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L’editoria a rischio
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di Gian Mario Gillio*

L’editoria a rischio

Cento testate, tra giornali cooperativi, non profit e di partito, rischiano la chiusura e più di quattromila tra giornalisti e poligrafici di perdere il lavoro. È l’allarme lanciato dalla Federazione nazionale stampa italiana a causa dei tagli all’editoria. Per la Fnsi il rischio occupazione e quello per la sopravvivenza delle testate deriva da una norma, il comma 62 dell’art.2 (ex 53 bis) della legge finanziaria, che sopprime il carattere di diritto soggettivo dei contributi alla editoria: in altre parole da oggi in poi a stabilire chi prenderà il contributo e chi no sarà il governo... Molta pubblicistica ha raccontato gli scandali legati ai finanziamenti ai giornali e molti ritengono che questi fondi siano uno spreco di denaro, altri gridano addirittura allo scandalo (non possiamo infatti negare le “furberie all’italiana” presenti anche in questo settore), ed è giusto che vi siano opinioni diverse, ma il problema oggi è grave.

I contributi all’editoria stanziati dal governo raggiungono una cifra complessiva di circa 460 milioni di euro. Molti giornali che ricevono questi contributi sono noti: l’Unità, ad esempio, ha ricevuto nel 2007 (anno di riferimento) 6.377.209,80, euro, La Padania, 4.028.363,82. Altri sono meno conosciuti: Mare e Monti, che tuttavia raggiunge una quota di finanziamento molto significativa con 103.344,80 euro. Si passa dunque dai 3mila euro de Il ponte di Firenze ai 7 milioni e mezzo di Libero.

I fondi destinati al sostegno per l’editoria sono da suddividere in contributi indiretti (per la copertura di spese postali, ad esempio) che vanno soprattutto alle grandi testate come la Repubblica e il Sole 24 Ore, e quelli diretti, che invece sono destinati alle testate politiche, di idee, delle minoranze linguistiche e alle cooperative di giornalisti.. Proprio queste ultime, con un colpo di mano di governo e maggioranza, si sono viste cancellare il loro diritto soggettivo. Ma che cos’è il diritto soggettivo? Per dirla in breve: il diritto democratico e di uguaglianza stabilito per legge per poter ricevere i contributi all’editoria. Da oggi in poi a stabilire chi prenderà il contributo e chi no sarà invece il governo, ma quali saranno i criteri di tale scelta nessuno può dirlo e a quanto pare anche lo stesso governo sembrerebbe non avere le idee chiare. In una intervista il senatore Vincenzo Vita ricordava (oggi, vedi l’articolo di Vita sembrerebbe esserci l’ultima chance): «Il principio del diritto soggettivo stabilisce che le testate abbiano un vera e propria tutela giuridica. I bilanci di questi giornali possono essere programmati dagli amministratori con le banche attraverso fidi e prestiti. Questo principio fu stabilito dalla riforma dell’editoria del 1981 e fu reso più concreto da una legge del 1990. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti ha confermato che i 200 milioni di euro previsti nelle tabelle della Finanziaria del 2010 – ha proseguito Vita – saranno confermati a fronte dei 500 milioni di euro che sarebbero indispensabili per il fondo a regime. Al di là della promessa di mantenere quella tabella per il 2010, in assenza di un diritto soggettivo qualsiasi altra priorità può sopraggiungere ad un certo punto dell’annata. E siccome le provvidenze vengono date verso la fine dell’anno, si può immaginare come il comma 53 bis previsto dalla Finanziaria, che cancella il diritto soggettivo, metta a repentaglio la vita di questi giornali». Molte testate dunque, su decisione governativa, potrebbero non vedersi riconosciuto il diritto al sostegno, e non avrebbero alcuna possibilità di sopravvivere senza il finanziamento regolare, come stabiliva il diritto soggettivo. Se qualcosa non cambierà, e in tempi brevi, il nostro pluralismo dell’informazione (già viziato da anomalie e conflitti di interessi) non avrà più voci importanti e storiche; per citarne una, il Corriere Mercantile che, tra tutte le testate colpite dai tagli all’editoria è certamente la più antica (1824), e così molte altre, un effetto domino che toccherebbe tutti: lavoratori del settore, giornalisti, poligrafici, redattori, collaboratori, agenzie e così via: tutto cancellato, dall’oggi al domani.

