di Vittorio Emiliani
Strana questa Rai dei diritti sportivi: da una parte dice di essere contenta di aver rinunciato, a quelle condizioni, al Campionato di calcio di Serie A, dallâ??altra preannuncia azioni legali per unâ??asta ritenuta falsata da accordi precedenti e con un costo di partenza troppo oneroso (asta che, con Galliani arbitro, ha favorito Mediaset in cerca di partite importanti dopo la perdita della Championâ??s League). Strana questa Rai che offre 100 euro simbolici e si accontenta della Coppa Italia, della radio e, probabilmente, della Serie B dove era in concorrenza con Sportitalia.
Abbiamo centrato gli obiettivi strategici», proclama il direttore dei diritti sportivi, Antonio Marano. Ma la Coppa Italia, per quanto rinnovata nella formula, di fatto interessa pochino e soprattutto non potrà â??nutrireâ? le trasmissioni televisive di intrattenimento che, in Rai, da anni o da decenni venivano invece vitaminizzate dai collegamenti diretti con gli stadi, dai dopo-partita, dai gol a unâ??ora, o poco più (in chiaro) dalla fine delle partite di A, e da altro ancora. Niente più collegamenti dall'interno degli stadi con gli inviati molto speciali (anche se meno divertenti dellâ??epoca di Fazio, come il parterre degli ospiti, d'altronde) di «Quelli che il calcio». Niente più spogliatoi e interviste a caldo per «Stadio Sprint», anche perché Mediaset â??condirà â? a dovere le sue dirette. Sparisce «90° minuto» che non consentirà più alla già declinante «Domenica in» di reggere la competizione con «Buona Domenica» (la quale, al contrario, incorporerà il calcio maggiore).
Niente gol neppure per «Domenica Sprint». Si sfarina la colonna portante dei palinsesti domenicali già non brillantissimi rispetto a pochi anni or sono. Per i grandi ascolti del giorno di festa, rimane, finché câ??è, la Formula 1 che però è molto meno varia e meno â??umanaâ? del calcio, nonché molto più concentrata nel tempo.
Sul «Corriere della Sera» Aldo Grasso ha ventilato due ipotesi. Una di tipo complottistico: câ??è stato un patto di non belligeranza di tipo â??politicoâ?, alla vigilia della nomina del ticket Petruccioli-Meocci, noi Rai vi lasciamo tacitamente la Serie A e voi così vi rifate della perdita della Championâ??s. Unâ??altra purtroppo molto più banale, e più probabile: il management dellâ??azienda pubblica radiotelevisiva non è stato, non è allâ??altezza dei propri compiti. Come non lo è stata sin qui la gestione giornalistica dei diritti, noiosa e ripetitiva (al pari del suo direttore Fabrizio Maffei, del resto). Si pensi soltanto alla inarrestabile decadenza della «Domenica sportiva». Il comparto strategico dei diritti sportivi lo regge, dâ??altro canto, quello stesso Antonio Marano il quale ha affossato, da direttore, Raidue, venendo sollevato dallâ??incarico, ora conferito, peraltro, ad un altro leghista doc, Massimo Ferrario, il cui unico titolo di merito era la presidenza, per la Lega Nord, della Provincia di Varese (che peraltro ha dato i natali allâ??Umberto Bossi).
Se si sommano i milioni di euro che la Rai ha investito nel calcio, per portare a casa la Coppa Italia, cioè una coppetta, la serie B, i diritti radiofonici (ma ogni radio privata si fa ormai i suoi bravi collegamenti diretti quando e come vuole) e la Championâ??s 2006-2009, ne vengono fuori, per ogni stagione, oltre 80 milioni di euro. Non poco. Ai quali vanno aggiunti, come investimento, 90 milioni per venticinque partite del Mondiali 2006 e altri 350 milioni per quelli 2010 e 2014: In questâ??ultimo caso il prezzo è alto e soprattutto non si sa quale sarà lo stadio dellâ??evoluzione tecnologica fra cinque e nove anni. Una cifra più che impegnativa. Strana gestione dei diritti del calcio, che paga tanto eventi lontani e si ritira dalla competizione per quelli così vicini, oltre che â??storicamenteâ? suoi. Ha ragione Bruno Pizzul: «Per la Rai â??90° minutoâ? era una trasmissione-simbolo».
