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Articolo 21 - Editoriali
Lettere iraniane. Il caso Nagdhi
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di Nella Condorelli

Venerdi 15 luglio, Tribunale di Roma, prima Corte dâ??Assise, ore 9,30. Il presidente della Corte Francesco Amato apre lâ??udienza, la terza, del processo per lâ??assassinio dellâ??iraniano Mohammad Hussein Nagdhi, avvenuto nella capitale il 16 marzo 1993. Nellâ??aula circolare, appena oscurata da tende sfilacciate, il caldo estenuante dellâ??estate romana stende veli di appiccicosa afa sul banco dei giudici, su quello dei testimoni, sulle panche degli avvocati, sulla gabbia dove dovrebbe sedere lâ??imputato, Bozorgian Amir Mansur Assl, se non fosse latitante. Vuota, stamane, è anche la panca dellâ??avvocato difensore, nominato dâ??ufficio un mese fa.
Presa visione dellâ??assenza della difesa, il presidente Amato rinvia lâ??udienza al prossimo 25 ottobre.  La troupe RAI de â??Un giorno in preturaâ?, qui per una puntata speciale in onda il prossimo inverno, spegne i microfoni; il Pm Franco Ionta chiude il dossier, gli avvocati di parte civile Carlo Taormina e Paolo Sodani si allontanano verso altri processi. Dietro le transenne, rimane solo una piccola pattuglia di donne e uomini dallâ??accento straniero. Bisbigli strascicati fondono italiano e parsi,  in una doppia e inestricabile lingua.
Il terzo atto del processo Nagdhi, durato mezzâ??ora appena, finisce qui. Se non fosse per il numero consistente di poliziotti che continuano a presidiare il corridoio del Tribunale, mentre lâ??aula è già quasi vuota, potremmo pensare di essere di fronte ad un qualunque processo per omicidio. Di quelli che finiscono sulla cronaca cittadina con un trafiletto appena. Invece, così non è: questo, è un processo molto speciale, così come molto speciali sono i suoi protagonisti e gli scenari in cui si mossero e continuano a muoversi, in una trama popolata di valigie diplomatiche, intrighi internazionali, fuoriusciti politici, terroristi fanatici, e uomini-ombra. Sembrerebbe tratta da un libro di Le Carré, se non fosse che qui câ??è morte vera, e veri dolore, rabbia, tradimento, resistenza, speranza di giustizia. Insieme a ripercussioni politiche direttamente al cuore delle relazioni Occidente-Islam.
Scene da un processo. Il processo Naghdi prende il via nel lontano 1996, anno in cui il PM Ionta, dopo lunghe  indagini, apre lâ??udienza preliminare rinviando a giudizio lâ??iraniano Hamid Parandeh quale esecutore materiale dellâ??assassinio, e tre complici: un iraniano e due algerini. Ma Parandeh non può essere arrestato e tanto meno processato: lâ??uomo gode infatti dellâ??immunità diplomatica in quanto addetto dellâ??ambasciata iraniana in Italia prima, poi presso la Santa Sede.
Il processo Naghdi si trasforma nel caso Naghdi, e nei fatti si smorza. Bisognerà arrivare allâ??inizio di questâ??anno quando un fatto nuovo, sul piano internazionale, fa da volano alla ripresa delle udienze, nove anni dopo quellâ??incriminazione: nel corso di un procedimento giudiziario che si sta svolgendo in Austria per lâ??omicidio di due rappresentanti curdi della Resistenza Iraniana in esilio, avvenuto sempre negli Anni Novanta, lâ??imputato Bozorgian ha dichiarato di voler testimoniare anche sullâ??omicidio romano. Farà i nomi dei mandanti, e sono tutti nomi eccellenti. Bozorgian infatti non è uno qualunque: dirigente dei servizi segreti della repubblica degli ayatollah, ne conosce da venticinque anni sussurri e grida.
Verità e giustizia, finalmente a portata di mano? Intervenendo al dibattito â?? I duri al potere. La politica di fronte all'Iran e alla Resistenza Iraniana, 12 anni dopo l'uccisione di Mohammad Hossein Naghdi ', Giovanni Bianchi de La Margherita, Giovanni Russo Spena e Alfonso Gianni di Rifondazione Comunista, rappresentanti del comitato di sostegno composto da parlamentari dellâ??opposizione e della maggioranza, hanno intanto chiesto agli organismi competenti a mettere a disposizione del Tribunale di Roma tutti i documenti e le informazioni utili per lâ??accertamento dei fatti, chiedendo di esserne anche informati in copia.

