Articolo 21 - INFORMAZIONE
Caro Santoro, L'Aquila merita di essere ascoltata
di redazione
Egr. Dott. Santoro,
chi Le scrive è un ricercatore precario dell'Università dell'Aquila.
Ho valutato a lungo se scriverLe o se, piuttosto, non fosse più giusto turarsi il naso e voltarsi dall'altra parte, continuando a fare finta di nulla.
Ho deciso che mi avrebbe fatto sentire meglio provare a scrivere queste righe nel momento in cui ho visto anche questa mattina, come ogni mattina che scivola addosso a noi aquilani dopo quel maledetto 6 aprile, cosa c'era dall'altra parte. Una città colpita al cuore che sta morendo.
Ieri sera, come migliaia di altri cittadini aquilani, ero incollato alla televisione per seguire la Sua trasmissione, che sapevo essere dedicata a L'Aquila.
Durante la puntata, si è passata ai raggi X l'avventura del Dott. Bertolaso nei meandri del Salaria Village, incorniciando la cronaca dei lussuriosi massaggi cervicali con pittoriche ricostruzioni dei dialoghi telefonici di alcuni imprenditori e funzionari pubblici, emersi da intercettazioni dei Carabinieri.
Nel frattempo, interrotti spesso e volentieri da maleducati e presuntuosi ospiti in sala, due persone fin troppo pazienti, in collegamento da una distrutta Piazza S. Pietro nel cuore della città che ho avuto la fortuna di conoscere prima del 6 aprile, provavano a spostare l'attenzione degli ascoltatori su temi quantomeno altrettanto scottanti. Ad esempio, il mancato decollo della ricostruzione leggera, le decine di migliaia di sfollati ancora sulla costa e negli alberghi delle montagne abruzzesi e le tragiche morti di quella notte che probabilmente non avranno mai risposta viste le provvidenziali riforme della giustizia concepite dai nostri solerti governanti.
Evidentemente, però, la necessità di innalzare l'audience della puntata è stata più impellente del moto che ogni giornalista dovrebbe sentire come suo dovere primario, raccontare fatti. E i fatti su L'Aquila sono lontani anni luce da quello che è stato il tema principe della Sua trasmissione di ieri. O, quantomeno, dovevano fare solo da corollario alla terribile realtà di un capoluogo di regione che si dissangua di forze e lavoro, di una città in cui la speranza di rivedere un centro storico popolato per i prossimi dieci anni è prossima allo zero, di una città usata impunemente per mesi come passerella da esposizione mediatica per politici senza il minimo ritegno.
Molti dei miei concittadini avevano riposto in Lei una speranza, quella di vedere finalmente portati sotto un riflettore di portata nazionale i loro problemi, che sono inascoltati da mesi perché ormai cronicamente soffocati da un sistema dell'informazione per lo più asservito al potere di turno.
E' di tutta evidenza, però, che quel potere non ha mani abbastanza lunghe da arrivare anche nella Sua redazione, ed è per questo che molti di noi erano in febbrile attesa di vedere come e con quanta efficacia Lei avrebbe reso giustizia alla nostra città, se non altro dandole la possibilità di raccontare una verità ben diversa da quella che viene veicolata in modo subdolo e ipocrita nelle case di ogni italiano.
Purtroppo, tutti noi abbiamo dovuto ricrederci e verificare ancora una volta e nel modo più doloroso possibile quanto sia più redditizio cavalcare un'onda piuttosto che onorare una professione come quella del giornalista, nell'interesse di decine di migliaia di persone colpite da un lutto e da una disgrazia inimmaginabile.
Caro Dott. Santoro, L'Aquila merita di tornare a essere la bellissima città che era e ora più che mai ha bisogno che la sua voce arrivi a tutti.
La saluto cordialmente e Le auguro di ritrovare presto l'importanza di distinguersi.
Stefano Falone
Ricercatore precario
chi Le scrive è un ricercatore precario dell'Università dell'Aquila.
Ho valutato a lungo se scriverLe o se, piuttosto, non fosse più giusto turarsi il naso e voltarsi dall'altra parte, continuando a fare finta di nulla.
Ho deciso che mi avrebbe fatto sentire meglio provare a scrivere queste righe nel momento in cui ho visto anche questa mattina, come ogni mattina che scivola addosso a noi aquilani dopo quel maledetto 6 aprile, cosa c'era dall'altra parte. Una città colpita al cuore che sta morendo.
Ieri sera, come migliaia di altri cittadini aquilani, ero incollato alla televisione per seguire la Sua trasmissione, che sapevo essere dedicata a L'Aquila.
Durante la puntata, si è passata ai raggi X l'avventura del Dott. Bertolaso nei meandri del Salaria Village, incorniciando la cronaca dei lussuriosi massaggi cervicali con pittoriche ricostruzioni dei dialoghi telefonici di alcuni imprenditori e funzionari pubblici, emersi da intercettazioni dei Carabinieri.
Nel frattempo, interrotti spesso e volentieri da maleducati e presuntuosi ospiti in sala, due persone fin troppo pazienti, in collegamento da una distrutta Piazza S. Pietro nel cuore della città che ho avuto la fortuna di conoscere prima del 6 aprile, provavano a spostare l'attenzione degli ascoltatori su temi quantomeno altrettanto scottanti. Ad esempio, il mancato decollo della ricostruzione leggera, le decine di migliaia di sfollati ancora sulla costa e negli alberghi delle montagne abruzzesi e le tragiche morti di quella notte che probabilmente non avranno mai risposta viste le provvidenziali riforme della giustizia concepite dai nostri solerti governanti.
Evidentemente, però, la necessità di innalzare l'audience della puntata è stata più impellente del moto che ogni giornalista dovrebbe sentire come suo dovere primario, raccontare fatti. E i fatti su L'Aquila sono lontani anni luce da quello che è stato il tema principe della Sua trasmissione di ieri. O, quantomeno, dovevano fare solo da corollario alla terribile realtà di un capoluogo di regione che si dissangua di forze e lavoro, di una città in cui la speranza di rivedere un centro storico popolato per i prossimi dieci anni è prossima allo zero, di una città usata impunemente per mesi come passerella da esposizione mediatica per politici senza il minimo ritegno.
Molti dei miei concittadini avevano riposto in Lei una speranza, quella di vedere finalmente portati sotto un riflettore di portata nazionale i loro problemi, che sono inascoltati da mesi perché ormai cronicamente soffocati da un sistema dell'informazione per lo più asservito al potere di turno.
E' di tutta evidenza, però, che quel potere non ha mani abbastanza lunghe da arrivare anche nella Sua redazione, ed è per questo che molti di noi erano in febbrile attesa di vedere come e con quanta efficacia Lei avrebbe reso giustizia alla nostra città, se non altro dandole la possibilità di raccontare una verità ben diversa da quella che viene veicolata in modo subdolo e ipocrita nelle case di ogni italiano.
Purtroppo, tutti noi abbiamo dovuto ricrederci e verificare ancora una volta e nel modo più doloroso possibile quanto sia più redditizio cavalcare un'onda piuttosto che onorare una professione come quella del giornalista, nell'interesse di decine di migliaia di persone colpite da un lutto e da una disgrazia inimmaginabile.
Caro Dott. Santoro, L'Aquila merita di tornare a essere la bellissima città che era e ora più che mai ha bisogno che la sua voce arrivi a tutti.
La saluto cordialmente e Le auguro di ritrovare presto l'importanza di distinguersi.
Stefano Falone
Ricercatore precario
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