Chi si occupa di informazione sa bene quanto questi fondi siano importanti per la propria sopravvivenza, ancor di più chi si occupa di informazione religiosa come Riforma o, per citarne altre, Adista, Buddismo e società o altre legate a diocesi come l’Eco del Chisone ma che ricoprono un ruolo fondamentale per il proprio territorio fornendo informazioni di ampio respiro e che ricevono contributi ben più sostanziosi (294.500,00 euro). Cosa accadrebbe ai grandi? La Periodici San Paolo Srl sotto lo stesso cappello editoriale pubblica diverse testate: Famiglia cristiana (312.000,00 euro) Famiglia oggi (7.933,40), Il giornalino (306.000,00), Jesus (72.000,00), Vita pastorale (66.000,00), una bella cifra tutta insieme e certamente da non perdere!

Dopo queste informazioni, rimane ovviamente salvo il principio della libertà di idee e di opinioni sulla questione dei finanziamenti ai giornali, ma riteniamo che se in Italia vigesse il principio del buon senso, aiutare e sostenere il pluralismo dell’informazione nel nostro paese sarebbe più che mai necessario. Tutti possono vedere il preoccupante livello di concentrazione dei media al quale siamo arrivati e inoltre non andrebbe dimenticato che molti giornali di piccola e media tiratura non potrebbero certamente sostenersi con le proprie forze o solo grazie agli abbonamenti o alla piccola distribuzione. Per capire quali sono gli sviluppi di questa situazione che vede un ulteriore controllo dei media da parte del nostro governo, perché di questo sembrerebbe trattarsi, abbiamo intervistato Roberto Natale, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) e gli abbiamo chiesto di rispondere ad alcune domande, alcune anche scomode. Le cifre ricevute dalle testate citate e riportate in questo articolo sono pubbliche e consultabili sul sito del governo alla voce «contributi erogati all’editoria nel 2008 (anno riferimento 2007)».

 

Roberto Natale, che cos’è il diritto soggettivo messo in discussione e che tanto preoccupa  gli editori che percepiscono i contributi  all’editoria e  chi eroga questo sostegno?

La definizione di diritto soggettivo rischia di generare equivoci, perché nel linguaggio corrente l’aggettivo “soggettivo” viene spesso usato per indicare ciò che è discrezionale, arbitrario, non fondato su basi oggettive. Nell’accezione giuridica, invece, è un diritto che viene riconosciuto a soggetti portatori di particolari valori. Questo diritto è stato messo a repentaglio dal ministro Tremonti, che con una norma della recente Finanziaria ha soppresso il carattere di “diritto soggettivo” dei contributi all’editoria. Ne fanno le spese oltre 100 fra giornali cooperativi, non profit e di partito, che danno lavoro a 4000 fra giornalisti e altri operatori del settore. Questi fondi sono erogati dal Dipartimento informazione ed editoria della Presidenza del Consiglio, sulla base delle norme contenute nella legge di riforma del 1981 e nelle successive leggi di modifica.

Nel dibattito politico e sociale italiano si è soliti criticare i contributi che vengono erogati ai giornali, c’è chi sostiene che siano fondi inutili. Cosa risponde?

