Articolo 21 - Editoriali
L'economia versa in una crisi molto seria
di Vincenzo Vita
L'Italia è in una situazione davvero grave. L'economia versa in una crisi molto seria, con un netto spostamento delle risorse dalle attività produttive a quelle finanziarie e speculative. E' in atto un mutamento di pelle del nostro capitalismo o, meglio, ci si prova. Del resto, al di là degli aspetti inquietanti emersi dalle intercettazioni telefoniche, le vicende che hanno coinvolto Fazio, Fiorani, Ricucci parlano chiaro. Capitalismo-casinò lo chiamò qualche anno fa, nella stagione delle Opa e della new economy, un famoso economista. Ora, in un periodo così critico, tutto questo assume degli aspetti inquietanti per lo stesso sistema delle relazioni democratiche.
Per fortuna Carlo De Benedetti è tornato sui suoi passi dopo l'annunciato sodalizio con Berlusconi. Cosa voleva significare quell'intesa non si sa, né l'ha chiarito davvero il protagonista, sommerso dalle proteste. Forse anche un simile curioso (?) avvenimento va ascritto al clima, al contesto in cui ci troviamo. Di tale quadro la perla, il sintomo clamoroso era e rimane l'incredibile storia della Rai.
Lasciamo stare la figura del presidente, Claudio Petruccioli, che ha avuto un vasto gradimento e cui guardiamo con molte speranze (a cominciare dal ripristino del pluralismo, con il rientro di Biagi, Santoro e degli altri censurati). Lo sfilacciamento degli ultimi mesi e oggi la nomina di Alfredo Mocci come direttore generale segnalano un pericolosissimo aggravamento della malattia che da tempo ha colpito il servizio pubblico. E' bene ricordare che nella stagione digitale e multimediale il servizio pubblico trae la sua (nuova) legittimità dalle qualità etiche oltre che editoriali di cui dispone: la loro assenza diventa terribile per il futuro dell'impresa. Non si tratta tanto e solo di questioni giuridiche, bensì dell'autorevolezza della Rai come 'bene comune' nell'universo multimediale. In tal senso ha proprio dell'incredibile la scelta del nome del direttore generale. Non c'è nulla di personale, anzi. Meocci è persino simpatico. Ma come si poteva e come si può pensare di mettere in causa tanto platealmente la legge del '95 che istituiva le autorità di garanzia e sanciva in modo sacrosanto le incompatibilità se non in un clima di abbassamento della soglia della critica, di progressiva cancellazione delle regole e di epifania del conflitto di interessi? Il neo direttore faceva o non faceva parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, a parte il 'latinorum' di qualche presunta e debolissima opinione giuridico-formale? Sarà la stessa Autorità , investita dai consiglieri di amministrazione espressi dall'opposizione, a svolgere le deduzioni del caso. Le regole non possono mai divenire oggetto di negoziato o di compromessi. Ne va della fisionomia del sistema. Il rischio è quello del controllo da parte di un unico 'pensiero editoriale' dell'insieme dei media. Sono incredibili al riguardo le frasi usate da Berlusconi -è il presidente del consiglio (?!)- su La Repubblica di oggi (7 agosto):con chi crede di avare a che fare? Non sa forse che il recente testo unico sulla radiotelevisione varato a dispetto dei santi elimina qualsiasi residua griglia antitrust visto che toglie dal conteggio delle reti le pay tv e le pay per vew? Non scherziamo. La situazione è proprio andata oltre i limiti e quello che sta avvenendo attorno al Corriere della Sera è la classica goccia.
Per di più l'Italia sta perdendo il treno dell'innovazione tecnologica, dopo le sciagurate scelte della legge Gasparri di piegare la rivoluzione digitale alle esigenze della concentrazione televisiva. Serve una conferenza nazionale sul digitale, innanzitutto per decidere qualcosa di serio e credibile sulla data della 'migrazione' definitiva dall'analogico, che certo non può avvenire in simili condizioni alla fine del 2006, come è invece previsto dalla legge.
Il panorama è desolante anche nelle telecomunicazioni, dove la presenza italiana è sempre più ridotta. E' indispensabile una vera nuova politica industriale, che ricomincia dalla ripresa della ricerca e da una grande idea di utilizzo delle tecnologie nella pubblica amministrazione.
Il centrosinistra può e deve ricostruire il paese. Nella società della conoscenza il programma parte proprio dalle culture e dalle politiche nella comunicazione. Rispetto delle regole, ridisegno della sfera pubblica e incentivi all'innovazione sono caposaldi di un progetto di governo che affranchi l'Italia dalle servitù feudali nelle quali sembra ricaduta. Lo chiedono in tanti e non possiamo deluderli.