Certo, ancor più strana e tutta, o soltanto, italiana la gestione della Lega Calcio e del suo presidente Adriano Galliani, uomo vicino a Berlusconi come pochi altri, e che prima concorda con la Rai una cifra per la Serie A e poi ci ripensa, spacchetta i diritti, indice unâ??asta che non è più unâ??asta e la organizza di gran carriera, in modo tale da creare le condizioni per la vittoria del presidente del Consiglio il quale è proprietario di Mediaset e pure, tramite il Tesoro, della Rai. Su «Repubblica», rispondendo a Giovanni Valentini, il rampollo di casa Berlusconi, Piersilvio, parlava, lâ??altro ieri, con dispetto e fastidio del conflitto di interessi paterno. Come se si trattasse, suppergiù, di una malevola invenzione delle sinistre. Così va lâ??Italia. Diventa una calunnia dellâ??opposizione politica ciò che in qualsiasi Paese di democrazia avanzata sarebbe uno scandalo quotidiano. La blandissima legge sul conflitto di interesse approvata dal centrodestra ha avuto quale unica (dolorosa, immagino) conseguenza le dimissioni di Silvio Berlusconi da presidente del Milan. Del quale continua ad occuparsi in qualità di tuttofare e i cui diritti per il campionato adesso piovono ora, con gli altri, su Arcore. Per caso.
Poi si può anche dire, per esempio, che il calcio, a parte la Nazionale, non rientra forse strettamente fra i compiti del servizio pubblico televisivo. Ma, in tal caso, bisognerebbe presentare agli abbonati dei palinsesti di ben altro spessore culturale e creativo. Tali da giustificare anche quel canone di nemmeno 100 euro lâ??anno. In ogni caso è una bella gatta da pelare, questa dei diritti perduti del calcio di serie A, che il nuovo presidente e il prossimo direttore generale si trovano fra le mani. E per pelarla, ci vorrebbe forse un di più di cultura aziendale, di esperienza manageriale specifica. Se il dg sarà Alfredo Mocci, non câ??è dubbio che si tratterà di un altro politico di ritorno, spedito in Rai da Berlusconi stesso dopo essere stato allâ??Authority e alla Camera come Ccd (oggi però lâ??Udc lo considera in quota Forza Italia). Nellâ??odierno CdA della Rai i parlamentari, cioè i politici, risultano 5 su 9 (uno, Urbani, è un ex ministro dimessosi per lâ??occasione).
Dâ??accordo che lâ??infausta legge Gasparri portava anche a questo rafforzamento della cinghia di trasmissione, ma quasi tutti i partiti ci si sono come tuffati dentro. Anche quelli che lâ??avevano avversata e che affermano di volerla, dopo le elezioni, cambiare radicalmente, o addirittura abrogare. Aggiungiamoci un direttore generale espresso in forza di un ferreo accordo politico, e non ne verranno certo potenziati in Rai la carica aziendalistica, lo spessore manageriale. Invece più che mai indispensabili, visto che gli ascolti vanno di peste. Negli ultimi dieci giorni la Rai non ha vinto un solo confronto con Mediaset, né nell'intera giornata, né in prima serata, scendendo anche sotto il 38 per cento di share (lunedì 25 luglio, perfino sotto il 37).
La perdita dei diritti del calcio di Serie A promette, oggettivamente, unâ??altra autentica emorragia di ascolti. Urgono idee, progetti, programmi alternativi, uomini nuovi (o il pronto ritorno di quelli â??vecchiâ? messi da parte, in tanti ormai). Con quale management, con quale idea di televisione, di servizio pubblico? Non potremo che saperlo molto presto.