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Articolo 21 - Editoriali
L'Enola Gay vola ancora
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di Manlio Dinucci*

da L'Unità

 «La superfortezza volante B-29 della Boeing era il più sofisticato bombardiere della Seconda guerra mondiale. Il 6 agosto 1945 essa sganciò su Hiroshima, in Giappone, la prima arma atomica usata in combattimento»: così si legge sulla targa davanti all'Enola Gay esposto al Museo aerospaziale Smithsonian a Washington. Non tutti i visitatori, però, si sono limitati ad ammirare il bombardiere che, splendidamente restaurato, costituisce il fiore all'occhiello del museo. Il «Comitato per una discussione nazionale sulla storia nucleare e la politica attuale» ha lanciato una petizione, firmata da centinaia di esponenti del mondo universitario, in cui chiede che, insieme all'Enola Gay, vengano «esposte foto e materiali che mostrino i danni inflitti dalla bomba atomica sganciata da questo aereo». La proposta è stata però bocciata dalla direzione del Museo con la motivazione che la descrizione dell'Enola Gay deve essere semplicemente tecnica.
Non è però un fatto tecnico, obietta il Comitato, che la bomba sganciata dal più sofisticato bombardiere della Seconda guerra mondiale abbia provocato la morte, solo nel primo anno, di 140mila persone, per il 65% donne, bambini e anziani che non avevano alcuna connessione con la guerra. In realtà Truman ordinò l'impiego della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki non solo per salvare vite americane, come recita la storia ufficiale, ma per conseguire due obiettivi strategici: costringere il Giappone ad arrendersi agli Usa prima che l'Urss partecipasse alla sua invasione penetrando nel Pacifico; acquisire una netta superiorità militare sull'Urss e tutti gli altri paesi. Iniziò così la corsa agli armamenti nucleari.
La polveriera nucleare
Tra il 1945 e il 1991 (l'anno in cui la disgregazione dell'Urss segna la fine della guerra fredda), vennero fabbricate nel mondo oltre 128mila testate nucleari: di queste, 70mila dagli Stati uniti, 55mila dall'Unione sovietica. La corsa non si limitò alle due superpotenze: con l'aiuto diretto e indiretto degli Stati uniti, prima la Gran Bretagna, poi Francia, Israele e Sudafrica si dotarono di armi nucleari. Entrarono nel «club nucleare», in tempi e modi diversi, anche Cina, India e Pakistan. Si accumulò così nel mondo un arsenale nucleare che, negli anni Ottanta, raggiunse i 15mila megaton.
Per avere un'idea della sua potenza basti pensare che gli effetti distruttivi della irradiazione termica e dell'onda d'urto di una bomba nucleare da 1 megaton (un'arma di media potenza, pari a quella di 1 milione di tonnellate di tritolo) si estendono circolarmente fino a 14 km. Se a esplodere è una bomba da 20 megaton, l'area di distruzione si estende circolarmente fino a oltre 60 km. A questi si aggiungono gli effetti delle radiazioni. Il maggior numero di vittime viene provocato dal fallout, ossia dalla ricaduta radioattiva. Dopo lo scoppio di una bomba da 1 megaton, le persone sono sottoposte a dosi mortali di radiazioni in un'area di circa 2.000 km2 e a dosi pericolose in un'area di circa 10.000 km2.
Si è creata in tal modo, per la prima volta nella storia, una forza distruttiva che può cancellare dalla faccia della Terra, non una ma più volte, la specie umana e quasi ogni altra forma di vita.
L'occasione perduta
Con la fine della guerra fredda, il mondo si è trovato a un bivio. La decisione di quale delle due vie imboccare era principalmente nelle mani di Washington: da un lato c'era la possibilità di avviare un reale processo di disarmo, cominciando con lo stabilire, sulla falsariga della proposta di Gorbaciov, un programma finalizzato alla completa eliminazione delle armi nucleari; dall'altro, c'era la possibilità di approfittare della scomparsa della superpotenza rivale per accrescere la superiorità strategica, compresa quella nucleare, degli Stati uniti d'America, rimasti l'unica superpotenza sulla scena mondiale. Senza un attimo di esitazione a Washington hanno imboccato la seconda via.
Man mano che gli Stati uniti hanno accresciuto il loro vantaggio strategico sulla Russia e gli altri paesi, i trattati sono stati sempre più svuotati di reale contenuto. Emblematico è il Trattato firmato a Mosca nel maggio 2002 dai presidenti Bush e Putin: esso non stabilisce alcun meccanismo di verifica, né specifica che cosa debba essere fatto delle testate nucleari tolte dalle piattaforme di lancio, lasciando ciascuna delle due parti libera di conservare le armi disattivate. Gli Stati uniti potranno così mantenere un arsenale di 15.000 armi nucleari (equivalente come quantità a quello precedente) e continuare ad ammodernarlo con armi di nuovo tipo, fidando che la Russia non sia in grado di fare altrettanto e sia costretta, per risparmiare, a smantellare effettivamente le testate nucleari tolte dalle rampe di lancio.