Chi era Mohammad Hussein Naghdi? Nato a Yadz nel 1951, laureato in Geologia, giovane brillante e colto, acceso nazionalista, oppositore della politica dello Shah e per questo più volte arrestato e imprigionato, Naghdi fa parte del gruppo di giovani intellettuali che negli anni Settanta, nella Teheran modello Palevi, contesta lo Shah e prepara la rivoluzione. Nel nome dellâ??identità nazionale, e del riscatto da un passato-presente di ingerenza straniera mal tollerato in un Paese glorioso e raffinato come la Persia, già protagonista, negli anni Cinquanta, con il grande statista Mosaddeq, di unâ??intensa stagione di lotte per lâ??indipendenza, e di riforme sociali per la democratizzazione del Paese.
â??Nel salotto di casa Naghdi si incontravano tutti i capi della nuova rivoluzione; fu lì che Hashem Rafsanijani tenne la prima predica politica; Mohammad era il suo pupillo, tra i giovani più appassionati e preparatiâ? â?? ha raccontato Ferminia Moroni, la sua compagna, durante la seconda udienza del processo, rispondendo alle domande del Pm Ionta - â??per questo, dopo la caduta dello Shah, già nel 1980, il governo degli ayatollah gli aveva affidato subito importanti incarichi istituzionali, prima al ministero dell'Energia Atomica, poi come incaricato d'affari ad interim all'Ambasciata dell'Iran in Italia.â?.   
Quando verrà assassinato, nel 1993, in una via di Roma, il giovane, brillante funzionario dâ??ambasciata è già da anni unâ??altra persona.  Nel 1982, ha pubblicamente dato le dimissioni, denunciando le violazioni dei diritti umani del regime komeinista. Poi, con un comunicato stampa, ha confermato la propria condizione di dissidente politico, annunciando lâ??adesione al Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana in esilio. Da undici anni, Naghdi è quindi il più alto rappresentante in Italia del.CNRI, tratta con politici e uomini di governo, e pochi mesi prima di morire, è riuscito a far firmare una petizione a 377 parlamentari per il riconoscimento del CNRI e lâ??isolamento del governo di Teheran, dove la rivoluzione si è trasformata in terrore, tramutando lâ??utopia in incubo collettivo.
Lo uccidono una mattina di quasi primavera, poco lontano dalla sede ufficiale del CNRI, scaricandogli addosso lâ??intero caricatore di una Skorpion 7/65, munita di silenziatore e con la matricola abrasa. Lo uccidono, su territorio italiano, in nome di una fatwa di morte emessa contro di lui in quel lontano 1982, una fatwa di cui tutti sanno, amici e nemici, avversari e compagni di lotta, forze dellâ??ordine e istituzioni.  
Nel sistema politico-religioso del Velayat al-Faghih, ovvero il Regno del Giusperito, edificato in Iran da Komeini dopo la rivoluzione, la fatwa di morte è una condanna capitale senza appello che un solo uomo può emettere: il Faghih appunto, ovvero il Giusperito di diritto islamico, ovvero il Capo Supremo della Rivoluzione, la Guida Spirituale.
Quando nel 1993, la fatwa contro Nagdhi viene eseguita, Komeini - il Faghih che lâ??ha emessa undici anni prima - è morto da anni; sul trono del Regno del Giusperito siede il suo successore, Ali Kamenei, e Hashem Rafsanjani è presidente della Repubblica. Quale filo oppone ancora il vecchio mentore al pupillo di un tempo? Quali antiche rabbie, quali illusioni sconfitte, quali nuovi incantatori? 
Per rispondere a queste domande, tutte dentro e fuori le carte processuali, ci sono forse molte piste, ma solo una in particolare può aiutarci a capire tanto il processo quanto la sua effettiva portata politica e i riflessi, nazionali e internazionali, sulle relazioni con la Repubblica Teocratica dellâ??Iran e sullâ??intera questione mediorientale. Eâ?? una pista che coniuga Storia e Memoria, risalendo il secolo Novecento, sino agli anni Settanta dellâ??Iran ed ai suoi protagonisti: la generazione politica dei ventenni di allora, la rivoluzione popolare del 1979, il ritorno degli ayatollah, mentre il mondo è ancora conteso tra due blocchi, e gli ultimi sussulti del colonialismo europeo, dal Mediterraneo allâ??Oceano Indiano, paiono annunciare lâ??affermazione definitiva dellâ??autodeterminazione e dellâ??indipendenza dei popoli.

