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Il Paese frana? “Italia amore mio”
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di Ottavio Olita

Il Paese frana? “Italia amore mio”

Il messinese e il vibonese stanno diventando il simbolo della distanza abissale che ormai si è costruita tra l’Italia reale e quella che il governo ama tanto rappresentare. Mentre il Paese frana e scivola a mare, invece di provvedere a intervenire con urgenza per sanare il territorio,  impedire altre pericolose speculazioni,  ricostruire, esecutivo e maggioranza continuano ad insistere sulla costruzione del ponte sullo stretto. Le due stesse regioni che urlano a gran voce la loro richiesta di aiuto vengono sbeffeggiate dal centrodestra che sa soltanto brandire la promessa di una di quelle cosiddette grandi opere che accentueranno i già gravi problemi dei territori, invece di risolverli. E’ la logica del colpo di scena, della spettacolarità, dell’immagine ad uso televisivo, al posto dei sempre più  necessari lavori sul lungo e lunghissimo periodo. Un po’ come è successo per L’Aquila e per il G8 a La Maddalena, salvo poi a non riuscire ad impedire i meccanismi aberranti che stanno all’origine del mancato rispetto delle regole, o, peggio, a favorirli di fatto, con le sollecitazioni a fare in fretta.
 
Solo chi vuol essere politicamente cieco e sordo può far finta di non capire che l’allarme lanciato dal Presidente della Corte dei Conti, davanti al Capo dello Stato e ai presidenti di Senato e Camera sulla diffusione e l’aumento della pratica della corruzione, non riguardi il funzionamento del rapporto tra pubblica amministrazione e appalti. Cecità e sordità perché la denuncia è stata molto netta e chiara e pronunciata esattamente 18 anni dopo l’esplosione di tangentopoli con l’arresto del ‘mariuolo’ Chiesa e pochi giorni dopo il nuovo episodio di corruzione e concussione, sempre a Milano, dalle caratteristiche più gravi perché dal “Pio Albergo Trivulzio” ci siamo spostati in piena attività amministrativa del capoluogo lombardo.

Questione morale? Ormai la solleva un giudice, come il Presidente della Corte dei Conti; quando lo faceva Enrico Berlinguer, fischiato e osteggiato dai craxiani, cercarono in tutti i modi di dimostrare che il suo era opportunismo politico. Berlinguer purtroppo morì prima che il ‘mariuolo’ venisse preso con le caramelle in mano. Oggi tutto ci scivola addosso in modo indecente. Gli sciacalli che ridevano dei morti e dei senzatetto dell’Aquila, pregustando almeno dieci anni di affari, non solo presto saranno dimenticati, ma non è escluso che rientreranno anche nel giro degli appalti e dei lavori pubblici. Degli operai di Termini Imerese e dell’Alcoa ci si ricorda solo se vanno a creare disagi a Roma o negli aeroporti. Non esistono più, e possono essere facilmente cancellati, se seguono le strade tradizionali della lotta sindacale. Anni fa il mondo del lavoro riusciva anche a incontrare sensibilità del mondo dello spettacolo, come, ad esempio, Pippo Baudo che ospitò a Sanremo i lavoratori dell’Italsider. Oggi in quella stessa manifestazione, altro che caschi di sicurezza o luci da minatore: spazio ad un rampollo di una decaduta e decotta Casa Reale che pubblicamente dichiara di non essere lì come cantante ma per affermare il suo amore per l’Italia. Perché solo lui sì? Chi è?  E almeno avesse qualche merito artistico: “Io credo sempre nel futuro, nella giustizia e nel lavoro/ nell’equilibrio che ci unisce, intorno alla nostra famiglia./ Io credo nelle tradizioni, di un popolo che non si arrende/e soffro le preoccupazioni, di chi possiede poco o niente./ Io credo nella mia cultura e nella mia religione,/ per questo io non ho paura di esprimere la mia opinione./ Io sento battere più forte il cuore di un’Italia sola,/ che oggi più serenamente si specchia in tutta la sua storia”. Mi fermo qui, perché il resto di questa canzone, “Italia amore mio”, stroncata giustamente dalla giuria sanremese, è peggio. E’ vero che sopportiamo anche Apicella per doveri presidenziali, ma qui non si capisce se è stato ospitato un aspirante politico, oppure l’erede di quel ‘Re Sciaboletta’ che mentre il popolo italiano – quello sì – non si arrendeva e lottava per la propria liberazione dal nazifascismo scappava a Brindisi per mettersi al sicuro. E quella buffonata dei tricolori fatti sventolare in sala al termine della brillante esibizione!
Ora attendiamo che “Italia amore mio”, dopo aver tanto affascinato i selezionatori delle canzoni da ammettere alla gara canora venga cantata dai siciliani e dai calabresi le cui case sono state spazzate via dalle frane, dai sardi e dai veneti che rischiano di essere scaricati, lunedì prossimo, da Alcoa, dai precari, dai disoccupati, dai pensionati, dai giovani senza prospettive, dai cassintegrati. Provi Emanuele Filiberto a proporla loro, chissà se non avrà più fortuna che a Sanremo.

 


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