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Articolo 21 - Editoriali
L'Affaire Rcs
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di Vincenzo Vita

da La nuova Sardegna
Ancora una volta il gruppo Rcs-Corriere della sera è oggetto di potenziali scalate societarie e di bramosie politiche. Eâ?? una vicenda annosa, che affonda nella storia dellâ??Italia dei media. Il Corriere, del resto, è qualcosa di più di un giornale, essendo piuttosto un luogo di relazioni del tessuto borghese (meglio, di ciò che rimane di esso) e di una parte significativa del potere economico del paese. Qui sta il punto. Ogni volta che si determina o si immagina un mutamento dei o tra i poteri ecco lâ??assalto al Corriere, sollecitato dal ruolo simbolico assunto nel tempo dal quotidiano milanese. Non dimentichiamoci in unâ??altra stagione lâ??attacco a mani basse della P2 e in tempi più recenti i reiterati annunci di interesse da parte di settori in ottimi rapporti con il presidente del consiglio.
 Ora siamo ad una nuova stretta e senza dubbio lâ??interessamento diretto del finanziere Livolsi - amicissimo del premier - imprime una svolta a tutta la storia, che non avrebbe retto se relegata alla spregiudicatezza della new entry Stefano Ricucci. Insomma, la scalata sembra così divenuta verosimile, per il contesto in cui si colloca il vecchio socio di affari di Berlusconi. E questâ??ultimo difficilmente â??non sapevaâ?. Che câ??entra poi il divieto posto dalla legge Gasparri sul sistema radiotelevisivo di acquisire da parte di Mediaset i quotidiani fino al 2010, come ha inopportunamente ricordato il ministro Landolfi? Come se lâ??eventuale assalto a via Solferino fosse un acquisto diretto. In realtà siamo in presenza di processi indiretti, obliqui, che fanno impazzire gli analisti tanti sono gli intrecci o persino gli intrighi societari. Eâ?? bene ricordare che nella nostra normativa â?? a cominciare dalla riforma dellâ??editoria e dalla legge 249 delâ??97 che introdusse lâ??autorità per le garanzie nelle comunicazioni â?? sono ben definiti i concetti di controllo e di collegamento, immaginati proprio per rendere di qualche serietà la griglia antitrust. E quanto sta accadendo attorno al Corriere potrebbe rientrare proprio in quelle fattispecie. Non sarà per caso che la citata autorità abbia annunciato una verifica al riguardo nella relazione al parlamento del presidente Calabrò e non costituirà certo un abbaglio collettivo il fatto che numerosi giuristi si siano espressi in termini analoghi. O che uno dei più autorevoli editorialisti â?? Sergio Romano - abbia chiesto trasparenza e chiarimenti. O che una figura mitica del giornalismo italiano come Enzo Biagi abbia minacciato di non scrivere più per il giornale. Del resto le smentite del presidente del consiglio non hanno aggiunto e tolto nulla alle supposizioni sul suo ruolo.
 Ha ragione Romano Prodi quando afferma che la legge sul conflitto di interessi è assolutamente inadeguata. Infatti, basterebbe qualche riferimento netto allâ??incompatibilità tra ruoli diversi (e in doverosa dialettica) a evitare simili tormenti per la nostra ammaccata vita democratica.
 Anzi. Può davvero essere utile riprendere, aggiornandola, lâ??antica suggestiva proposta dello â??statuto dellâ??impresa editorialeâ??, vale a dire una carta dei diritti per la parte societaria che in un gruppo complesso e variegato attiene allâ??attività mediatica. Lo statuto darebbe garanzie ai direttori e alle redazioni, ai lettori e agli stessi investitori. Oggi, nellâ??universo multimediale, quellâ??ipotesi torna ad essere di grande attualità, viste le connessioni, le convergenze, le inaudite concentrazioni che animano la società dellâ??informazione.
 Eâ?? un tema da mettere allâ??ordine del giorno, uno dei tasselli della riforma del sistema delle comunicazioni, da rifare integralmente superando la legge Gasparri che ha dato via libera ai trust e segnatamente a Mediaset, vanificando in pratica ogni limite anticoncentrazione sullâ??ammontare delle risorse. Tra lâ??altro, il recente testo unico sulla radiotelevisione varato dal governo contiene un ulteriore colpo inferto alla cultura antitrust, togliendo dal computo del numero delle reti (nessuno può avere più del 20% dei canali...) le pay tv e le pay per vew. Insomma, lo statuto dellâ??impresa editoriale potrebbe diventare uno dei riferimenti de iure condendo. Se si mantiene forte il dibattito pubblico sulle sorti del Corriere si ricostruisce un poâ?? del tessuto pluralista da cui trae alimento la democrazia.
 Lâ??altro grande simbolo dei media italiani è la Rai, e anche da lì vengono non poche inquietudini. Sicuramente il neo presidente Claudio Petruccioli farà del suo meglio e gli vanno i migliori auguri. Tuttavia è ormai indifferibile un ripensamento profondo di unâ??azienda indebolita strategicamente: dalla perdita dei diritti televisivi del campionato di calcio di serie A e da improbabili scelte tecnologiche. Anche questo capitolo è indispensabile per reinventare un sistema adatto al tempo del digitale e della rete, in cui lâ??unico modo di resistere e di trasformarsi positivamente per i vecchi media è e sarà a maggior ragione un surplus di credibilità, di trasparenza, di â??editoria eticaâ?. Va riscoperta lâ??informazione come bene comune, collettivo, non merce qualsiasi.
 La federazione della stampa (il sindacato dei giornalisti) ha parlato di sciopero contro i rischi che corre la libertà di stampa. Certo. Serve pure una mobilitazione straordinaria delle coscienze e dellâ??opinione pubblica. Berlusconi ha parlato persino di punire chi pubblica le conversazioni intercettate. Tuteliamo la sacrosanta privacy di tutti i cittadini, ovviamente. Ma pretendiamo di capire cosa câ??è nella pentola appena scoperchiata dalle telefonate di Fazio, Ricucci, Fiorani. Sapere è un diritto indisponibile di una società moderna.

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