Quali interessi girino attorno a questa industria dell'Apocalisse lo dimostra un calcolo effettuato negli Stati uniti: solo in armamenti nucleari, gli Usa hanno speso, tra il 1940 e il 1996, 5.821 miliardi di dollari (al valore costante del dollaro 1996). Se tale somma fosse costituita da banconote da un dollaro e le banconote fossero legate in mazzette e queste fossero usate come mattoni, ci si potrebbe costruire un muro di dollari alto 2,7 metri che circonda la Terra all'altezza dell' equatore per 105 volte. Aggiungendo la spesa per gli armamenti nucleari dell 'Unione sovietica / Federazione russa e degli altri paesi, si potrebbe come minimo raddoppiare l'altezza del muro di dollari attorno alla Terra.
Il rilancio della corsa agli armamenti nucleari
Una serie di decisioni prese dall'amministrazione Bush hanno innescato una nuova e non meno pericolosa corsa agli armamenti nucleari.
Il primo passo è rappresentato dalla decisione, ufficializzata nel dicembre 2001, di rilanciare il progetto reaganiano dello «scudo spaziale». E' un sistema non di difesa ma di offesa (per questo proibito dal Trattato Abm, affossato da Washington): se un giorno gli Stati uniti riuscissero a realizzarlo, sarebbero in grado di lanciare contro qualsiasi paese (anche dotato di armi nucleari) un first strike, un primo colpo nucleare, fidando sulla capacità dello «scudo» di neutralizzare o attenuare gli effetti di una eventuale rappresaglia.
Il secondo passo è stato compiuto quando, il 1° ottobre 2002, il Comando strategico, responsabile delle forze nucleari, ha assorbito il Comando spaziale, responsabile delle operazioni militari nello spazio e nella rete computeristica. I preparativi di guerra nucleare si sono così estesi dalla terra allo spazio.
Il terzo passo è costituito dalla decisione del Pentagono di sviluppare armi nucleari penetranti di «bassa potenza». Nella mente degli strateghi, esse sono armi «spendibili» anche in conflitti regionali: potrebbero essere usate per «decapitare» il paese nemico, distruggendo i bunker dei centri di comando e le basi missilistiche. In tal modo, si integrano le armi nucleari nella dottrina dell'«attacco preventivo» e si cancella la linea di demarcazione tra armi nucleari e non-nucleari, accrescendo la possibilità che la guerra diventi nucleare.
La proliferazione
Le altre potenze nucleari non stanno con le mani in mano. La Russia sta spremendo le sue magre risorse per dotare le proprie forze nucleari di «una nuova generazione di armi strategiche» (secondo quanto annunciato da Putin nel maggio 2003). Lo stesso stanno facendo la Cina e le altre potenze nucleari. Quella avvenuta dopo la fine della guerra fredda non è stata dunque una riduzione delle forze nucleari finalizzata al disarmo, ossia alla loro completa eliminazione, ma una ristrutturazione finalizzata al loro mantenimento e ammodernamento.
Gli Stati uniti dispongono di oltre 7200 testate nucleari strategiche operative, ossia installate su missili e aerei con raggio d'azione tale da colpire qualsiasi obiettivo in qualsiasi parte del mondo, e pronte al lancio ventiquattr'ore su ventiquattro. La Russia ne ha circa 5900. La Francia possiede oltre 460 testate nucleari operative; la Cina, circa 400; Israele, 200-400; la Gran Bretagna, circa 200; l'India, 30-50; il Pakistan, 24-48. La loro potenza complessiva viene stimata in circa 5000 megaton, minore di quella della guerra fredda, ma in grado sempre di cancellare dalla faccia della Terra la specie umana e quasi ogni altra forma di vita.
In tale situazione, in cui un piccolo gruppo di stati pretende di mantenere l'oligopolio delle armi nucleari, in cui il possesso di armi nucleari conferisce lo status di potenza, è sempre più probabile che altri cerchino di procurarsele e prima o poi ci riescano. Oltre agli otto paesi che già posseggono armi nucleari, ve ne sono almeno altri 37 che si ritiene siano in grado di costruirle. Tra questi la Corea del nord, che probabilmente ha già acquisito tale capacità, e l'Iran che potrebbe acquisirla.
L'unico modo per impedire una ulteriore proliferazione delle armi nucleari è l'applicazione integrale del Trattato di non-proliferazione. Esso obbliga gli stati dotati di armi nucleari a non trasferirle ad altri (Art.1), e gli stati non in possesso di armi nucleari a non riceverle o costruirle (Art. 2), sottoponendosi alle ispezioni della Agenzia internazionale per l'energia atomica, incaricata di verificare che gli impianti nucleari vengano usati a scopi pacifici e non per la costruzione di armi nucleari (Art. 3).
