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La verità nascosta: 16 anni di bugie da quel 20 marzo
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di Mariangela Gritta Grainer*

La verità nascosta: 16 anni di bugie da quel 20 marzo

“Io so.  Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano... Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato... e so tutti i fatti di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove...” (Pier Paolo Pasolini). Queste parole, lette da Ilaria, sono l’incipit del film “Il più crudele dei giorni”. Era il 20 marzo del 1994, il più crudele dei giorni: la vita di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin veniva stroncata a Mogadiscio in un agguato. Dopo sedici anni lunghissimi e dolorosi si sa quasi tutto di quel che accadde quella domenica di marzo e perché.
Si sa che si è trattato di un’esecuzione. E’ ciò che è stato confermato in tutti questi anni dalle inchieste giornalistiche, dalle commissioni parlamentari e governative che se ne sono occupate, dalle sentenze della magistratura. E’ quanto ha sostenuto il dottor Emanuele Cersosimo respingendo la richiesta di archiviazione del procedimento penale presentata dalla Procura di Roma:
“…la ricostruzione della vicenda appare essere quella dell’omicidio su commissione, assassinio posto in essere per impedire che le notizie raccolte dalla Alpi e dal Hrovatin in ordine ai traffici di armi e di rifiuti tossici…venissero portati a conoscenza dell’opinione pubblica…”

Dunque traffici illeciti, che solamente organizzazioni criminali come la mafia, l’ndrangheta e la camorra possono gestire, come negli ultimi mesi indagini di procure, specialmente calabresi, dichiarazioni di pentiti e collaboratori di giustizia hanno riconfermato a partire dalle “navi dei veleni”.
Organizzazioni criminali che possono crescere ed estendere le loro ramificazioni in tutti i territori e in tutti i mercati perché godono di coperture, silenzi e complicità nelle strutture di potere pubbliche e private.

"Probabilmente stiamo parlando di un qualcosa che riapre anche la vicenda dell'uccisione di Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin. Stiamo parlando di uno dei fenomeni criminali più sofisticati e inquietanti della nostra storia recente" (ha dichiarato Walter Veltroni dopo l’incontro con Bruno Giordano, procuratore di Paola, a fine settembre 2009).

''Abbiamo avuto segnalazioni che consideriamo attendibili sui luoghi nei quali potrebbero essere nascoste queste scorie radioattive e così il 10 marzo andremo a fare delle verifiche in Calabria. Una parte di queste sostanze radioattive sulle cui tracce sarebbe stata anche la giornalista Ilaria Alpi, sarebbe stata sepolta in Italia, mentre un'altra parte in Somalia'' (da una dichiarazione all’ANSA di Gaetano Pecorella, presidente della commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti).
Una delegazione della commissione suddetta ha programmato anche un altro incontro con Francesco Fonti le cui dichiarazioni sono state alla base della riapertura del caso delle navi dei veleni e del probabile collegamento con l’uccisione di Ilaria e Miran.

«Per scoprire una delle navi di cui si è tanto parlato sono stati necessari 17 anni, ma alla fine si è venuti a capo di questa vicenda, quindi non c’è da scoraggiarsi». Lo ha detto il procuratore di Paola, Bruno Giordano, dopo che Luciana Alpi, in un’intervista pubblicata dal Manifesto aveva detto: “è ora che facciano veramente le indagini, noi non ne possiamo più, questo Stato ci ha trattato malissimo”.

Nei mesi scorsi su queste rivelazioni c’è stato un gran baccano: ne hanno parlato Procure, esperti, commissioni parlamentari, governo; giornali, interviste, trasmissioni televisive e poi?
E’ caduto un silenzio “agghiacciante”  e assordante . E non è la prima volta che accade.
In tutti questi anni appena ci si avvicinava alla verità ecco che si costruiva un depistaggio, un occultamento, bugie, carte false…
Per restare ai traffici illeciti basta ricordare che Francesco Fonti non è una scoperta del 2009. E’ un pentito di ‘ndrangheta che dal 1994 ha collaborato con la DDA di Reggio Calabria e che nel 2005 rende noto un “memoriale” con le informazioni ritornate alla ribalta di recente.
Si tratta di informazioni che aveva già rese note davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi (e anche a quella sul ciclo dei rifiuti) dopo che l’Espresso del 2 giugno 2005 pubblicava parti consistenti del memoriale con un titolo forte: "Parla un boss: così lo stato pagava la ‘ndrangheta per smaltire i rifiuti tossici".
Il 5 luglio 2005 Fonti racconta alla commissione: delle due navi della Shifco (una carica di rifiuti compresi fanghi di plutonio, l’altra di armi) che dall’Italia vanno in Somalia tra Mogadiscio e Bosaso (fine gennaio 1993); di un altro carico stessa destinazione nel 1987/1989; di Giancarlo Marocchino come persona che ha fornito gli automezzi da Mogadiscio a Bosaso; di altri nomi “interessanti” per l’inchiesta compresi quelli di chi ha trattato con lui (italiani e somali) e di chi si è occupato dell’occultamento dei carichi.
Ma tutto è stato messo in segretezza. E mettere il segreto, si sa, è un modo per occultare, impedire di indagare o peggio fare carte false.

