti sei alzato alle 5 o anche prima, come succede alla collega che abita a più di 50 chilometri da Roma: marito e due figli, un cane. Non è la sola, lo so, ma è dura lo stesso.

Un giornalista può sopportare molte cose, NON sentirsi definire “intellettualmente disonesto” (sempre il direttore), semplicemente perché hai dato una notizia sul presidente del consiglio che lui non voleva fosse data. Censura? Anche. Nel periodo clou del caso D’Addario-Berlusconi e dell’indagine della procura di Bari, ad esempio, ha vietato di dare notizie in proposito: secondo l’illuminato direttore  non erano rilevanti, delle non notizie insomma.
In questo luogo ti può capitare di ricevere delle contestazioni disciplinari oltre che per  ritardi – ci può stare  – anche perché non hai salutato la segretaria, sodale della dirigenza, che ti insulta su Facebook; oppure perché lei (sempre lei) ha avuto l’impressione che prendessi in giro il direttore; perché hai aderito a una protesta sindacale, o per esserti recato in un posto non gradito al presidente che ti ha fatto pedinare, e ancora perché hai osato non prendere visione del nuovo statuto che ‘i nostri’, li chiameremo così, vogliono approvare e che stavolta si, a differenza del bilancio, bontà loro, è stato messo a disposizione di tutti i soci.

Ti può capitare di ricevere una contestazione perché non gli hai comunicato, come da loro richiesto, il tuo indirizzo di posta certificata. Cosa che la legge non prevede. E anche per questo di essere sospeso  – giorni non retribuiti che coincidono, guarda caso, con i tuoi turni di riposo -, ma non basta: se il tuo ordine professionale per la stessa comunicazione si ‘accontenta’ di una normalissima e-mail, loro no, vogliono che tu riempia un modulo con nome, cognome, indirizzo, codice fiscale ecc., i ‘nostri’ del resto pretendono un modulo per qualsiasi cosa, sicché uno strumento nato per semplificare nelle loro mani si trasforma in una persecuzione burocratica. E PERSECUZIONE è anche una delle parole che ricorre più spesso nei commenti tra colleghi in redazione.
 
Ultimamente i ‘nostri’ hanno scoperto – deve essere stato il clima natalizio - un concetto al quale sembrano dare grande importanza: ”Affectio societatis”. Si scrive così, si traduce “come ti frego il giornalista rompiscatole”. Se decidono che manchi dell’affectio societatis, sono guai, sei marchiato a vita. Non c’è possibilità di redenzione, solo ostracismo e, ovviamente, espulsione dalla cooperativa, per di più con dolo. E’ questo il fine ultimo, in buona sostanza il licenziamento: è già toccato a due colleghi e altri sono in un limbo fatto di sindacato e avvocati, di audizioni e ricorsi.

Del resto, come prevede il nuovo statuto approvato con il voto – sempre per delega - dei soci fantasma  di cui sopra e che mai hanno messo piede in redazione, qualsiasi cosa può rappresentare giustificato motivo di licenziamento. Per i ‘nostri’ non lavori abbastanza? Licenziato! Non accetti di essere demansionato o di subire una riduzione di stipendio? Licenziato! Non obbedisci al capo tecnico? Licenziato! E non esagero purtroppo. Non ci credete? Fate un salto a GRT, ma prima riempite l’apposito modulo. Grazie.


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