Parigi, febbraio 1979. Sono appena salita sul Boeing in volo da Parigi a Teheran, e davanti a me vedo soltanto una lunga, solitaria sfilata di mullah. Questo è lâ??aereo che sta riportando in patria Ruhollah Komeini. Sta seduto in prima fila, il grande ayatollah, eletto dai contestatori in patria a simbolo della rivolta nazionale ed identitaria contro la politica dello Shah Palevi. Centinaia di turbanti neri accompagnano adesso il suo ritorno a casa dallâ??esilio. Nel ricordo di oggi, li rammento più paciosi che austeri, questi mullah, e mi rivedo ad osservarne le facce piene, le mani lisce e senza calli, mentre ripenso alle concitate fasi della partenza nel cortile della villetta della banlieu parigina, dove giovanissimi pasdaran armati di mitra, facce dure, barbette curate, ci hanno convocato in piena notte. Risento le voci, le grida, i comandi secchi allâ??imbarco, lâ??indifferenza sprezzante che avvolge le proteste dei tanti, troppi, giornalisti esclusi allâ??appello.  Adesso sto acquattata in fondo allâ??aereo, ultima fila, tra gli inviati di Paese Sera e del Tg2. Entriamo nello spazio aereo iraniano, quattro MIG ci vengono incontro e scortano lâ??aereo che vola basso. Ecco lâ??aeroporto di Teheran, oltre le cime innevate dei monti Elburz; ecco la folla in attesa, immensa, che ondeggia come unâ??oceano sotto la più tremenda delle tempeste. In mezzo ci sono anche loro, i giovani delle Università e dei movimenti di contestazione, gli organizzatori della rivolta popolare contro lo Shah, gli autori della celeberrima libera stampa dei bazaar. Un clamore senza pari ci esplode addosso, â??Allah oâ??Akbarâ?, Komeini è a Teheran. Mi affaccio dalla porta posteriore, e lo guardo mentre fissa dallâ??alto della scaletta la folla convulsa che grida, inneggia e circonda a perdita dâ??occhio lâ??aereo. Eâ?? altero e distaccato, comâ??era nella villetta dellâ??esilio parigino.
Un attimo, tanto mi parrà poi nel ricordo il tempo trascorso prima che anche a noi fosse concesso di scendere a terra, in unâ??aeroporto desolatamente vuoto che della folla corsa dietro il suo ayatollah conservava soltanto qualche nuvola di polvere.

Sono tornata ancora in Iran, ho abitato in case povere con prime e seconde mogli ed in case borghesi del tutto simili alle nostre; ho visto città e palazzi imperiali di stupefacente bellezza, ho visitato bazaar preziosi e brutte moschee di calce e cemento. Ho udito i fanciulli recitare poesie sufi, con occhi pieni di lacrime, accanto ai mausolei dei grandi santi, ed ho guardato le aspre valli aspre di Alamut,  cercando di indovinarvi lo spirito del Vecchio della Montagna. Ad Isfahan, un guardiano di un palazzo-museo mi ha mostrato da un buco i magnifici affreschi della vita di corte nei secoli dâ??oro dellâ??Islam, metri e metri di inno alla gioia, alla vita ed alla bontà di Dio, seppelliti sotto sacchi dâ??immondizia malamente inchiodati. Ho seguito lâ??utopia politica delle libere ragazze velate di Qom, di Mashhad, di Yadz, di Teheran e dei loro compagni, lâ??ho vista trasformarsi in scontro, terrore e morte, poi fuggire via oltre le montagne dellâ??Azerbijan e le valli curde, oltre Ankara, verso lâ??Austria, la Svizzera, la Francia, lâ??Italia, il continente americano, e ancora combattersi, senza esclusione di colpi,  nellâ??intricato, infido groviglio che da venticinque anni  oppone corpo a corpo komeinisti e anti-komeinisti, la repubblica dei turbanti e la sua generazione tradita, nel nome dellâ??Islam velato e di quale democrazia.