Chi parla di fondi inutili si è assuefatto al modello comunicativo dominante, segnato dallo strapotere della tv (siamo il Paese in cui, alle ultime europee, il 69% degli elettori ha scelto come votare in base alle cose sentite alla televisione). Se evitiamo di faci abbacinare dai grandi numeri dei canali generalisti, vedremo che c’è una rete comunicativa fatta di fogli di mille tipi, che assolvono ad un compito culturale e civile spesso preziosissimo perché fanno circolare idee e punti di vista quasi mai presenti nel flusso televisivo di massa. La loro efficacia non la possiamo misurare coi dati Auditel, ma se crediamo ad un ideale di cittadinanza consapevole il sostegno alla parola scritta non può venir meno. Si possono fare mille esempi di utilità di questi interventi. Ne indico uno fra i tanti: l’esperienza del “Primorski Dnevnik”, il quotidiano della minoranza italiana di lingua slovena. Parla ad un bacino linguistico ristretto, non ce la potrebbe mai fare solo con le copie vendute e la pubblicità. Ma se quel giornale muore rischia di finire una comunità con la sua cultura. 

Quale differenza passa tra i fondi destinati ai giornali di partito e quelli erogati a cooperative di giornalisti?

Dal punto di vista normativo non c’è differenza, perché i finanziamenti derivano dalla stessa legge: solo che per i giornali di partito il rimborso dei costi di testata può arrivare al 60%, per le cooperative al 50. Dal punto di vista “di principio”, noi vediamo con favore una distinzione netta, in prospettiva: i giornali di partito dovrebbero trarre il loro sostegno dai fondi destinati dallo Stato al finanziamento dell’attività politica.

Una delle critiche riguarda il fatto che alcune testate potrebbero vivere grazie alla vendita di spazi pubblicitari. E’ davvero così?

No. Chi avanza questa critica ha un’idea astratta del funzionamento del mercato pubblicitario: un mercato assai particolare e distorto, in cui pesa lo squilibrio a favore delle tv e in cui anche la pubblicità istituzionale (quella che, per esempio, sono tenuti a fare gli enti locali quando devono rendere noti bilanci, bandi, ecc.) viene assegnata in base a criteri poco oggettivi e molto “amicali”. Non conosco molte esperienze editoriali che scelgano di vivere una vita grama per mantenere la “purezza” del messaggio. Mi pare assai più diffuso il fenomeno di una ripartizione iniqua della pubblicità, che penalizza le voci estranee al modello culturale dominante.  Il mercato non è, soprattutto nelle concrete condizioni dell’Italia segnata da conflitti di interesse grandi e piccoli, la divinità davanti alla quale genuflettersi in modo acritico.

Molte testate italiane che si occupano di informazione a carattere religioso, sociale, politico riescono a vivere solo grazie a questi fondi, ricordo appena  Adista,  Riforma, Buddismo e società, Cem Mondialità, Città Nuova, Famiglia Cristiana, L’Eco del Chisone, tutti  con fondi risibili rispetto ad altre testate e che senza questo aiuto rischierebbero di scomparire.  Nella lunga lista di giornali che ricevono i fondi si passa però dai 55mila euro annui erogati a Riforma ai 6.174.758,70 di Avvenire.  Qual è il criterio che determina l’assegnazione dei fondi?

Il criterio fissato dalle leggi è quello dei costi di testata: un insieme di voci che include il numero di copie stampate, il costo del lavoro, i giornalisti impiegati, le spese per la stampa e la distribuzione. E’ ovvio che la periodicità quotidiana e la consistente tiratura fanno salire di molto i rimborsi.

E’ vero che esistono alcune testate, quasi sconosciute e invisibili sul mercato che ricevono ingenti finanziamenti per l’editoria? C’è davvero qualcuno che ha approfittato di questi fondi?

Sì, purtroppo è vero, ed è ciò che rende più difficile la battaglia per difendere l’intervento pubblico. Ci sono giornali finti, fogli stampati ma non venduti, organi di partiti inesistenti, senza lettori e senza elettori, che in questi anni sono riusciti a farsi finanziare, immeritatamente ma non illegalmente,  infilandosi nelle pieghe della normativa. Da queste degenerazioni hanno tratto spunti in molti (Beppe Grillo tra i più noti) per dire che i fondi pubblici vanno cancellati. Il sindacato dei giornalisti denuncia da anni questi fenomeni, ma sostiene che le esperienze editoriali autentiche non devono pagare le colpe dei truffatori. La richiesta di rigore, di pulizia negli elenchi delle testate da finanziare, è nostra prima che di altri. Ma non accettiamo l’idea qualunquistica che ogni intervento dello Stato sia necessariamente uno spreco o una clientela. Peraltro il sostegno pubblico all’informazione esiste nella gran parte dei Paesi europei.