Perché il leader indiscusso di tutti noi Romano Prodi non convoca presto un seminario di lavoro sui vari argomenti che toccano la società dei media?
Per fortuna Carlo De Benedetti è tornato sui suoi passi dopo l'annunciato sodalizio con Berlusconi. Cosa voleva significare quell'intesa non si sa, né l'ha chiarito davvero il protagonista, sommerso dalle proteste. Forse anche un simile curioso (?) avvenimento va ascritto al clima, al contesto in cui ci troviamo. Di tale quadro la perla, il sintomo clamoroso era e rimane l'incredibile storia della Rai.
Lasciamo stare la figura del presidente, Claudio Petruccioli, che ha avuto un vasto gradimento e cui guardiamo con molte speranze (a cominciare dal ripristino del pluralismo, con il rientro di Biagi, Santoro e degli altri censurati). Lo sfilacciamento degli ultimi mesi e oggi la nomina di Alfredo Mocci come direttore generale segnalano un pericolosissimo aggravamento della malattia che da tempo ha colpito il servizio pubblico. E' bene ricordare che nella stagione digitale e multimediale il servizio pubblico trae la sua (nuova) legittimità dalle qualità etiche oltre che editoriali di cui dispone: la loro assenza diventa terribile per il futuro dell'impresa. Non si tratta tanto e solo di questioni giuridiche, bensì dell'autorevolezza della Rai come 'bene comune' nell'universo multimediale. In tal senso ha proprio dell'incredibile la scelta del nome del direttore generale. Non c'è nulla di personale, anzi. Meocci è persino simpatico. Ma come si poteva e come si può pensare di mettere in causa tanto platealmente la legge del '95 che istituiva le autorità di garanzia e sanciva in modo sacrosanto le incompatibilità se non in un clima di abbassamento della soglia della critica, di progressiva cancellazione delle regole e di epifania del conflitto di interessi? Il neo direttore faceva o non faceva parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, a parte il 'latinorum' di qualche presunta e debolissima opinione giuridico-formale? Sarà la stessa Autorità , investita dai consiglieri di amministrazione espressi dall'opposizione, a svolgere le deduzioni del caso. Le regole non possono mai divenire oggetto di negoziato o di compromessi. Ne va della fisionomia del sistema. Il rischio è quello del controllo da parte di un unico 'pensiero editoriale' dell'insieme dei media. Sono incredibili al riguardo le frasi usate da Berlusconi -è il presidente del consiglio (?!)- su La Repubblica di oggi (7 agosto):con chi crede di avare a che fare? Non sa forse che il recente testo unico sulla radiotelevisione varato a dispetto dei santi elimina qualsiasi residua griglia antitrust visto che toglie dal conteggio delle reti le pay tv e le pay per vew? Non scherziamo. La situazione è proprio andata oltre i limiti e quello che sta avvenendo attorno al Corriere della Sera è la classica goccia.
Per di più l'Italia sta perdendo il treno dell'innovazione tecnologica, dopo le sciagurate scelte della legge Gasparri di piegare la rivoluzione digitale alle esigenze della concentrazione televisiva. Serve una conferenza nazionale sul digitale, innanzitutto per decidere qualcosa di serio e credibile sulla data della 'migrazione' definitiva dall'analogico, che certo non può avvenire in simili condizioni alla fine del 2006, come è invece previsto dalla legge.
Il panorama è desolante anche nelle telecomunicazioni, dove la presenza italiana è sempre più ridotta. E' indispensabile una vera nuova politica industriale, che ricomincia dalla ripresa della ricerca e da una grande idea di utilizzo delle tecnologie nella pubblica amministrazione.
Il centrosinistra può e deve ricostruire il paese. Nella società della conoscenza il programma parte proprio dalle culture e dalle politiche nella comunicazione. Rispetto delle regole, ridisegno della sfera pubblica e incentivi all'innovazione sono caposaldi di un progetto di governo che affranchi l'Italia dalle servitù feudali nelle quali sembra ricaduta. Lo chiedono in tanti e non possiamo deluderli.
Perché il leader indiscusso di tutti noi Romano Prodi non convoca presto un seminario di lavoro sui vari argomenti che toccano la società dei media?
Letto 637 volte
Notizie Correlate
Audio/Video Correlati
In archivio
Twitter ergo sum
Articolo 18. Lo “smemorato†Scalfari e il calo di consensi per Monti.
Equo compenso: via libera dalla Camera
Fenomeni, governo tecnico
Libertà di informazione dentro i Cie, ancora troppi ostacoli
Occupy Rai
Rispetti i lavoratori? Ti meriti vantaggi
Un fiore per Younas
Estendere l’articolo 18? La verità è un’altra, lo si vuole smantellare
La strage di Tolosa e l’impossibile oblio
Dalla rete di Articolo 21