Lunedì 30 maggio, Tribunale di Roma, prima corte dâ??Assise, seconda udienza del processo Nagdhi. La prima cosa che colpisce, guardando Ferminia Moroni seduta al banco dei testimoni, ed ascoltando la sua voce mentre risponde alle domande di giudici ed avvocati, è la sopravvivenza del suo intatto dolore. Emerge dalle sue parole, in ogni parola, e capisci che questa donna esile protegge dietro brandelli di frasi, memorie private e politiche, ma soprattutto la sua pena. 
"Io e Mohammad ci mettemmo insieme a Teheran nella primavera del '76, eravamo entrambi studenti universitari,  io mi specializzavo in parsi, lui era anche un fervente patriota, arrestato e imprigionato più volte dalla polizia segreta dello Shah per la sua attività di dissidente politico. Venimmo a Roma nel 1980, un anno dopo la rivoluzione, ma Mohammad era di stoffa diversa dalla nomenklatura arrivata al potere, entrava spesso in contrasto con lâ??ambasciata. Una domenica, ricordo, lo sequestrarono per un giorno intero; gli chiedevano di controllare i dissidenti, i rifugiati politici. Poi, nel 1982, ci arrivò la notizia che un suo fratello minore era stato arrestato e giustiziato dai pasdaran. Loro a Teheran uccidevano persone come fossero formiche, a volte solo per fare pressione su altri familiari.  La morte del fratello fu la ragione scatenante del suo passaggio con la Resistenza.â?.
" Tre giorni prima del suo assassinio, la sera del 13 marzo 1993, due uomini ci vennero quasi addosso mentre passeggiavamo per strada, mano nella mano. Mohammad si innervosì molto, non parlammo, ma io ero piena dâ??inquietudine: quei due erano militanti del Partito di Dio, gli hebzollah, il braccio politico del sistema komeinista; li avevo riconosciuti subito, a causa del taglio della barba. Da tre anni tutti sapevano che si stava preparando un attentato contro Mohammad, la notizia dellâ??esecuzione della fatwa gli era stata comunicata con una telefonata anonima, il 15 maggio del '90.â?. 
â??La mattina del 16 marzo stavo a casa, lui era uscito per tempo, come ogni giorno. Squillò il telefono, era quasi lâ??ora di pranzo, udii una voce maschile sconosciuta, mi disse che chiamava dagli Stati Uniti: â?? vai allâ??ospedale, corri perché tuo marito è stato uccisoâ?. Sul taxi, piangevo e pregavo lâ??autista di fare in fretta: â??corra, la prego, mio marito è stato assassinatoâ?; lui cercava di calmarmi: â??stia tranquilla, signora, se ci fosse stata una sparatoria, la radio ne avrebbe parlatoâ?. Giungemmo allâ??ospedale, câ??erano carabinieri e polizia, â??è successo qualcosa?â?, chiesi. Eâ?? morto uno straniero, un iraniano, un politico, risposero. â?? Vede, dissi al tassista, avevo ragione io: mio marito è stato ammazzato.â?. 

Esecuzioni sommarie, arresti indiscriminati, torture e sparizioni. La prima ondata di repressione selvaggia contro la dissidenza interna scoppia a Teheran nel 1982, dopo la grandi manifestazioni di piazza contro la svolta autoritaria del gruppo komeinista. I dissidenti che riescono a scappare, fondano in Francia il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana. Eâ?? a partire da questi anni, che il CNRI inizia il suo percorso di forza politica dâ??opposizione democratica, in esilio nelle città europee, americane ed australiane. Lo compongono tutti i partiti messi fuorilegge dal regime iraniano, dagli islamo-marxisti, i Mujaedhin del Popolo forza egemone, ai liberali ed ai vecchi sostenitori dello Shah e della sua politica. IL CNRI denuncia il tradimento dello spirito originario della rivoluzione, il terrorismo di stato del regime dei mullah e la sua esportazione allâ??estero. Passo dopo passo, avvierà unâ??insistente iniziativa sullo scivoloso terreno delle relazioni diplomatiche, con il difficile obiettivo di piazzarsi tra Stati Uniti e Unione europea come forza moderata, interlocutrice affidabile del futuro dellâ??Iran.
Passano gli anni Ottanta, nuovi eventi mescolano le pedine dello scacchiere medio-orientale; il mondo adesso è un blocco unico, ma sfilacciato e la logica del profitto globale risponde con lâ??arma della guerra preventiva alle istanze della politica negata. Anche il governo di Teheran ha fatto il suo percorso. Stretto tra lâ??ossessione del Partito di Dio e la mistica dellâ??esportazione della rivoluzione islamica, con annessa conversione forzata e appelli allo jiad dei martiri, è divenuto allâ??interno sempre più sospettoso, autoritario, repressivo. Debole come i vecchi, e punitivo come i patriarchi, divora i suoi stessi figli, i migliori, i più giovani. Alla fine degli anni Novanta, sono 350 i dirigenti del CNRI raggiunti ed assassinati come Naghdi in qualche città europea, e centocinquantamila i dissidenti interni torturati e giustiziati dai plotoni di esecuzione dei pasdaran e dei basij, in ottemperanza alla fatwa di morte lanciata contro di loro dal Giusperito Komeini. Sono tutti giovani, età media venticinque anni, titolo di studio superiore, e tra loro ci sono migliaia di ragazze, molte incinte, stato che non gli ha risparmiato né la tortura né la morte.
Poche, ma significative, le sentenze emesse in Europa contro i delitti commessi nelle città del Vecchio Continente. Di mezzo, ci sono anche interessi economici, paura, sospetti, petrolio e sangue. Emerge comunque, su tutte, la sentenza con cui il Tribunale di Berlino ha chiesto poco tempo addietro lâ??arresto di Khamenei, Guida Suprema, Rafsanijani, già presidente della Repubblica, Velayati ministro degli Affari Esteri, e Fallahian ministro delle Informazioni, in qualità di mandanti dellâ??omicidio di quattro esponenti curdi del CNRI assassinati in Germania.
Da quando è stato eletto presidente della repubblica, nuove, giornaliere rivelazioni, piovono anche su Mamhud Ahmadinejad: avrebbe operato come  ufficiale superiore della brigata speciale dei pasdaran nella guarnigione Ramazan, situata vicino a Kermanshah, nell'ovest dell'Iran, dove era allocata la base principale delle "operazioni extraterritoriali" dei guardiani della rivoluzione.  La notizia, apparsa sul quotidiano di Praga â?? Pravoâ?, è accompagnata da quella sulle implicazioni di Ahmadinejad nella morte del capo kurdo Abdol-Rahman  Ghassemlou, fondatore del Partito Democratico Curdo Iraniano, ucciso da  alti ufficiali  della Sepah Passdaran in un appartamento a Vienna nel luglio 1989.