La Fnsi porta avanti insieme ad altri sindacati di categoria come la Mediacoop una battaglia per far sì che venga ripristinato il diritto soggettivo per tutti, tuttavia la strada sembra ardua, cosa prevedete per il futuro e con quali interlocutori avete attivato la discussione?

R. La discussione l’abbiamo attivata con gli interlocutori istituzionali, cioè il sottosegretario Bonaiuti e le forze parlamentari: tutte le forze parlamentari, perché su questo tema si riesce a suscitare un efficace trasversalismo (dovuto al fatto che tra le testate politiche colpite ci sono i fogli dei partiti sia del centrodestra che del centro sinistra). Contiamo di ottenere la modifica della Finanziaria (potrebbe essere nel cosiddetto “mille proroghe”, o nel decreto sviluppo) e la proroga delle regole in vigore fino a ieri per un altro anno. Sappiamo però benissimo che l’attuale sistema non regge, e dunque vogliamo usare il periodo della proroga per arrivare alla riforma, per definire cioè nuovi criteri che escludano i furbi e al tempo stesso evitino in futuro a chi ha diritto l’annuale trepidazione di vedersi cancellati i fondi e doverli poi riconquistare con una campagna di mobilitazione.

Molti quotidiani nazionali hanno messo in atto iniziative “personali” e diversi direttori hanno incontrato Fini e sentito Tremonti per cercare di garantirsi la continuità dei finanziamenti. Altri giornali e riviste che operano nel proprio territorio svolgendo una funzione impagabile e spesso dimenticata dalle grandi realtà, oppure le riviste culturali, specializzate, scientifiche, chiamiamole "d'élite" ma che garantiscono il vero pluralismo d'informazione nel nostro paese e che per vincoli statutari in quanto cooperative di giornalisti o altro come quelle senza scopo di lucro, e che quindi non potrebbero vivere di pubblicità, per via del tetto stabilito per legge, cosa potrebbero fare per farsi sentire e garantirsi anch'essi la sopravvivenza?

La questione è troppo rilevante per poter essere liquidata in un incontro tra un ministro e qualche direttore. Il sindacato non accetterebbe affatto una “riparazione” di Tremonti che riguardasse solo i fogli di partito: la giudicheremmo un’azione di autotutela di “casta” (per usare una parola di moda). Il pluralismo che difendiamo ha connotati ben più ampi, radicati nel profondo della società italiana, che non si esaurisce dentro Montecitorio. Così come non riconosciamo alcun valore all’accenno – fatto balenare dal ministro dell’Economia – alla salvaguardia delle testate “storiche”: possono esserci esperienze editoriali che da tanti anni prendono fondi ai quali non hanno diritto. Con questa idea ricca di pluralismo - che è sociale, religioso, associativo, culturale, territoriale, di genere, e che non si fa ridurre al conteggio delle pur importanti bandiere di partito -  la Fnsi si propone come punto di riferimento per tutta l’informazione italiana.. Facciamola insieme, questa battaglia di trasparenza. Al governo lo abbiamo detto in modo chiarissimo: vogliamo che i nuovi criteri di finanziamento siano discussi alla luce del sole; non accetteremo una lista dei buoni e dei cattivi che all’improvviso saltasse fuori dalle stanza del ministero dell’economia. Il problema non è il ministro in carica. Qualunque sia il colore del governo, il diritto ad informare, il diritto di vivere di tante testate che fanno pluralismo vero non può essere sfigurato riducendolo a concessione del sovrano, che di anno in anno si degna di far sapere quali cortigiani siano ancora nelle sue grazie.

*direttore della rivista “Confronti” (articolo uscito per il sttimanale “Riforma” - numero 5 del 5 febbraio 2010)

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