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L'isola dei lavori forzati
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di Roberto Secci

L'isola dei lavori forzati

L'acqua potabile è scarsa, il cibo è razionato, si dorme spesso nelle tende e i sacchi a pelo non bastano per tutti. Meglio non parlare dei bagni, o meglio delle latrine di fortuna: sono solo quattro per 54 persone. La zona è paludosa e non ci sono zanzariere. Gli spostamenti in barca sono pericolosi e spesso si finisce in infermeria per le scosse e le ondate. Ed è così che si deve vivere per quattro mesi, lontano da casa, per una paga di 120 euro lordi al giorno, succeda quel che succeda, senza diaria o extra che tengano. È questa "L'Isola dei famosi" dietro le quinte secondo le accuse di chi ci lavora: i tecnici, gli elettricisti, i cameraman che da metà febbraio vivono nell'arcipelago Las Perlas, costa atlantica del Nicaragua.

Assunti a progetto da due diversi service, a loro volta pagati dalla Magnolia di Giorgio Gori che fornisce il programma alla Rai chiavi in mano, i tecnici che coprono integralmente i servizi dall'Isola (RaiDue, una media di cinque milioni di spettatori e del 20 per cento di share), hanno firmato tutti un contratto standard che prevede un compenso "onnicomprensivo di qualsiasi disagio". Peccato che, arrivando, abbiano scoperto che per "disagio" si intenda praticamente tutto: condizioni estreme di lavoro, mancanza di sicurezza e di assistenza, alimentazione insufficiente e condizioni igieniche che nessuna produzione si sognerebbe mai di imporre in Italia.

Così, vincendo la paura di ritorsioni, alcuni di loro si sono rivolti via mail a una piccola e neonata associazione sindacale, la Clb, che ha provato a vederci chiaro e alla fine ha raccolto una fitta documentazione dal Nicaragua: "Quando abbiamo ricevuto la segnalazione del primo lavoratore che ha avuto il coraggio di alzare la testa, abbiamo capito subito la gravità della situazione", spiega Stefano Bacci, presidente della Clb: "E ci siamo detti che bisognava uscire allo scoperto, sfidando la paura di perdere possibilità di lavoro nel futuro. Qui si tratta di professionisti qualificati che operano per un programma dai budget milionari. Se non si mettono dei paletti da adesso, il futuro non potrà che essere un buco nero". Ed è così che la Clb si è rivolta a "L'espresso" per far conoscere il backstage del reality condotto da Simona Ventura, giunto ormai alla settima edizione, mantenendo sempre buonirisultati d'ascolto.

Le sorprese a Corn Island, dove è stata installata la base logistica, sono state tante fin dall'inizio e nessuna era stata anticipata alla partenza dall'Italia. La zona è circondata da una palude putrida, infestata dagli insetti. Mancano i posti letto, solo i più fortunati hanno potuto prendere possesso di una casetta di legno prefabbricata (senza zanzariere alle finestre) che ospita cinque persone su brandine di fortuna alcune delle quali hanno ceduto dopo le prime notti. Gli altri si sono dovuti accontentare di dormire in tenda. "Ma senza un sacco a pelo personale: quindi il primo che arriva si sdraia dove capita", dice Bacci: "Nei campi attorno gli abitanti bruciano di tutto, a partire dalla plastica, ma anche Eternit sui tetti: e così si respira diossina". I cosiddetti bagni sono dei cubicoli in compensato all'aperto che defluiscono tutti in un tubo di scarico da 15 millimetri. Il risultato è un odore insopportabile, che si propaga in tutta la zona. Una mattina, al cayo, il custode del luogo è stato salvato con un provvidenziale calcio dalla folgorazione elettrica, dopo che aveva tentato di attaccare cavi con gruppo acceso e in potenza. "È rimasto intontito, non si ricordava neppure il suo nome", dice Bacci. Il cibo è razionato e si mangia solo quando lo stabilisce la produzione, non quando si ha fame. La carne viene servita raramente e con estrema parsimonia. Se per sbaglio una porzione viene data in misura più abbondante arriva prontamente un addetto a togliere l'eccesso.

I sandwich sono due fette sottili di pane da toast con una frittata esangue. Le bibite solo due, per tutta la giornata. In camera, o durante le riprese, l'acqua extra si paga. "Oggi abbiamo lavorato tutto il giorno sotto il sole con un po' d'acqua in un boccione da 50 litri, ovviamente senza bicchieri", scrive un tecnico il 20 marzo: "Il pranzo previsto per le 14.30 non è mai arrivato. Alle 17.30, quando sono rientrato, c'era rimasta solo un po' di pasta e due pezzettini di pollo, cibo che ormai mangiamo da 20 giorni".

Beatrice Dondi L'Espresso


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