Dalla stampa di Térhan del mese di luglio 2005. Agenzia IRNA - La Guida Suprema Ali Khamenei ha affidato a un ex comandante dei Guardiani della Rivoluzione l'incarico di capo della polizia. Si tratta del generale di brigata Esmail Ahmadi-Moqaddam, 44 anni, che ha annunciato subito una nuova operazione di repressione nei confronti di â??esempi flagranti di depravazione nei luoghi turistici e di svagoâ? della capitale e dintorni. Nel mirino, in particolare, â??le donne non velate o mal coperte, lâ??inquinamento sonoro, i locali pubblici in cui i valori islamici e la moralità sono calpestati.â?.
Agenzia degli Studenti ISNA - L'operazione intende anche recuperare â??le giovani donne in fuga e le donne erranti, oltre a identificare i luoghi di riunione delle persone deviate.â? 
Agenzia IRNA - Un ospedale di Térhan di proprietà dei Pasdaran, rifiuta lâ??entrata alle donne che non indossano il chador integrale. Davanti il nosocomio, è stato istituito uno speciale servizio delle Guardie della Sicurezza con il compito di controllare lâ??abbigliamento e arrestare le mal velate indipendentemente dallo stato di salute. 
Quotidiano Shargh   - Secondo il generale dei Guardiani della Rivoluzione,  Ghalibaf, 20 milioni di iraniani vivono sotto la soglia della povertà e soffrono la fame. In un discorso pronunciato nella città di Kerman, poco prima delle elezioni presidenziali,  Ghalibaf ha dichiarato che questa è â??una cifra che colpisce per un Paese il cui scantinato contiene altrettante ricchezze naturali.â?.
Agenzia IRNA - Nel 2003 sono state eseguite in Iran 154 condanne capitali e nel 2004, 197. A gennaio 2005, ben trenta dei condannati a morte del carcere Rajahishah di Tèhran avevano meno di 18 anni al momento del reato. In Iran la pena di morte è prevista per omicidio, rapina a mano armata, stupro, blasfemia, apostasia, cospirazione contro il Governo, adulterio, prostituzione, omosessualità, reati legati alla droga.
Agenzia IRNA â?? Un uomo di 28 anni è stato condannato alla cecità perpetua. Il Tribunale ha deciso che lâ??estrazione dei globi oculari verrà effettuata medicalmente, presso una struttura ospedaliera. 
News DONNEIRAN -  Dal 1998 ed oggi 16 donne sono state lapidate; 20.000 ragazzine nella sola Térhan sono scomparse di casa, e si sospetta siano state rapite per alimentare il fiorente mercato delle schiavitù sessuale nei Paesi del Golfo. Una iraniana su quattro soffre di disturbi depressivi e la percentuale di suicidi femminili è fra le più alte nel mondo.
Voci dai BLOG: Nel corso degli ultimi venticinque anni, il consumo di oppio in Iran si è triplicato, come il numero delle donne casalinghe dedite agli stupefacenti.

 

 

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