Francesco Neri nell’audizione del 18.1.2005 davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi ha raccontato della sua indagine sui rifiuti tossici e sulle navi, iniziata nel 1994. Dice il dottor Neri ” Mi sono occupato dell’affondamento della “Rigel perché si legava a Comerio; durante la perquisizione che io feci a Garlasco nel suo studio, nel 1995, trovai nella sua agenda del 1987, nello stesso giorno in cui fu affondata la nave (il 21 ottobre 1987 n.d.r.), la scritta lost the ship, la nave è persa. L’unica nave nel mondo che era affondata quel giorno, accertai, era proprio la Rigel. Quindi, lui aveva avuto contezza dell’affondamento della Rigel. Alla Rigel poi si aggiunse la Jolly Rosso” (che il 14 dicembre 1990 si arenò sulla spiaggia di Amantea dopo un fallito tentativo di affondamento n.d.r.)
Il Pm Neri prosegue raccontando più dettagliatamente della perquisizione a casa di Comerio indicando i siti di affondamento per i quali Comerio dichiarava di aver ottenuto l’autorizzazione, tra i quali la Somalia, e dirà:
“Nella perquisizione trovammo queste due carpette: e la cosa che ci incuriosì più di ogni altra fu il ritrovamento del certificato di morte di Ilaria Alpi proprio nella carpetta della Somalia.”
Dice poi di aver inoltrato, per competenza, alla procura di Roma copia della parte relativa all’inchiesta sull’omicidio di Ilaria e Miran. Alla Procura di Roma non è arrivata, si è persa…..?

Le notizie rivelate sull’Espresso del 17 aprile 2008 sono clamorose
Il Pm Francesco Neri denuncia, infatti, la violazione del plico dove erano protetti i documenti scoperti da Natale De Grazia, il capitano di corvetta morto il 13 dicembre 1995 in circostanze mai chiarite, e la sparizione “di documenti di undici carpette numerate” compreso il certificato di morte di Ilaria Alpi rinvenuto durante quella perquisizione a casa di Giorgio Comerio, definito noto trafficante di armi, e coinvolto secondo gli investigatori nel piano per smaltire illecitamente rifiuti tossico nocivi che prevedeva la messa in custodia di rifiuti radioattivi delle centrali nucleari in appositi contenitori e il loro ammaramento. Il certificato era contenuto in una cartella di colore giallo intitolata “Somalia” insieme a corrispondenze sulle autorizzazioni richieste al governo somalo e con Ali Mahdi, ad altre informazioni su siti e modalità di smaltimento illegale di rifiuti radioattivi.

“Fatti gravissimi che richiedono l’intervento di magistrati e istituzioni;….chi ha avuto accesso a quella preziosa documentazione?” commentano con allarme Luciana e Giorgio Alpi.
Si può aggiungere che la commissione d’inchiesta presieduta dall’avvocato Taormina (che ha sostenuto che i due giornalisti sono forse eroi del giornalismo ma morti per caso mentre erano in vacanza!!) ha avuto accesso a tale documentazione, acquisendola anche, tramite alcuni consulenti che hanno riferito di non aver trovato il certificato di morte di Ilaria e altri documenti di cui il dottor Neri e altri magistrati avevano riferito in audizione. Anche questo aspetto va approfondito perché qualcuno poteva aver interesse a non trovare quei documenti …..o a farli sparire.

Sarebbe lunghissimo l’elenco degli indizi e anche delle prove che sono stati accumulati in questi anni e sorge spontaneo fare delle domande:
perché alla verità giudiziaria non si è ancora arrivati? Chi non vuole questa verità e quindi giustizia e perché?

Notizia recentissima: si può riaprire il processo per la morte di Ilaria e Miran.
Il dottor Maurizio Silvestri ha respinto la richiesta di archiviazione avanzata dal Pm Giancarlo Amato della Procura di Roma disponendo invece l’imputazione coatta per il reato di calunnia per Ali Rage Hamed detto Jelle, testimone d’accusa chiave nei confronti di Hashi Omar Hassan in carcere da dieci anni dopo la condanna definitiva a 26 anni. Un procedimento controverso per la diversità delle sentenze (innocente colpevole) e che forse dà ragione a chi ha scritto (anche in una sentenza) che si è voluto costruire in Hashi un capro espiatorio. Ci sono testimoni che hanno dichiarato che Jelle non era presente sul luogo del duplice omicidio; Jelle non ha testimoniato al processo (era già “irreperibile”) e dunque non ha riconosciuto in aula Hashi; c’è una conversazione telefonica registrata in cui Jelle dichiara di essere stato indotto ad accusare Hashi ma di voler ritrattare e raccontare la verità.

Ci sono documenti, testimonianze, informative, inchieste: un materiale enorme, accumulato in 16 anni dalle inchieste giornalistiche, della magistratura, delle commissioni d’inchiesta parlamentari e governative, che “custodisce” le prove. Cercarle con determinazione è un dovere della magistratura e delle istituzioni.


Ilaria. nel film “Il più crudele dei giorni” ad un certo punto con sullo sfondo la strada Garoe Bosaso, costruita con i fondi della cooperazione italiana dice:

“Per darvi un’idea di quanto sia utile spendere centinaia di miliardi della cooperazione in Somalia ecco…questa è la strada Garoe Bosaso una strada…che almeno è servita per coprire ogni sorta di porcherie tossiche e radioattive che l’occidente ha la buona abitudine di affidare a questi poveri disgraziati del terzo mondo, tutto con la complicità di politici, militari, servizi segreti, faccendieri italiani e somali….
“Io so. Io so e so anche i nomi e adesso ho anche le prove”.

*portavoce Associazione Ilaria Alpi ( tratto da www.ilariaalpi.it)

Domani, sabato 20 marzo 2010, l'associazione ILARIA ALPI porterà a Milano in occasione della "XV Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie" organizzata dall'associazione Libera, uno stendardo con l'immagine di ILARIA E MIRAN. Mentre sul palco gli studenti leggeranno un testo scritto insieme a Giorgio e Luciana Alpi da Mariangela Gritta Grainer,  una testimonianza per ricordare Ilaria.

 


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