Il Trattato obbliga, allo stesso tempo, gli stati dotati di armi nucleari a «perseguire negoziati in buona fede su effettive misure per la cessazione della corsa agli armamenti nucleari e il disarmo nucleare, e su un Trattato che stabilisca il disarmo generale e completo sotto stretto ed effettivo controllo internazionale» (Art. 6). Li obbliga anche a «rinunciare, nelle loro relazioni internazionali, all'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi stato» (Preambolo).
Le armi nucleari statunitensi in Europa e Italia
Secondo un rapporto (U.S. Nuclear Weapons in Europe) pubblicato agli inizi di quest'anno dal Natural Resources Defense Council, gli Stati uniti mantengono in Europa un numero di bombe nucleari tre volte superiore a quello che finora si conosceva. Da documenti ufficiali declassificati, risulta che il numero effettivo è di 480.
Le 480 bombe nucleari sono dislocate in otto basi aeree in sei paesi europei della Nato: 150 in tre basi tedesche; 110 in una base inglese; 90 in due basi italiane e altrettante in una turca; 20 rispettivamente in una base belga e in una olandese. Delle 90 bombe nucleari schierate in Italia, 50 si trovano ad Aviano (Pordenone) e 40 a Ghedi Torre (Brescia). Tutte quelle dislocate in Europa sono bombe tattiche B-61 in tre versioni, la cui potenza va da 45 a 170 kiloton (una potenza equivalente a 170 mila tonnellate di tritolo, 13 volte maggiore di quella della bomba di Hiroshima).
Le bombe sono tenute in speciali hangar insieme ai caccia pronti per l' attacco nucleare: F-15 e F-16 statunitensi, che dispongono complessivamente di 300 bombe (ciascun aereo ne può portare da 2 a 5); F-16 e Tornado dei paesi europei della Nato, che hanno a disposizione complessivamente 180 bombe. Tra questi, i Tornado italiani che sono armati con 40 bombe nucleari (quelle tenute a Ghedi Torre).
Lo spiegamento delle armi nucleari statunitensi in Europa è regolato da una serie di accordi segreti, che i governi europei non hanno mai sottoposto ai rispettivi parlamenti. Quello che regola lo schieramento delle armi nucleari Usa in Italia è lo «Stone Ax», il piano segreto di cui parla William Arkin nel suo libro Code Names. Esso non solo dà agli Usa la possibilità di schierare armi nucleari sul nostro territorio, ma stabilisce il principio della «doppia chiave», ossia prevede che una parte di queste armi possa essere usata dalle forze armate italiane una volta che gli Usa ne abbiano deciso l'impiego. A tal fine, rivela il rapporto, piloti italiani vengono addestrati all'uso delle bombe nucleari nei poligoni di Capo Frasca (Oristano) e Maniago II (Pordenone). In tal modo l'Italia, facente parte con gli Usa del «Gruppo di pianificazione nucleare» della Nato, viola il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari che, all'articolo 2, stabilisce: «Ciascuno degli stati militarmente non-nucleari, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente». Abbiamo dunque sul nostro territorio 90 bombe nucleari, cui si aggiungono quelle della Sesta Flotta, soprattutto le testate dei missili a bordo dei sottomarini da attacco con base a La Maddalena.
La necessità di rilanciare il movimento per l'abolizione delle armi nucleari
L'idea che, con la fine della guerra fredda, sia finita anche la minaccia nucleare è penetrata negli stessi movimenti per la pace. Essi concentrano generalmente la loro azione sugli aspetti visibili della guerra, su quelli che suscitano immediate reazioni emotive. Non si reagisce invece nello stesso modo, o non si reagisce affatto, di fronte ad atti di ben più grave portata - come la decisione di militarizzare lo spazio o quella di sviluppare nuove generazioni di armamenti - che preparano il terreno alla guerra nucleare.
Non si coglie così, o si sottovaluta, il fatto che, di conflitto in conflitto, di generazione in generazione di armamenti, aumenta la possibilità che la guerra diventi nucleare e che, per tale ragione, siamo tutti in pericolo. Da qui la necessità di rilanciare un movimento di massa per l'abolizione delle armi nucleari, quale asse portante di una iniziativa permanente contro la guerra. Il primo passo in questa direzione va compiuto sul terreno dell'informazione, indispensabile a un rilancio dell'attenzione su questo tema di vitale importanza.
*Manlio Dinucci: saggista, collaboratore di vari giornali, è stato direttore esecutivo della sezione italiana della International Physicians for the Prevention of Nuclear War, associazione vincitrice del Premio Nobel per la Pace nel 1985. Tra i suoi ultimi libri: Il potere nucleare, Fazi Editore, 2003; Il sistema globale (seconda edizione), testo di geografia per le scuole medie superiori (Zanichelli, 2004) in cui vi è anche un capitolo sulle armi nucleari.

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